Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19158 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19158 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10544/2019 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dal Prof. Avv. NOME COGNOME giusta mandato a margine del ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
Pec: EMAIL
Pec: COGNOMEEMAIL
– ricorrente-
contro
Agenzia delle EntrateRAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
pecEMAIL
– controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del PIEMONTE, n. 1540/7/2018, pubblicata in data 1 ottobre 2018, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’intimazione di pagamento n . NUMERO_CARTA emessa da Equitalia Nord s.p.a. a seguito del mancato pagamento di due cartelle di pagamento.
I giudici di secondo grado hanno rigettato l’appello , confermando la sentenza di primo grado (che aveva deciso, uniformandosi alla giurisprudenza del giudice di legittimità, la piena efficacia probatoria dell’avvenuta notificazione dell’atto con la copia prodotta dell’avviso di ricevimento) affermando che:
-) le sentenze richiamate per intervenuto giudicato afferivano ad altra questione che risultava inconferente perché relativa ad altra ingiunzione di pagamento, abbandonata dall’agente della riscossione;
-) dall’esame dell’estratto di ruolo relativo alla cartella n. 010 2008 00081424800 la somma richiesta era di euro 45.881,26, da intendersi come importo residuo dovuto perché al netto di euro 32.473,20;
-) le due cartelle di pagamento, atti prodromici dell’avviso di intimazione di pagamento oggetto della controversia, avevano portato a conoscenza del contribuente anche le informazioni relative alle iscrizioni a ruolo a suo tempo operate dall’Agenzia delle Entrate e gli
eventuali vizi dei ruoli avrebbero dovuto essere eccepiti allora, essendo la lagnanza irricevibile nel giudizio;
-) l’intimazione di pagamento evidenziava la sottoscrizione e l’identificazione del responsabile del procedimento di emissione e di notifica dell’atto di riscossione con l’indicazione del nominativo, né rilevava la funzione (apicale o meno) della persona responsabile del procedimento;
-) la pretesa tributaria era divenuta definitiva e le censure sulla mancanza di motivazione in ordine alle somme richieste e sulla mancata sottoscrizione dei titoli e sulla mancanza del titolo esecutivo erano inammissibili per tardività;
-) l’omessa o erronea indicazione delle modalità per la presentazione del ricorso non determinava alcuna nullità, ma soltanto una irregolarità rilevante solo ai fini della decorrenza del termine di impugnazione;
-) anche la censura sul costo esposto per i compensi di riscossione era del tutto inammissibile per tardività e del tutto infondata.
COGNOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi e successiva memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate -Riscossione.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va disattesa la richiesta di differire la decisione del giudizio ad una data successiva al 30 marzo 2027, in quanto il ricorrente, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, ha proposto querela di falso principale avente ad oggetto la ricevuta di consegna n. NUMERO_CARTA della cartella n. NUMERO_CARTA e avverso l’atto di intimazione oggetto di impugnazione in questa sede che indicava che la notifica di tale cartella era avvenuta in data 24 giugno 2004 ed essendo stat a fissata l’udienza per la decisione del giudizio pendente in grado d’appello davanti alla Corte d’Appello di Torino, il 28 gennaio 2017.
1.1 A tale riguardo, si deve ribadire che, nel giudizio di cassazione, la querela di falso può essere proposta limitatamente agli atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, o ai documenti che possono essere prodotti ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., o ai soli vizi di nullità della sentenza per mancanza dei requisiti essenziali, di sostanza o di forma (Cass., 4 aprile 2018, n. 8377; Cass., 22 novembre 2006, n. 24856; Cass., 15 dicembre 2000, n. 15885; Cass., 14 giugno 1999, n. 5884). Viene dunque in rilievo la sola nullità che inficia direttamente la sentenza, e non anche la nullità che si è verificata nel processo e che solo indirettamente si riverbera sulla decisione (Cass., Sez. U., 25 luglio 2007, n. 16402). La querela di falso, per contro, non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione impugnata o che siano stati prodotti nel giudizio di merito, senza essere stati impugnati per la loro asserita falsità (Cass., Sez. U., 31 maggio 2011, n. 11964; Cass., 5 marzo 2004, n. 4603; Cass., 14 novembre 2001, n. 14147).
1.2 Ed infatti, nel giudizio di cassazione, ove si deduca la falsità degli atti del procedimento di merito, dev’essere proposta la querela di falso in via principale, com’è avvenuto nel caso di specie, con il conseguente corollario che, l’eventuale falsità degli atti del giudizio di merito, ove sia definitivamente accertata nella sede competente, può esser fatta valere come motivo di revocazione (Cass., 16 gennaio 2009, n. 986; Cass., 29 gennaio 2019, n. 2343; Cass., 6 novembre 2020, n. 24846). Una volta che sia stata accertata la falsità degli atti con sentenza passata in giudicato, è la revocazione, regolata dall’art. 395, primo comma, n. 2, cod. proc. civ., il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi. L’apprezzamento dell’incidenza delle prove false sulla sentenza che s’impugna per revocazione travalica i confini di un sindacato di pura legittimità e presuppone un giudizio, instaurato con l’indicazione di specifici motivi (art. 398, secondo comma, cod. proc. civ.) e contraddistinto da una cognizione piena e
dalla possibilità di svolgere ogni più appropriato approfondimento istruttorio. Nel giudizio di cassazione, non si può, dunque, dar luogo ad una mera declaratoria d’invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito, in virtù dell’accertata falsità degli atti (Cass., 27 aprile 2017, n. 10402; Cass., 23 ottobre 2014, n. 22517).
1.3 Questa Corte, anche di recente, ha affermato che « E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, senza censurare specificamente un error in procedendo o in iudicando della sentenza impugnata, si limiti a richiedere la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., in attesa della definizione della querela di falso proposta in via principale, dopo la sentenza d’appello, con riguardo agli atti su cui la sentenza medesima si fonda. L’eventuale falsità di tali atti, ove sia definitivamente accertata nella sede competente, può esser fatta valere soltanto come motivo di revocazione, con una compiuta valutazione dell’incidenza delle prove dichiarate false sul merito della controversia. Questa Corte non può procedere a una mera declaratoria d’invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito, in virtù dell’accertata falsità degli atti » (Cass., 17 febbraio 2023, n. 5058).
1.4 In conclusione, nel giudizio di cassazione, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito, la querela di falso va proposta in via principale, in quanto l’impugnazione per revocazione ex art. 395, primo comma, n. 2, cod. proc. civ., costituisce, una volta accertata la falsità dell’atto in questione, il solo mezzo per rescindere la sentenza fondata su atti dichiarati falsi, non potendosi dare luogo, nello stesso giudizio di cassazione, ad una mera declaratoria di «invalidità e/o nullità dei precedenti gradi di merito» (Cass., 6 novembre 2020, n. 24846).
Passando all’esame dei motivi, il primo motivo deduce, la nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c. p.c., dell’art. 118 disposizioni di attuazione c.p.c., dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del
1992, dell’ art. 111, comma 6, Cost., nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. La sentenza impugnata era nulla laddove aveva rigettato i primi due motivi di appello senza esporre alcuna effettiva motivazione di superamento delle censure proposte da NOME COGNOME col primo e col secondo motivo di appello. Dalla sentenza d’appello impugnata per cassazione non si ritraeva alcuna motivazione che consentiva di comprendere come potessero superarsi i giudicati già formatosi tra le parti con riferimento alla mancata notificazione del ruolo e della cartella e alla decadenza dal potere di accertamento, liquidazione e riscossione delle somme di che trattasi, già statuito: 1) dalla Commissione Tributaria Provinciale di Asti con la sentenza 94/02/11 resa a definizione del ricorso rg 435/10, depositata il 2 agosto 2011 e transitata in cosa giudicata ( Con ricorso 435/10 il Sig. COGNOME impugnava infatti una precedente intimazione di pagamento (n.2010/0002053) con cui Equitalia (in allora Sestri S.p.a.) rivendicava pagamento sempre della medesima cartella oggi nuovamente intimata (n. NUMERO_CARTA esposta come notificata il 24.02.2006): parte ricorrente eccepiva, tra i motivi svolti, la mancata notificazione della cartella e di ruoli intimati in pagamento (e di tutti gli atti prodromici) nonché la decadenza dal potere di riscossione delle somme pretese. Il ricorso veniva accolto e la sentenza è transitata in giudicato ); 2) dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte di Torino con sentenza nr. 11/30/13 depositata il 18 gennaio 2013, anch’essa transitata in giudicato ( Per le medesime ragioni subiva, infatti, analoga sorte di annullamento anche l’intimazione di pagamento n. 2009/0000351 sempre contenente l’intimazione di pagamento della stessa cartella nr. NUMERO_CARTA sempre esposta come notificata il 24.02.2006 e nuovamente oggi intimata ). Con riferimento al secondo motivo di appello, la CTR non aveva chiarito quale era l’altra «questione» cui erano afferenti le sentenze/giudicato e perché tale altra questione (rimasta ignota) era inconferente nel presente giudizio, essendo, con evidenza totalmente illogico e del tutto incomprensibile, che tale estraneità dipendeva dalla formazione del giudicato in un altro
processo tra le medesime parti e cosa significava e come superava l’eccezione di giudicato reiterata da NOME COGNOME con il secondo motivo di appello, l’affermazione per cui il concessionario avrebbe «abbandonato» le intimazioni precedentemente effettuate della medesima cartella, in quanto esse non erano state abbandonate ma annullate dai giudicati eccepiti, formatisi nel legittimo contraddittorio del concessionario e che avevano statuito riguardo alla mancanza di notifica della cartella stessa. La sentenza impugnata si limitava unicamente a richiamare e confermare in modo acritico la sentenza di primo grado e non esponeva alcuna effettiva ragione della disposta reiezione del secondo motivo di appello specificamente proposto ad impugnazione della sentenza di primo grado.
2.1 Il motivo è inammissibile e, pure, infondato.
2.2 È inammissibile perché censura la sentenza impugnata deducendo il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. e il vizio di omessa motivazione, che, com’è noto, sono vizi tra di loro eterogenei. Ed invero se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo , censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268).
2.3 Ed invero, l’ omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, che integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., si concreta nel difetto del momento decisorio e
per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass.,3 marzo 2020, n. 5730).
2.4 Ciò posto, nel caso in esame, non vi è stata alcuna omessa pronuncia, poiché la Commissione tributaria regionale ha affermato, peraltro con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, la piena efficacia probatoria dell’avvenuta notificazione dell’atto con la copia prodotta dell’avviso di ricevimento, in quanto il disconoscimento del documento foto-riprodotto non era stato motivato dal contribuente, che si era limitato ad eccepire l’assenza dell’originale e che le sentenze richiamate per intervenuto giudicato afferivano ad altra questione che risultava inconferente perché relativa ad altra ingiunzione di pagamento, abbandonata dall’agente della riscossione (secondo motivo di appello), all’evidenza, riferendo l’altra questione al diverso atto oggetto di impugnazione (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
2.5 Il motivo è pure infondato sotto lo specifico profilo del vizio motivazionale.
2.6 E’ orientamento consolidato di questa Corte ritenere che gli estremi della dedotta doglianza di nullità processuale della sentenza, per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente, siano integrati nell’ipotesi di « assenza » della motivazione, quando cioè « non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua
eventuale verifica in sede di impugnazione », non configurabile nel caso di « una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata » (cfr. Cass., 15 novembre 2019, n. 29721) ovvero nel caso di « motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado » (cfr. Cass., 25 ottobre 2018, n. 27112) ovvero (è quello che rileva in questa sede) qualora la motivazione « risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione » (Cass., 25 settembre 2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione », Cass., 25 giugno 2018, n. 16611).
2.7 La Corte, poi, con orientamento condiviso, ha affermato che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., 5 novembre 2018, n. 28139; Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 3 febbraio 2021, n. 2397; Cass., 2 agosto 2022, n. 23997, in motivazione).
2.8 In altre parole, la motivazione per relationem non è inesistente e la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte
territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
2.9 Nel caso di specie, non si è verificata questa evenienza, perché la Commissione tributaria regionale, con la motivazione sopra richiamata non si è limitata ad esprimere la propria adesione alla sentenza di primo grado, ma, dando contezza specifica dei motivi di gravame, ha adottato una motivazione del tutto conferente alla fattispecie concreta portata alla sua cognizione, in cui emerge una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza del primo e del secondo motivo di gravame.
Il secondo motivo deduce, in via subordinata, rispetto al motivo che precede, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nel quadro dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La sentenza finiva per concludere, in contrasto con quanto la legge disponeva, l’irrilevanza di sentenze, già rese nel valido e legittimo contraddittorio formatosi tra le medesime parti e transitate in giudicato, che accertavano e statuivano fatti (mancata notifica della cartella intimata) che non potevano più essere posti in discussione e la cui prova era quindi ormai irrimediabilmente preclusa.
3.1 Il motivo è inammissibile perché secondo la giurisprudenza di questa Corte affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass., 23 agosto 2018, n. 20974); la parte che eccepisce il giudicato esterno ha, dunque, l’onere di fornirne la prova, non soltanto producendo la sentenza emessa in altro procedimento, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la stessa non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in
giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Cass., 2 marzo 2022, n. 6868), onere che, nel caso in esame, non è stato assolto dal ricorrente, stante che le sentenze depositate in atti sono prive della certificazione attestante il passaggio in giudicato rilasciata dalla Cancelleria.
4. Il terzo motivo deduce, in via ulteriormente subordinata, la nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art.132, comma 2, n. 4, c.p.c.; dell’art. 118 disposizioni di attuazione c.p.c.; dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 111, comma 6, Cost., nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata non aveva fornito la ragione del rigetto della censura che il ricorrente aveva proposto con la seconda parte del secondo motivo di appello (e riproposta con la memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 del grado di appello), con cui era stato dedotto l’errore della sentenza di primo grado che aveva affermato come dimostrata l’avvenuta notifica della cartella n. NUMERO_CARTA In particolare, il Giudice d’appello non aveva verificato e accertato, pure se richiesto, che dalla fotocopia prodotta agli atti del giudizio di primo grado da Equitalia non risultava alcuna sottoscrizione del ricevente della pretesa consegna/notifica della cartella e che le aggiunte apocrife risultanti da tale documento (anche se in fotocopia) in quanto non si trattava di sottoscrizioni, né di attestazioni, nulla dimostravano e non consentivano affatto di ritenere raggiunta la prova di avvenuta consegna e di notifica. La pronuncia d’appello si rendeva extra petita poiché aveva respinto una ragione di appello che non apparteneva al giudizio (ovvero l’avvenuta notifica della cartella n. NUMERO_CARTA) e aveva finito per respingere il secondo motivo di appello in forza di una questione estranea al contraddittorio processuale e agli atti del giudizio.
4.1 Il motivo, che ribadisce profili di censura già sollevati con il primo motivo e che sono relativi alla stessa parte di motivazione di cui alla sentenza impugnata, è, per quanto già rilevato, parimenti inammissibile e infondato, dovendosi ulteriormente richiamare la giurisprudenza di questa Corte che, in merito alla corretta interpretazione degli artt. 2719 e 2712 c.c., ha affermato che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata a pena di inefficacia in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass., 30 settembre 2018, n. 27633; Cass., 20 giugno 2019, n. 16557, in questa seconda pronuncia con specifico riferimento al generico disconoscimento delle relate di notifica). D’altronde si è anche affermato che in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda in concreto l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24323; Cass., 1 luglio 2020, n. 13387).
4.2 Non esiste nemmeno il lamentato vizio di extrapetizione, in quanto la CTR ha espressamente affermato, a pag. 5 della sentenza impugnata
la piena efficacia probatoria dell’avvenuta notificazio ne della cartella con la copia dell’avviso di ricevimento, in quanto, come già nel giudizio di primo grado, anche nel giudizio di secondo grado il contribuente si era limitato ad eccepire l’assenza dell’originale e non aveva motivato il disconoscimento del documento prodotto nel giudizio.
4.3 Ed invero, come già precisato che « il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge » (Cass., 5 agosto 2019, n. 20932).
5. Il quarto motivo deduce la nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., dell’art. 1 18 disposizioni di attuazione c.p.c., dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 111, comma 6, Cost., nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al terzo motivo di appello, con cui la sentenza di primo grado era stata impugnata per avere respinto il primo motivo, punto B del ricorso di primo grado, che aveva confermato l’intimazione a pagare una cartella non esigibile (la n. NUMERO_CARTA ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 336, comma 2, c.p.c. (pagamento relativo alla riscossione frazionata ex art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 della frazione dipendente dalla sentenza n. 18/2008 della CTR Piemonte, sentenza cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza
n. 20981 del 16 ottobre 2015) e che non teneva conto della quietanza dell’importo di euro 32.473,20 .
5.1 Senza prescindere dal profilo di inammissibilità della censura che deduce ancora una volta il vizio di motivazione e il vizio di omessa pronuncia (cfr. Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268), il motivo è infondato, in quanto la CTR, dopo avere affermato che il giudice di primo grado, esaminate le produzioni dell’ente di riscossione, aveva riscontrato che quanto preteso con l’intimazione di pagamento era dovuto in conformità allo stato di quella causa (secondo quanto prescritto dall’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 che disciplina l’esecuzione della pretesa tributaria nel corso del giudizio) e che la sentenza della CTR cassata costituiva il limite della richiesta, limite rimosso essendo l’importo richiesto al netto dell’intervenuto pagamento, ha affermato che dall’esame dell’estratto di ruolo relativo alla cartella n. NUMERO_DOCUMENTO la somma richiesta era di euro 45.881,26, da intendersi come importo residuo dovuto perché al netto di euro 32.473,20 (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
5.2 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
5.3 È, altresì, evidente che la censura, così come formulata, è inammissibile, in quanto diretta a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di
motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
Il quinto motivo deduce, in via subordinata, rispetto al quarto motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 336, comma 2, c.p.c. e 2909 c.c. nel quadro dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La sentenza era errata perché concludeva che la sentenza in forza della quale era avvenuta l’iscrizione a ruolo oggetto di intimazione di pagamento, sebbene cassata, manteneva efficacia esecutiva illimitata. Ed invero, la sentenza n. 18/08 della CTR del Piemonte su cui poggiava l’iscri zione a ruolo portata dalla cartella n. NUMERO_CARTA ed intimata in pagamento dell’atto impugnato nel giudizio era stata cassata.
6.1 Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto come emerge, a pag. 12 del controricorso, la pretesa è stata oggetto di provvedimento di discarico totale, con la conseguenza che sulla stessa va dichiarata la cessazione della materia del contendere, dovendo precisarsi, a fronte della mancata restituzione delle somme dedotta nella memoria, che il contribuente può presentare istanza di rimborso delle somme dovute all’Amministrazione finanziaria.
Il sesto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, dell’art. 24 Cost., per mancanza di motivazione dell’atto di intimazione e, quindi, delle somme intimate in pagamento, per sopravvenuta caducazione dei titoli esecutivi presupposti -cartelle e ruoli -nel tempo della notifica dell’intimazione, per mancata indicazione dei responsabili del procedimento a cui rivolgersi, della conseguente lesione del diritto
di difesa a cagione delle predette omissioni, violazione dell’art. 41 CDFUE per mancata indicazione del responsabile del procedimento dell’ente preteso creditore di Imposta Iva ed accessori con cui interloquire e far valere le questioni predette, nonché violazione dell’art. 21 del decreto legislativo n. 546 de 1992, non sussistendo tardività nel sollevare eccezioni riferite a fatti sopravvenuti alle cartelle nel tempo di sessanta giorni dalla notifica dell’atto di intimazione di pagamento tempestivamente impugnato, nel quadro dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c..
7.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
7.2 Ed invero, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata (cfr. Cass., 30 aprile 2018, n. 10320) e, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
7.3 Il motivo è, comunque, pure infondato, in quanto i giudici di secondo grado hanno proceduto all’esame delle doglianze esposte dal contribuente ritenendo, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, che: le due cartelle di pagamento, atti prodromici dell’avviso di
intimazione di pagamento oggetto della controversia, avevano portato a conoscenza del contribuente anche le informazioni relative alle iscrizioni a ruolo a suo tempo operate dall’Agenzia delle Entrate e gli eventuali vizi dei ruoli avrebbero dovuto essere eccepiti allora, essendo la lagnanza irricevibile nel giudizio (Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281; Cass., 23 ottobre 2024, n. 27504) ; l’intimazione di pagamento evidenziava la sottoscrizione e l’identificazione del responsabile del procedimento di emissione e di notifica dell’atto di riscossione con l’indicazione del nominativo, né rilevava la funzione (apicale o meno) della persona responsabile del procedimento (Cass., 31 dicembre 2015, n. 26053; Cass., 3 ottobre 2016, n. 19761; Cass., 29 agosto 2018, n. 21290); la pretesa tributaria era divenuta definitiva e le censure sulla mancanza di motivazione in ordine alle somme richieste e sulla mancata sottoscrizione dei titoli e sulla mancanza del titolo esecutivo erano inammissibili per tardività (Cass., 5 agosto 2024, n. 22108; Cass., 31 ottobre 2017, n. 25995); l’omessa o erronea indicazione delle modalità per la presentazione del ricorso non determinava alcuna nullità, ma soltanto una irregolarità rilevante solo ai fini della decorrenza del termine di impugnazione Cass., 16 settembre 2021, n. 25023); anche la censura sul costo esposto per i compensi di riscossione era del tutto inammissibile per tardività e del tutto infondata (Cass., 14 febbraio 2018, n. 3524) .
8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere con riferimento alla cartella n. NUMERO_CARTA
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del r icorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2025.