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Raddoppio dei termini: basta il sospetto di reato

La Corte di Cassazione stabilisce che per il raddoppio dei termini di accertamento fiscale è sufficiente la mera configurabilità astratta di un reato tributario. Non è necessaria l’effettiva presentazione di una denuncia penale né rileva l’esito di eventuali procedimenti. La sentenza annulla la decisione di merito che aveva escluso il raddoppio dei termini basandosi sull’assenza di una notizia di reato iscritta a carico della contribuente.

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Pubblicato il 5 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Raddoppio dei Termini per l’Accertamento: Non Serve la Denuncia Penale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su una questione cruciale per i contenziosi tributari: le condizioni per l’applicazione del raddoppio dei termini di accertamento. Con la pronuncia in esame, i Giudici Supremi hanno ribadito un principio fondamentale: per estendere i tempi a disposizione del Fisco è sufficiente che la condotta del contribuente presenti gli elementi oggettivi di un reato tributario, senza che sia necessaria l’effettiva presentazione di una denuncia penale.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione Finanziaria a una contribuente per l’anno d’imposta 2003. L’atto impositivo si basava su una serie di controlli e verifiche fiscali effettuate nei confronti di un gruppo societario di cui la contribuente, secondo il Fisco, era partecipe. Le indagini avevano portato a ipotizzare maggiori redditi in capo alla contribuente. Cruciale per la validità dell’accertamento era l’applicazione del raddoppio dei termini, dato il tempo trascorso dall’anno d’imposta oggetto di rettifica.

La contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito avevano infatti ritenuto illegittimo il raddoppio dei termini perché l’Amministrazione Finanziaria non aveva mai trasmesso una notitia criminis all’autorità giudiziaria. A riprova di ciò, la contribuente aveva prodotto un certificato della Procura della Repubblica che attestava l’assenza di iscrizioni a suo carico.

La questione giuridica e il raddoppio dei termini

Il cuore della controversia verteva sull’interpretazione dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 (nella sua formulazione applicabile ratione temporis). Tale norma prevedeva il raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento fiscale ‘in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale’ per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000.

La domanda era quindi: per applicare questa estensione temporale, è necessario che la denuncia sia stata effettivamente presentata, oppure è sufficiente che sussistano i presupposti oggettivi del reato, tali da far scattare l’obbligo di denuncia in capo ai funzionari dell’Agenzia?

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, ha cassato la sentenza d’appello e chiarito in modo definitivo la questione. I Giudici hanno definito ‘contraddittoria’ la decisione della Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima, pur richiamando gli orientamenti corretti della giurisprudenza di legittimità, li aveva poi disapplicati, negando l’operatività del raddoppio solo perché mancava una denuncia formalizzata.

La Suprema Corte ha invece ribadito il suo consolidato orientamento: ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, è sufficiente l’emersione di elementi da cui derivi l’obbligo di presentazione di denuncia penale. Non rilevano né i successivi esiti dell’accertamento, né il fatto che l’atto impositivo si fondi su elementi privi di per sé di rilevanza penale. Ciò che conta è che la condotta complessiva del contribuente, come descritta nell’avviso di accertamento, presenti in astratto gli estremi oggettivi di una fattispecie di reato tributario. L’assenza della denuncia formale o l’eventuale archiviazione del procedimento penale non hanno alcun effetto sulla legittimità dell’estensione dei termini.

Conclusioni

La pronuncia consolida un principio di notevole importanza pratica. I contribuenti non possono far valere la mancata presentazione di una denuncia penale per eccepire la decadenza dell’azione accertatrice del Fisco. Per l’applicazione del raddoppio dei termini, il giudice tributario dovrà limitarsi a una valutazione astratta della condotta contestata: se questa integra potenzialmente un reato tributario, i termini più lunghi sono legittimamente applicabili, a prescindere dall’attivazione o dall’esito di un procedimento penale. La Corte ha quindi rinviato la causa al giudice di merito, che dovrà riesaminare i fatti attenendosi a questo principio.

Per applicare il raddoppio dei termini di accertamento è necessaria una denuncia penale a carico del contribuente?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria l’effettiva presentazione di una denuncia penale (notitia criminis) all’Autorità giudiziaria.

Cosa è sufficiente per attivare il raddoppio dei termini?
È sufficiente che la condotta del contribuente, descritta nell’avviso di accertamento, presenti in astratto gli estremi oggettivi di una delle fattispecie di reato previste dalla normativa tributaria (d.lgs. n. 74 del 2000).

L’assenza di un procedimento penale o la sua archiviazione impediscono al Fisco di usare il raddoppio dei termini?
No, gli esiti successivi dell’accertamento o di un eventuale procedimento penale (inclusa la sua assenza) non rilevano ai fini della legittimità dell’applicazione del raddoppio dei termini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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