Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20852 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20852 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO del Foro di Cassino, che ha indicato recapito EMAIL, avendo il ricorrente dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore, alla INDIRIZZO in Caserta;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’RAGIONE_SOCIALE, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 9806, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 20.10.2017, e pubblicata il 17.11.2017;
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Irpef 2010 – Avviso di accertamento – Indagini bancarie – Maggior reddito – Natura – Redditi diversi, o da lavoro autonomo.
La Guardia di Finanza svolgeva verifiche della posizione fiscale di NOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, concluse con Processo Verbale di Costatazione del 27.4.2012. L’accertato promuoveva procedura di accertamento con adesione che si concludeva con esito negativo.
Sul fondamento del PVC l’RAGIONE_SOCIALE notificava al contribuente l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, avente ad oggetto il maggior reddito da lavoro autonomo percepito nell’anno 2010, conseguendone la richiesta di maggiori imposte ai fini Irpef per il valore dichiarato di Euro 93.689,00.
NOME impugnava l’atto impositivo, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, proponendo plurime censure, procedimentali e di merito, ed affermando anche l’infondatezza della qualificazione del maggior reddito percepito come provento da lavoro autonomo, mentre avrebbe dovuto essere iscritto tra i redditi diversi. La CTP, riqualificato il maggior reddito percepito quale provento di attività imprenditoriale (ric., p. 4), riteneva infondate le difese proposte dal contribuente, e rigettava il suo ricorso.
NOME spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita dai primi giudici, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che rigettava l’impugnativa confermando la decisione dei primi giudici.
Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione assunta dalla CTR, affidandosi a sei motivi di impugnazione. L’Amministrazione finanziaria resiste mediante controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., il contribuente contesta la nullità della sentenza impugnata a causa dell’omessa pronuncia, e comunque la violazione dell’art. 42, commi 1 e 3, del Dpr n. 600
del 1973, dell’art. 56, primo comma, del Dpr n. 633 del 1972, dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, degli artt. 3, 5 e 6, del Regolamento di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e dell’art. 53, commi 1 e 18, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere il giudice del gravame rilevato la radicale nullità dell’atto impositivo perché sottoscritto da funzionario non legittimato.
Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la CTR per non aver indicato la categoria fiscale RAGIONE_SOCIALE somme versate sui conti correnti riferibili al contribuente, mentre l’avviso di accertamento afferma che trattasi di redditi di lavoro autonomo, e in realtà sono da ascriversi alla categoria dei redditi diversi.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e 4, il contribuente critica la nullità della pronuncia della CTR in ragione dell’omessa pronuncia, e comunque la violazione degli artt. 51, secondo comma, del Dpr n. 633 del 1972, dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), e dell’art. 2697 cod. civ., perché il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto legittimo l’atto impositivo, che ascrive ad NOME la percezione di un maggior reddito da lavoro autonomo, ma nell’assenza di ogni prova, anche presuntiva, che una simile attività sia stata svolta nel periodo d’imposta.
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta nuovamente la nullità della pronuncia della CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e dell’art. 118, primo comma, Disp. att. cod. proc. civ., per non avere il giudice dell’appello assolutamente motivato sul perché abbia ritenuto di non condividere la valutazione della CTP, che aveva ascritto il maggior reddito conseguito ai proventi di attività imprenditoriale, ed avere invece qualificato il maggior
reddito quale provento di lavoro autonomo, nell’assenza di ogni prova in merito.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione della legge n. 311 del 2004, per avervi la CTR operato riferimento per affermare la imponibilità dei versamenti rinvenuti sui conti correnti qualificandoli quali redditi da lavoro autonomo, liddove questa qualificazione è stata solo supposta.
Mediante il sesto strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 2909 cod. civ., per non avere il giudice dell’appello tenuto alcun conto della pronuncia della stessa CTR che, in riferimento alle medesime questioni qui dibattute tra le parti, ma in relazione al diverso anno d’imposta 2008, ha invece accolto le ragioni del contribuente, affermando che il maggior reddito percepito debba essere sottoposto a tributo quale reddito diverso, e non da lavoro autonomo.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente contesta la nullità della sentenza in conseguenza dell’omessa pronuncia in merito e comunque della violazione di legge, in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame per non avere accolto la censura relativa alla radicale nullità dell’atto impositivo perché sottoscritto da funzionario non legittimato.
Segnala il ricorrente che l’avviso di accertamento non risulta sottoscritto dal Direttore provinciale dell’RAGIONE_SOCIALE, bensì dal Capo RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME), in base alla disposizione di servizio n. 26/2015. Tuttavia, secondo il ricorrente, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 37 del 2015, gli incarichi dirigenziali conferiti a termine dall’Amministrazione finanziaria, senza espletare pubblici concorsi, sono divenuti illegittimi, comportando l’invalidità degli atti sottoscritti dai funzionari irregolarmente nominati. Nella
prospettazione del ricorrente ‘l’Ufficio aveva l’onere di dimostrare che il funzionario sottoscrittore dell’atto impositivo aveva superato il pubblico concorso della qualifica dirigenziale …’ (ric., p. 6).
7.1. La CTR non ha pronunciato sulla questione, su cui aveva però espresso le proprie valutazioni la CTP (ric., p. 4) di cui il giudice dell’appello ha condiviso la decisione, ed il ricorrente non ha cura di riportare in qual modo abbia proposto le proprie contestazioni in merito in grado di appello, impedendo a questa Corte di assolvere al proprio compito di verificare la tempestività e congruità RAGIONE_SOCIALE contestazioni proposte dal ricorrente nei gradi di merito del giudizio.
Il motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile.
7.2. Solo per completezza appare allora opportuno rilevare che in realtà la Corte costituzionale, nel pronunciare l’illegittimità dell’attribuzione sistematica RAGIONE_SOCIALE mansioni dirigenziali senza che fossero espletati concorsi ha sancito l’illegittimità degli incarichi, ma non ha affermato l’illegittimità degli atti sottoscritti dai funzionari delegati.
Questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di chiarire che ‘in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto RAGIONE_SOCIALE per il quadriennio 20022005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012′, Cass. sez. V, 26.2.2020, n. 5177 (conf. sez. VI-V, 10.12.2019 n. 32172).
Nel caso di specie il ricorrente neppure allega che il sottoscrittore dell’avviso di accertamento non possedesse la
qualifica professionale che abilitava alla possibilità di essere delegato ai fini della sottoscrizione del documento.
Il primo motivo di impugnazione risulta pertanto inammissibile.
Mediante i suoi strumenti di impugnazione dal secondo al quinto il ricorrente censura, in relazione ai profili della nullità della sentenza per omessa pronuncia e della violazione di legge, la decisione adottata dalla CTR per aver affermato la legittimità dell’avviso di accertamento, pertanto anche in relazione alla percezione di un maggior reddito da lavoro autonomo, in assenza di prova, anche indiziaria, del ricorrere di una simile circostanza, mentre la CTP aveva ritenuto di qualificare i maggiori redditi quale provento di attività d’impresa, e in realtà sono piuttosto da ascriversi alla categoria dei redditi diversi, come ritenuto dalla Guardia di Finanza nel suo PVC.
8.1. Sono dati pacifici che il ricorrente NOME, oltre ad aver esercitato l’attività di amministratore di società, è un architetto, che ha dichiarato di aver svolto la propria attività libero professionale dal 1992 e fino al 27.12.2007, per poi sospenderla chiudendo la partita Iva, e riprenderla il 1°.2.2012.
La verifica tributaria nei suoi confronti ha permesso di acclarare che, quale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE aveva concluso una transazione immobiliare milionaria, sottofatturandola, ed ottenendo versamenti in nero oltre il prezzo dichiarato. Nella ricostruzione dei verificatori, fondata anche sulle dichiarazioni confessorie rilasciate dalla controparte commerciale, i verificatori hanno accertato che parte RAGIONE_SOCIALE somme corrisposte al nero erano state erogate per favorire il consenso dei soci all’operazione. La Guardia di Finanza ha quindi svolto accertamenti bancari nei confronti del ricorrente e di sua moglie, e nei conti correnti a lui riferibili si è rinvenuto non solo il riscontro della fondatezza della ricordata ipotesi di sottofatturazione, ma anche altre decine di versamenti registrati nell’anno 2010 in contestazione, di cui il
contribuente non è stato in grado di fornire giustificazioni. I Militari hanno ritenuto che ricorresse l’ipotesi di percezione di redditi diversi non dichiarati da parte del contribuente.
A sua volta l’Amministrazione finanziaria ha condiviso la ricostruzione degli operanti, ma ha ritenuto che i versamenti non giustificati rinvenuti sui conti bancari riferibili al contribuente dovessero ricondursi allo svolgimento dell’attività professionale di architetto, retribuita come suol dirsi in nero, non essendosi il ricorrente mai cancellato dall’albo professionale.
8.2. Il contribuente non contesta di non essere stato in grado di giustificare i versamenti rinvenuti sul suo conto corrente, ma contrasta la valutazione espressa dall’Amministrazione finanziaria secondo cui i maggiori redditi dovrebbero ascriversi allo svolgimento di attività professionale, soggetta ad Iva, non essendovi alcuna prova in merito e non essendo peraltro riconducibile all’attività di lavoro autonomo l’unica irregolarità effettivamente accertata. Domanda perciò che i maggiori redditi accertati siano qualificati e tassati quali redditi diversi, come avevano in principio ritenuto gli stessi verbalizzanti della Guardia di Finanza.
8.3. Il giudice dell’appello pronuncia sinteticamente sulla questione controversa ed osserva che ‘nella fattispecie il contribuente è onerato di provare l’estraneità RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie alla presunta attività professionale supposta dall’Ufficio. Come disciplinato dalla legge 30.12.04 n. 311 ogni operazione cade sotto la presunzione di imponibilità, se il contribuente non dà la prova contraria. Il contribuente nulla prova’ (sent. CTR, p. 2).
8.4. Occorre premettere che i maggiori redditi del contribuente accertati, e non giustificati, devono senz’altro essere assoggettati all’imposizione tributaria, come correttamente rileva la CTR, la questione controversa attiene soltanto alla individuazione
dell’esatta categoria fiscale alla quale tale maggior reddito deve essere ascritto.
In proposito la motivazione adottata dalla CTR appare apodittica. La presunzione che nell’anno 2010 il contribuente svolgesse l’attività di architetto risulterebbe fondata, a quanto è dato comprendere, sul fatto che lo stesso COGNOME NOME ammette di aver svolto attività libero professionale anni prima, e di avere ripreso a svolgerla anni dopo. L’onere del contribuente di contrastare le presunzioni offerte dall’RAGIONE_SOCIALE, offrendo la prova contraria, sorge soltanto quando la prova positiva sia stata assicurata dall’Ente impositore, anche mediante presunzioni ma, nel caso di specie, da quanto emerge dalla pronuncia impugnata risultano allegate solo ragioni di sospetto prive di riscontro. Il giudice dell’appello non chiarisce per quale ragione ritenga provato che il maggior reddito risulti il provento di un’attività libero professionale svolta dal contribuente. La qualificazione dei maggiori introiti percepiti dal ricorrente quali redditi diversi, come originariamente ritenuto dalla Guardia di Finanza, allo stato degli atti, risulta pertanto verosimile.
Le critiche mosse dal contribuente con i suoi motivi di ricorso dal secondo al quinto appaiono pertanto fondate, nei limiti esposti, e devono perciò essere accolte.
Mediante il sesto strumento di impugnazione il ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per non avere tenuto in alcun conto la pronuncia della CTR n. 7746/2016 che, in riferimento alle medesime questioni qui dibattute tra le parti, ma in relazione al diverso anno d’imposta 2008, ha invece accolto le ragioni del contribuente, affermando che il maggior reddito da lui percepito debba essere sottoposto a tributo quale reddito diverso, e non da lavoro autonomo.
9.1. Merita in proposito di essere evidenziato che la decisione n. 7746 del 2016, pronunciata dalla CTR della Campania ed
invocata dal ricorrente, non è divenuta definitiva, essendo stata impugnata per cassazione dall’Amministrazione finanziaria, assumendo il NUMERO_DOCUMENTO, ed il processo è stato trattato contestualmente nell’odierna udienza. Risulta pertanto incongruo il richiamo operato dal ricorrente all’orientamento assunto da questa Corte secondo cui occorre (peraltro in taluni casi) tener conto di precedenti tra le stesse parti aventi analogo oggetto che siano stati decisi con efficacia di giudicato (cfr. ric., p. 10).
Inoltre, la critica del ricorrente non tiene conto del principio di autonomia dei periodi d’imposta.
Il sesto motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere rigettato.
10. In definitiva deve pertanto essere dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso e rigettato il sesto, mentre i motivi dal secondo al quinto devono essere accolti nei limiti di ragione, con riferimento alla qualificazione dei maggiori redditi percepiti dal contribuente, cassandosi la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania perché proceda a nuovo giudizio.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie nei limiti di ragione i motivi dal secondo al quinto del ricorso proposto da COGNOME NOME , dichiarato inammissibile il primo e rigettato il sesto, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma l’11 luglio 2024.