Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3285 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3285 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
CARTELLA PAGAMENTO REVOCAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27094/2015 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata presso l’AVV_NOTAIO, all’indirizzo telematico EMAIL, che la rappresenta e difende,
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. EMILIA ROMAGNA, n. 1574/2015, depositata il 20/07/2015;
nonché sul ricorso iscritto al n. 1932/2018 R.G. proposto da: presso l’AVV_NOTAIO ,
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata NOME COGNOME, all’indirizzo telematico EMAIL che la rappresenta e difende,
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE,
-resistente -avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. EMILIA ROMAGNA, n.
1795/2017, depositata il 06/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, che resiste con controricorso, avverso la sentenza n. 1574 del 2015. Con qest’ultima C.t.r., in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha annullato la sentenza con la quale la C.t.p. di Modena aveva accolto il ricorso avverso cartella di pagamento emessa per la riscossione di quanto preteso dall’Ufficio in ragione di tre avvisi di accertamento, di cui due oggetto di un precedente provvedimento di sgravio, successivamente ritenuto erroneo.
Con separato ricorso NOME COGNOME ricorre, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE che non ha depositato tempestivo controricorso ma solo «atto di costituzione» ai fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale -avverso la sentenza n. 1795 del
2017 con la quale la stessa RAGIONE_SOCIALE.t.r. ha rigettato il ricorso per revocazione proposto dalla contribuente avverso la precedente sentenza.
3. La contribuente, in data 27 maggio 2004, presentava domanda per la definizione dei carichi pendenti dal 1997 al 2002 accedendo al c.d. condono tombale di cui all’art. 9 legge n. 289 del 2002 e, secondo, la sua prospettazione, in data 15 aprile 2004, provvedeva al pagamento, a mezzo Modello F24, dell’importo dovuto di euro 4.899,00 presso sportello dell’Unicredit s.p.a.
Ciononostante, le venivano notificate due cartelle di pagamento, emesse in relazione ad avvisi di accertamento per gli anni di imposta 1999 e 2000 (rientranti nel condono); dette ultime, successivamente, a seguito di istanza di annullamento in autotutela, erano oggetto di un provvedimento di sgravio del 19 febbraio 2008.
In data 9 giugno 2009 la società di riscossione emetteva nuova cartella per il pagamento (oltre che per la somma di euro 34.918,91 relativa ad altro avviso di accertamento) anche per le somme di cui alle precedenti cartelle, ovvero quelle emesse in relazione ad avvisi di accertamento per i quali era stata presentata la domanda di condono tombale e che erano state già oggetto di sgravio. La nuova cartella, richiamando detti avvisi di accertamento, precisava che le somme dovute erano state erroneamente sgravate in data 19 febbraio 2008 in quanto, in realtà, non risultava che la procedura di cui a ll’art. 9 legge n. 289 del 2002 si fosse perfezionata con il pagamento di quanto dovuto.
Avverso detta cartella proponeva ricorso la contribuente.
4. La C.t.r., nel riformare la sentenza di primo grado che aveva annullato le cartelle, rilevava, con riferimento alle somme oggetto del provvedimento di sgravio ritenuto erroneo dall’Ufficio, che la decisione della C.t.p. era inficiata da «palese errore di fatto» nella parte in cui aveva rilevato che «’il versamento del quantum debeatur a mezzo
modello F24 in data 15 aprile 2004 tramite Unicredit Banca RAGIONE_SOCIALE, come risulta inequivocabilmente dall’allegata ricevuta’ fosse idoneo all’estinzione dell’obbligazione tributaria azionata». Aggiungeva che «come dimostrato per tabulas dall’Amministrazione finanziaria appellante» nessun pagamento era stato effettivamente eseguito poiché il modello F24 prodotto in giudizio era privo di timbro di quietanza.
La contribuente proponeva ricorso per revocazione di detta ultima sentenza che, tuttavia, veniva rigettato dalla C.t.r. con la seconda sentenza di cui all’epigrafe, per mancanza dei presupposti.
Nel giudizio di revocazione la contribuente esibiva un modello F24 del 2009 (estraneo all’oggetto del contendere e che assumeva di aver rinvenuto successivamente alla definizione del giudizio in appello) che, recando il medesimo timbro apposto su quello oggetto del contendere, e non essendo mai stato contestato, a suo dire, dimostrava l’idoneità di quel medesimo timbro quale quietanza di pagamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute a seguito del condono (la circostanza, infatti, era stata contestata in giudizio dall’Uffici o).
La contribuente propone separati ricorsi per cassazione avverso la sentenza di appello che ha rigettato la domanda di annullamento della cartella ed avverso la sentenza che ha rigettato la domanda di revocazione di detta ultima.
Nel solo giudizio di cui al ricorso n. 27094 del 2015 la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ.
Considerato che:
Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorso per cassazione proposti l’uno contro la decisione di appello e l’altro contro la sentenza che ha deciso l’impugnazione per revocazione avverso la prima. Sebbene si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, vi è connessione tra le due
pronunce che giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 cod. proc. civ., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione (Cass. 06/07/2022, n. 21315).
Con il ricorso avverso la sentenza che ha rigettato la domanda di annullamento della cartella la contribuente propone sei motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 e dell’art. 5 d.m. 30 marzo 1988.
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE fosse caduta in errore di fatto -laddove aveva ritenuto eseguito il pagamento, sebbene il modello F24 prodotto fosse privo di quietanza -ed ha affermato che il pagamento non era mai avvenuto, come si evinceva «dalla prova documentale allegata dall’amministrazione finanziaria» .
Osserva in proposito la contribuente che la prova documentale cui si riferiva la C.t.r. era una lettera a contenuto dichiarativo rilasciata dall’Unicredit che, fornendo specifica risposta ad un quesito dell’Ufficio, aveva dichiarato che non era possibile attestare il versamento in quanto non era emerso nessun pagamento del modello F24 menzionato ed aveva precisato che il timbro apposto sul modello F 24 era un timbro lineare e non il timbro di quietanza. Aggiunge che il modello F24 esibito a perfezionamento della pratica di condono conteneva tutti gli elementi dell’attestazione di pagamento come previsti dalla normativa, recando il timbro lineare dell’Istituto di credito delegato al pagamento, associato alla firma del funzionario.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 .
Deduce che la RAGIONE_SOCIALE, nell’affermare che nessun pagamento era stato eseguito, si era riportata alla nota informativa della banca la quale aveva altresì precisato che il timbro lineare fosse stato apposto per ricevuta del modello stesso. Deduce ancora che, invece, la restituzione del modello F24 siglato dal cassiere aveva valore di quietanza definitiva di avvenuto pagamento.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 26 d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 e dell’art. 5 d.m. 30/03/1988.
Assume la ricorrente che, laddove la quietanza di pagamento esibita dal contribuente non contenga elementi tali da far supporre la sua falsità materiale o ideologica, il contribuente è liberato d all’obbligo impositivo, restando irrilevante la mancata contabilizzazione del versamento e la mancata trasmissione dell’importo alla Tesoreria .
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per essersi pronunciata su un errore revocatorio, asseritamente commesso dalla C.t.p., sebbene l’Am ministrazione si fosse limitata a chiedere l’annullamento della sentenza di primo grado in quanto immotivata e fondata su un’erronea valutazione dei fatti. Aggiunge che il convincimento del giudice di primo grado si era fondato sulla diversa valenza probatoria attribuita a due documenti contrastanti, ovvero il modello NUMERO_DOCUMENTO e la nota informativa resa dall’Unicredit, e non su un errore di fatto.
2.5. Con il quinto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ovvero l’asserita inidon eità del NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO quale attestazione di pagamento.
Assume che dalla motivazione resa non emergerebbero le ragioni perché il giudice abbia ritenuto prova con efficacia decisoria la lettera della banca ed irrilevante il modello F24.
6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’istanza di cessazione della materia del conte ndere per quella quota parte della cartella i cui importi erano stati sgravati.
Con il ricorso avverso la sentenza che ha rigettato l’istanza di revocazione della precedente pronuncia la contribuente propone due motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia.
Censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul primo motivo di revocazione proposto ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Osserva che, con quest’ultimo , aveva evidenziato che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto che la cartella impugnata non fosse comprensiva degli importi sgravati, mentre era del tutto pacifico il contrario; che, pertanto, a causa dell’errore nel quale era caduto , non si era pronunciato sulla illegittimità della re-iscrizione a ruolo.
3.2. Con il secondo motivo la contribuente denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione d ell’art. 2719 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.
Assume che la sentenza impugnata per revocazione è viziata da extra-petizione per essersi pronunciata per la non conformità del
modello F24 del 15 aprile 2004 (ovvero quello a pagamento RAGIONE_SOCIALE somme previste per l’adesione al condono tombale) che non era mai stata contestata; che, invece, al giudice della revocazione era stato sottoposto un diverso modello F24 del 31 marzo 2009 (e rinvenuto dopo la definizione del giudizio in appello) che, in quanto analogo al precedente, era idoneo a provare che il timbro apposto equivaleva a quietanza di pagamento.
Deve procedersi in via preliminare all’esame del ricorso avverso la sentenza che ha rigettato la domanda di revocazione.
4.1. Il primo motivo è infondato.
4.1.1. Questa Corte ha chiarito che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153). È stato quindi ritenuto che «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.» (Cass. 04/06/2019, n. 1525).
4.1.2. Nella fattispecie in esame, il motivo di revocazione proposto ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. è stato rigettato atteso che la C.t.r. ha espressamente ritenuto infondata l’istanza di revocazione
«per insussistenza dei requisiti previsti dalla invocata norma di cui all’art. 395 nn. 3) e 4) , cod. proc. civ. e di ogni altra ipotesi.
4.1.3. Va ancora evidenziato che nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 16/06/2023, n. 17413).
Ugualmente si è chiarito che il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (Cass. 01/03/2019, n. 6145)
4.1.4. Nella fattispecie in esame il ricorrente aveva dedotto in sede di revocazione che il giudice dell’appello aveva commesso un errore di fatto laddove aveva ritenuto che la cartella impugnata era «non comprensiva degli importi sgravati». Dalla lettura della sentenza di cui si chiede la revocazione risulta letteralmente che l’espressione che si assume frutto di un errore di fatto -contenuta nella parte espositiva della sentenza e non in quella motiva -era riferita alle deduzioni dell’RAGIONE_SOCIALE. Nessun errore di fatto, aveva pertanto, commesso il
Giudice dell’appello che, infatti, aveva fondato la sua decisione su tutt’altro argomento.
4.2. Il secondo motivo è infondato.
4.2.1. Deve premettersi, per una migliore comprensione della fattispecie, che nel giudizio per la revocazione il contribuente -al fine di dimostrare che il Modello F24 prodotto nel giudizio a quo era idoneo a provare il pagamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute in ragione del condono tombale in quanto quietanzato dall’intermediario Unicredit aveva prodotto altro Modello F24, estraneo alla controversia, ma del tutto analogo a quello controverso, ovvero recante il medesimo timbro lineare dell’Unicredit, relativo ad un pagame nto che non era mai stato contestato dall’Ufficio e, pertanto, idoneo a dimostrare che quello era il modus operandi dell’ Istituto di credito nel rilascio RAGIONE_SOCIALE quietanze di pagamento dei Modelli F24.
4.2.2. Il contribuente assume che il giudice della revocazione, invece di pronunciarsi sulla causa di forza maggiore nel tardivo ritrovamento del documento e sulla decisività del medesimo, aveva deciso su altra questione, mai dedotta dalle parti, ovvero che il modello F24 del 15 aprile 2004 (ovvero quello contestato nel giudizio a quo ) non era conforme all’originale.
4.2.3. E’ pacifico che il Modello F24 contestato nel giudizio a quo risaliva al 15 aprile 2004. Il Modello F24 del 31 marzo 2009, prodotto soltanto nel giudizio di revocazione, nella prospettazione del contribuente, aveva rilevanza in quanto idoneo a provare il modus operandi dell’Unicredit nel rilascio RAGIONE_SOCIALE quietanze .
4.2.4. La RAGIONE_SOCIALE, con riferimento al Modello F24 del 2009, ha affermato che, in relazione al medesimo, non era in contestazione il pagamento dell’importo e che, pertanto, non vi erano dubbi sulla sua autenticità che, invece, investivano il Modello F24 del 15 aprile 2004.
Pertanto -se pure la RAGIONE_SOCIALE ha effettivamente espresso considerazioni estranee al giudizio revocatorio e relative al giudizio a quo -si è comunque pronunciata sul documento allegato dal contribuente a fondamento dell’istanza di revocazione escludendone la decisività ai fini della revocazione stessa.
4.2.5. In ogni caso, richiamando i principi già espressi nel § 4.1.3. e trattandosi, anche in questo caso, di questione di diritto, va rilevato che la decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata quando l’atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati (Cass. 11/10/2023, n. 28389).
Nel caso di specie il documento è stato prodotto dal contribuente nel giudizio di revocazione per provare la prassi seguita dall’Unicredit e non per fornire prova diretta dell’intervenuto pagamento.
Il ricorso avverso la sentenza di appello va anch’esso rigettato.
5.1. Il quarto motivo, da esaminarsi in via preliminare perché prospetta la nullità della sentenza, è inammissibile.
5.1.1. Il ricorrente assume che la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe pronunciata su un errore revocatorio mai denunciato dall’Ufficio appellante che, invece, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado in quanto fondata su un’erronea valutazione dei fatti.
5.1.2. Il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse errato nel ritenere che il Modello F24 prodotto in giudizio fosse idoneo ad estinguere
l’obbligazione tributaria ed ha precisato sul punto che, dalla documentazione prodotta dall’A mministrazione finanziaria, risultava chiaramente che nessun pagamento era stato eseguito. Se pure la C.t.r., nell’affermare che la C.t.p. aveva errato nel ritenere estinta l’obbligazione , ha fatto riferimento ad «un palese errore di fatto», ha reso motivazione attinente alla questione controversa, ovvero l’esistenza della prova del pagamento.
5.2. Il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono inammissibili.
5.2.1. La RAGIONE_SOCIALE ha risolto la controversia in fatto attraverso la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove. Ha rilevato che il documento era privo del timbro di quietanza e che era dirimente, ai fini di escludere che il contribuente avesse pagato quanto dovuto in ragione del condono a mezzo del Modello F24, la prova documentale allegata dalla Amministrazione Finanziaria. Si legge nel ricorso (pag. 14) che quest’ulti ma era costituita da una lettera a contenuto dichiarativo, datata 13 marzo 2009, con la quale l’Unicredit aveva dichiarato di non poter attestare il versamento in quanto non era emerso alcun pagamento del Modello F24 indicato dall’Ufficio e con la quale precisava che il timbro apposto era un timbro lineare e non un timbro di quietanza.
5.2.2. Correttamente il ricorrente evidenzia che il fatto controverso era se il Modello F24 prodotto fosse idoneo ad attestare il pagamento. Tenta, tuttavia, di allegare che quel documento provava il pagamento in quanto conforme alla normativa di settore.
La RAGIONE_SOCIALE tuttavia, non ha fatto erronea applicazione di quest’ultima, avendo semplicemente valutato, in fatto, le prove acquisite e concluso che il Modello F24 non era quietanzato e che l’Ufficio aveva fornito prova documentale dell’inesistenza del pagamento.
Il ricorrente mira a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere che il contribuente non avesse dimostrato di aver pagato le somme necessarie per accedere al condono. Così facendo, la ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si tenta di demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme, bensì l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
5.3. Il quinto motivo è inammissibile.
5.3.1. La Corte, a Sezioni Unite, (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), ha chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti.
5.3.2. La ricorrente si duole, in realtà, dell’omesso esame di elementi istruttori che, tuttavia, come chiarito da questa Corte, non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., qualora il fatto storico, rilevante in causa, ovvero il pagamento, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; il fatto storico non può identificarsi con il difettoso esame RAGIONE_SOCIALE prove acquisite.
5.4. Il sesto motivo è inammissibile.
5.4.1. Come già chiarito nel par. 4.1.1. cui si rimanda, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.
5.4.2. Non è controverso in fatto che la cartella impugnata aveva ad oggetto il pagamento di somme che l’Ufficio aveva ritenuto erroneamente sgravate per adesione al condono tombale atteso che il pagamento non era mai avvenuto. Secondo la prospettazione del contribuente, tuttavia, in ragione del precedente sgravio era cessata la materia del contendere sulle somme oggetto del medesimo.
Ciò posto, la C.t.r. si è pronunciata nel merito della pretesa tributaria – avanzata con la cartella emessa dopo lo sgravio e motivata in ragione dell’erroneità del medesimo -ritenendola legittima. Pertanto, ha implicitamente rigettato l’ eccezione del contribuente, restando escluso il vizio di omessa pronuncia.
In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.
Le spese del giudizio di legittimità, con riferimento al solo ricorso 27094/2015 in cui l’Ufficio si è difeso a mezzo controricorso, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e condanna la ricorrente a corrispondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di
legittimità relative al ricorso n. 27094/2015, che liquida in euro 5.600,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, degli ulteriori importo a titolo di contributo unificato pari a quelli previsti per i due ricorsi a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2023.