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Raddoppio dei termini: basta l’obbligo di denuncia

La Corte di Cassazione chiarisce le condizioni per il raddoppio dei termini di accertamento fiscale. In un caso di fatture per operazioni inesistenti, la Corte ha stabilito che è sufficiente l’emersione di elementi che comportino un obbligo di denuncia penale, a prescindere dall’effettivo avvio di un procedimento penale. La sentenza ribalta le decisioni dei giudici di merito, i quali avevano erroneamente richiesto la prova di un procedimento penale per reati tributari. La Corte ha inoltre precisato che, in tema di fatture false, una volta che l’amministrazione fornisce elementi presuntivi (come la discordanza nei registri IVA), l’onere di provare la realtà delle operazioni si sposta sul contribuente.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini Fiscali: La Cassazione Conferma che Basta l’Obbligo di Denuncia

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di accertamenti fiscali, in particolare riguardo al raddoppio dei termini. La Corte ha chiarito che per estendere i tempi a disposizione del Fisco non è necessario che sia stato avviato un procedimento penale, ma è sufficiente che emergano elementi tali da far scattare l’obbligo di denuncia per un reato tributario. Questa decisione ha importanti implicazioni sia per i contribuenti che per l’Amministrazione Finanziaria, specialmente nei casi che coinvolgono fatture per operazioni inesistenti.

I fatti di causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società di costruzioni per maggiori imposte (Irpeg, IRAP e IVA). L’accertamento si basava su un’indagine della Guardia di Finanza che aveva qualificato la società come una “cartiera”, ovvero un’entità priva di una reale struttura operativa, utilizzata per contabilizzare fatture passive fittizie. In particolare, due fatture risultavano registrate dalla società ma, dai controlli incrociati sui registri delle società emittenti, risultavano intestate a soggetti terzi.

La società contribuente aveva impugnato l’atto, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale le avevano dato ragione. I giudici di merito avevano ritenuto che, per giustificare il raddoppio dei termini di accertamento, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un procedimento penale per reati tributari, cosa che nel caso specifico non era avvenuta (il procedimento penale esistente riguardava una truffa su fondi comunitari, non reati fiscali). Inoltre, avevano considerato insufficiente la prova della falsità delle fatture, sostenendo che l’Agenzia avrebbe dovuto svolgere ulteriori indagini per identificare il vero autore del falso.

La decisione della Corte di Cassazione sul raddoppio dei termini

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, che è stato accolto. La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, rinviando la causa a un nuovo giudizio.

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondati entrambi i motivi di ricorso dell’Agenzia, sia quello relativo al raddoppio dei termini, sia quello sull’onere della prova in materia di operazioni inesistenti.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su principi giurisprudenziali ormai consolidati. Per quanto riguarda il primo motivo, ha ribadito che ai fini del raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, è sufficiente l’emersione di elementi che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di una denuncia penale. Non è invece necessario né che la denuncia sia stata effettivamente inoltrata, né che sia stato avviato un procedimento penale, né tantomeno che l’atto impositivo si fondi sugli stessi elementi di rilevanza penale. La sola esistenza di un fatto che configuri astrattamente un’ipotesi di reato tributario è condizione necessaria e sufficiente. Pertanto, la Commissione Regionale ha errato nel ritenere dirimente il fatto che il procedimento penale in corso non riguardasse reati tributari.

Sul secondo motivo, relativo alla prova delle operazioni inesistenti, la Cassazione ha censurato la sentenza impugnata per aver violato le regole sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). I giudici hanno ricordato che, in materia di operazioni inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha il compito di fornire elementi, anche presuntivi, che facciano dubitare della veridicità delle operazioni fatturate. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni economiche. Nel caso di specie, la discordanza tra le registrazioni della società e quelle delle ditte emittenti costituiva un solido elemento presuntivo. Era quindi il contribuente a dover provare la realtà delle transazioni, e non l’Agenzia a dover compiere ulteriori indagini.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza due importanti principi del diritto tributario. In primo luogo, conferma l’ampia portata applicativa della norma sul raddoppio dei termini di accertamento, legandola a un presupposto oggettivo (l’obbligo di denuncia) e svincolandola dagli esiti incerti di un eventuale procedimento penale. Questo garantisce all’Amministrazione Finanziaria uno strumento efficace per contrastare i reati fiscali più gravi. In secondo luogo, chiarisce la ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie su fatture false, ponendo a carico del contribuente la responsabilità di dimostrare la veridicità delle operazioni una volta che il Fisco abbia sollevato dubbi fondati sulla loro esistenza.

Quando è applicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale?
Il raddoppio dei termini è applicabile quando, nel corso di un’attività di controllo, emergono elementi che configurano un’ipotesi di reato tributario e che comportano per il pubblico ufficiale l’obbligo di presentare una denuncia penale.

È necessario che venga avviato un processo penale per applicare il raddoppio dei termini?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessario né l’effettivo inoltro della denuncia né l’avvio di un procedimento penale. La sola esistenza di un fatto per il quale è astrattamente previsto l’obbligo di denuncia è sufficiente.

In caso di contestazione di fatture per operazioni inesistenti, chi deve provare la falsità?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi, anche presuntivi, che dimostrino la fittizietà delle operazioni (es. controlli incrociati negativi). Una volta fornita questa prova iniziale, l’onere si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare che le operazioni contestate sono state effettivamente realizzate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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