Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22104 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22104 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8886/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE -intimato-
avverso SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 4238/2015 depositata il 30/09/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Considerato che:
RAGIONE_SOCIALE , in data 26/07/2012, ha notificato l’ avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO a RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle maggiori imposte di Euro 8.330 per Irpeg, Euro 763,00 per IRAP di, Euro 4.900 di IVA. L’avviso di accertamento scaturiva da un’indagine della Guardia di Finanza di Verbania, che aveva rilevato come la società intimata fosse una cartiera pura, priva di qualsiasi organizzazione per lo svolgimento dell’attività, limitandosi a contabilizzare fatture passive da parte di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. In particolare, veniva contestato che la fattura n. 39 del 30/09/2003 del registro IVA vendite di RAGIONE_SOCIALE, al numero 39, pur essendo emessa nei confronti di COGNOME NOME era, tuttavia, registrata nel registro acquisti IVA della società intimata. Anche la fattura di RAGIONE_SOCIALE (n. 38 del 22 gennaio 2003) era relativa un’operazione inesistente. L’importo complessivo per fatture relative a operazioni inesistenti era pari a Euro 29.400.
RAGIONE_SOCIALE aveva proposto ricorso eccependo la decorrenza dei termini ex art. 43, terzo comma, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 e l’illegittimità dell’avviso di accertamento. L’RAGIONE_SOCIALE non presentava controdeduzioni, salvo costituirsi in udienza. La Commissione Tributaria Proviciale di Milano accolse il ricorso.
L’RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, proposto appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ( hinc : CTR), incentrato su una duplice contestazione.
La prima riguardava il carattere fittizio RAGIONE_SOCIALE fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE NOME, dal momento che nel
registro RAGIONE_SOCIALE emittenti risultavano riferite a soggetti diversi da RAGIONE_SOCIALE.
La seconda riguardava l’esistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini.
3.1. La CTR, con sentenza n. 4238/2015 depositata il 30/09/2015, ha ritenuto, con riferimento alla prima censura, che: « l’affermazione della registrazione di fatture ‘fittizie’ avrebbe dovuto essere riscontrata non con una generica ed approssimativa visione del fatto ma con il compimento RAGIONE_SOCIALE indagini necessarie per riscontrare tutti gli elementi dell’infrazione.»
In merito alla questione relativa al raddoppio dei termini ha evidenziato che: « L’Ufficio nel proprio appello (pagina 6) afferma, nell’eccepire il vizio della sentenza opposta, che l’affermazione della CTP relativa al ‘raddoppio dei termini non risulta applicabile all’attività della citata RAGIONE_SOCIALE utilizzatrice dei fondi comunit ari, ed a maggior ragione nei confronti dell’attività dell’odierna ricorrente, in quanto estranea, comunque, a qualsiasi notitia criminis di natura tributaria e non’ sarebbe st ata smentita dagli atti allegati alle controdeduzioni al ricorso depositato dall’Ufficio. A tale riguardo si rileva che con ordinanza n. 679/15 questa commissione aveva ordinato all’Ufficio di depositare copia RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni svolte in primo grado e ciò in ragione dell’esplicito riferimento effettuato nell’appello dall’Ufficio e quest’ultimo, con atto depositato in Segreteria il 15.6.2015, ha affermato ‘DI NON AVER DEPOSITATO NEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO LE CONTRODEDUZIONI AL RICORSO’. Di conseguenza a lcun allegato a supporto dei presupposti per il raddoppio dei termini per poter effettuare l’accertamento è mai stato prodotto; esiste l’affermazione dell’Ufficio del mancato riscontro in ordine alla corretta registrazione RAGIONE_SOCIALE fatture nei registri IVA.’
La CTR ha poi evidenziato che il procedimento penale non era stato instaurato per reati tributari bensì per truffa concretatasi con
l’utilizzo di fondi comunitari erogati per la realizzazione della struttura alberghiera nel Comune di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della CTR l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
Non si è costituita RAGIONE_SOCIALE, regolarmente intimata.
Ritenuto che:
Con il primo motivo di ricorso l’RAGIONE_SOCIALE ha contestato la violazione dell’art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 , ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente evidenzia come l’art. 37, commi 24, 25 e 26, d.l. 04/07/2006, n. 223 (convertito con modificazioni dalla legge 04/08/2006, n. 248) abbia novellato l’art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 57 d.P.R. 26/10/1972, n. 633, disponendo il raddoppio de i termini per l’accertamento fiscale, nel caso in cui emerga una violazione che costituisca notizia di reato cui sia connesso l’obbligo di denuncia da parte dei pubblici ufficiali ex art. 331 cod. proc. pen. La Corte cost. (sent. n. 247 del 2011) ha evidenziato che l’applicazione dell’art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 richiede l’esistenza di un fatto per il quale sia astrattamente previsto l’obbligo di denuncia penale, senza che sia necessario l’effettivo inoltro della denuncia o l’esistenza di un reato (in ogni sua componente), rilevando la sola astratta configurabilità di un’ipotesi di reato (Cass., 07/10/2015, n. 20043). È pertanto sbagliata l’opzione interpretativa della CTR, che ritiene necessaria, per il raddoppio dei termini ex art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, l’instaurazione di un processo penale per i reati di cui al d.lgs. 10/03/2000, n. 74. La parte ricorrente rileva che: « dagli atti di causa si desume con assoluta chiarezza che l’obbligo di denuncia penale sussisteva in quanto la GdF aveva ravvisato la sussistenza di
uno dei reati previsti dal D.lgs. n. 74/2000 e, di conseguenza, aveva trasmesso la relativa denuncia all’autorità giudiziaria.»
1.2. La ricorrente riporta, quindi, a pag. 9-13 del ricorso, il contenuto dell’avviso di accertamento, con la riproduzione – in sintesi e limitatamente a ciò che è rilevante ai fini del motivo di ricorso proposto dalla parte ricorrente – RAGIONE_SOCIALE seguenti circostanze oggetto di accertamento da parte della GdF:
-l’attività di indagine aveva ricostruito l’attività economica della famiglia COGNOME, operante nel settore RAGIONE_SOCIALE costruzioni e in quello alberghiero, evidenziando la creazione di una vera e propria associazione finalizzata, tra l’altro, alla commissione d i reati tributari di cui agli artt. 2, 8 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (pag. 10);
le attività di indagine avevano consentito di appurare che la società RAGIONE_SOCIALE era una cartiera pura, perché priva di organizzazione e mezzi idonei allo svolgimento dell’attività;
la società intimata aveva emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e aveva annotato fatture per operazioni inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE, nonché da altre società e ditte. Con riferimento a queste ultime le fatture erano state autoprodotte dai membri del RAGIONE_SOCIALE all’insaputa RAGIONE_SOCIALE società formalmente emittenti;
i pagamenti per le operazioni commerciali fittizie venivano regolati tramite banca, di norma con assegni, talvolta con bonifici e solo raramente in contanti. Dagli accertamenti bancari era emerso che la quasi totalità degli assegni erano incassati, dopo diverse girate -tra le quali quelle false degli ignari fornitori di RAGIONE_SOCIALE -da componenti della famiglia COGNOME, ovvero da parenti, amici e conoscenti.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente contesta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
2.1. Con tale motivo di ricorso la ricorrente contesta quanto affermato a pag. 3 della sentenza impugnata, per non aver ritenuto sufficiente, ai fini della prova del l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, la divergenza tra la registrazione RAGIONE_SOCIALE fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nei registri della società intimata e le risultanze dei registri RAGIONE_SOCIALE società emittenti, dai quali risultava l’intestazione nei confronti di altri soggetti. La sentenza della CTR evidenzia l’assenza di verifiche sulle imprese RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE NOME, per rilevare chi avesse commesso l’asserito falso.
2.2. La ricorrente contesta la violazione dell’art. 2697 c.c., dal momento che, in ambito tributario, costituisce ius receptum che l’onere della prova contraria in materia di operazioni inesistenti gravi sul contribuente , qualora l’amministrazione fornisca elementi anche semplicemente presuntivi (Cass., n. 21953 del 2007; Cass., 23/09/2005, n. 18710; Cass. 12/12/2005, n. 27341; Cass. 22/01/2007, n. 1325; Cass. 21/01/2007, n. 17799; Cass., n. 1134 del 1009).
2.3. La ricorrente rileva che, nella specie, l’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni relative alle fatture emesse è emersa nel corso RAGIONE_SOCIALE verifiche della GdF che avevano eseguito un controllo incrociato RAGIONE_SOCIALE fatture annotate nei registri IVA RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In particolare, era emerso che sia il titolare dell’impresa RAGIONE_SOCIALE (sentito in merito alla fattura n. 26), sia il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (in relazione alla fattura n. 38) avevano dichiarato di non conoscere l’RAGIONE_SOCIALE In merito alle dichiarazioni rese da terzi la ricorrente ha richiamato Cass., 05/05/2011, n. 9876.
Entrambi i motivi di ricorso sono fondati.
3.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso è ormai consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale: « In tema di accertamento tributario, per il raddoppio dei termini ex artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, è sufficiente l’emersione di elementi da cui derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale e non rilevano i successivi esiti dell’accertamento né il fatto che gli atti impositivi siano fondati su elementi privi di rilevanza penale, salvo che non emerga un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine. » (Cass., 14/07/2023, n. 20409).
L ‘art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 richiede, quindi, un obbligo di denuncia penale ex art. 331 cod. proc. pen. risultante dagli atti, che prescinde dalla rilevanza penale degli elementi sui cui si fondano gli atti impositivi ed è totalmente avulso dai possibili esiti di tale denuncia , con riferimento sia all’esercizio dell’azione penale che ai suoi esiti. Di conseguenza, ai fini del raddoppio dei termini ex art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 non sussiste alcun obbligo dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di provare l’esatta corrispondenza tra la violazione della norma tributaria da cui scaturisce l’avviso d i accertamento e la norma penale violata da cui deriva l’obbligo di denuncia. La sola esistenza di tale obbligo è, pertanto, necessaria e sufficiente a integrare il raddoppio dei termini previsto nella norma appena richiamata.
Non è, quindi, corretta la decisione della CTR, laddove afferma che: « Occorre, ancora, evidenziare che il procedimento penale non era stato instaurato per reati tributari bensì per truffa concretatasi con l’utilizzo di fondi comunitari erogati per la realizzazione della struttura alberghiera del Comune di RAGIONE_SOCIALE.»
3.2. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato. La CTR non ha, infatti, disconosciuto che le due fatture sulle quali è basato l’avviso di accertamento fossero relative a operazioni inesistenti, ma ha
ritenuto che fossero necessari ulteriori accertamenti da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Nella sentenza impugnata si legge, infatti, che: « L’Ufficio ha ritenuto che le fatture emesse alla società appellata dalla srl RAGIONE_SOCIALE erano fittizie poiché mentre risultavano registrate dall’appellata quelle registrate nei registri RAGIONE_SOCIALE ditte emittenti erano intestate ad altri soggetti ed aveva ritenuto l’esistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini per la notifica dell’avviso di accertamento. Osserva questa commissione che tale discrasia non comporta, automaticamente, la ‘falsità RAGIONE_SOCIALE fatture’, poiché l’Ufficio avrebbe dovuto effettuare dei controlli nei confronti RAGIONE_SOCIALE imprese RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE e quindi rilevare quale fosse stato il soggetto che aveva perpetrato l’asserito ‘falso’; tale indagine non risulta essere stata effettuata.»
Tale affermazione non è, tuttavia, conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di fatture per operazioni inesistenti e relativi oneri probatori.
Occorre premettere che il vizio di violazione di legge ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ. sussiste nella sola ipotesi in cui l’onere della prova sia stato addossato a una parte diversa rispetto a quella su cui ricade. Difatti, secondo questa Corte: « La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni.» (Cass., Sez. U, 05/08/2016, n. 16598).
Ciò è quello che è esattamente avvenuto nel caso di specie: secondo i principi affermati dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, in materia di operazioni inesistenti, l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una
evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza (o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta) della sostanziale inesistenza del contraente (Cass., 20/04/2018, n. 9851).
Nel caso di specie la CTR non disconosce il carattere fittizio RAGIONE_SOCIALE fatture emessa da RAGIONE_SOCIALE, che nei registri dell’emittente risultavano intestate a soggetti diversi da RAGIONE_SOCIALE, ma ritiene tali elementi insufficienti. Tuttavia, proprio la circostanza che nei registri RAGIONE_SOCIALE emittenti le fatture risultassero intestate a soggetti diversi dalla parte intimata evidenzia sia il carattere fittizio RAGIONE_SOCIALE fatture, sia la consapevolezza da parte di chi se ne è avvalso (senza esserne, in concreto, il reale intestatario) dell’inesistenza del contraente che aveva eseguito la fornitura in favore di soggetti diversi dalla RAGIONE_SOCIALE
Una volta riscontrate tali circostanze era, quindi, il contribuente a dover provare che le operazioni sottese alle fatture impiegate fossero effettivamente esistenti, mentre l’amministrazione finanziaria non era tenuta a fornire gli ulteriori riscontri richiesti dalla sentenza impugnata in ordine al carattere fittizio di tali operazioni, avendo (già) adempiuto agli oneri probatori a suo carico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 cod. civ.
Il ricorso deve essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, che
provvederà, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.