Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29081 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29081 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31516/2019 R.G. proposto da :
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dalla Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3290/2019 depositata il 31/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con gli avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO emessi, rispettivamente per gli anni d’imposta 2013, 2014 e 2015 , l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entRAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’esame della documentazione reperita con il questionario n. NUMERO_DOCUMENTO/2016 ex art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 con particolare riguardo ai rapporti intercorsi tra la società RAGIONE_SOCIALE (nel prosieguo RAGIONE_SOCIALE) e la società di diritto britannico RAGIONE_SOCIALE (nel prosieguo
RAGIONE_SOCIALE), diversamente da quanto contabilizzato dalla società, l’Ufficio riqualificava i compensi erogati nei confronti della società di diritto inglese RAGIONE_SOCIALE da provvigioni a royalties contestando alla contribuente l’omesso versamento RAGIONE_SOCIALE ritenute ex art. 25 comma 4 del D.P.R. n. 600/1973 a soggetti non residenti.
Con gli atti impositivi suddetti l’Ufficio recuperava ritenute non versate pari rispettivamente a € 113.156,55 per l’ anno 2013, € 11.137,00 per l’ anno 2014 ed € 114.331,50 per l’ anno 2015.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava gli avvisi di accertamento avanti alla CTP di Pavia che, riuniti i ricorsi, li accoglieva, ritenendo che nella fattispecie non si trattasse di royalties, ma di provvigioni versate per l ‘attività di ricerca della clientela e raccolta di ordini svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, secondo quanto previsto da ll’accordo di ‘service charge’ stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE, che in base a tale accordo si sarebbe limitata a produrre scarpe e borse, apponendovi il marchio RAGIONE_SOCIALE e vendendole a licenziatari del mercato americano e asiatico e, in Europa, ai rivenditori e franchisee indicati dalla società del Regno Unito.
L’RAGIONE_SOCIALE proponeva appello ed il gravame veniva accolto, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla CTR della Lombardia, che riteneva corretta la riqualificazione operata dall’Ufficio.
Avverso la predetta sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE con otto motivi e resiste con controricorso l ‘Amministrazione.
Il pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta, chiedendo accogliersi il terzo e quarto motivo di ricorso.
Infin e, in prossimità dell’adunanza, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380bis.1 c.p.с.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.с. la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 36 D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Deduce la nullità processuale per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per ultrapetizione della sentenza rispetto alla domanda del l’ RAGIONE_SOCIALE ricorrente, affermando che la sentenza in appello consta di un contenuto “sovrabbondante” rispetto alla domanda formulata nel ricorso in appello dell’RAGIONE_SOCIALE. Ciò in quanto, sostiene la ricorrente, il motivo di appello accolto aveva censurato la assenza di motivazione della sentenza e non il merito della decisione. Pertanto, la CTR avrebbe violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.с., in quanto ha riformato la sentenza di prime cure perché ritenuta violativa della nozione e della disciplina tributaria RAGIONE_SOCIALE royalties, anziché per difetto di motivazione, pronunciando su una domanda che, pacificamente, non gli era stata rivolta.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Il ricorso alla Commissione tributaria di secondo grado ha, al pari dell’appello, effetto devolutivo, con la conseguenza che il giudice del gravame risulta investito, sia pure nell’ambito del capo di decisione oggetto di censura, del riesame di tutte le questioni da questo stesso capo implicate e, quindi, della rinnovazione del relativo giudizio (Cass. Sez. 5, 22/09/2021, n. 25608; Cass. Sez. 6, Cass. n. 7369 del 22/03/2017; Cass. Sez. 5, n. 3064 del 29/02/2012; Cass. Sez. 5, n. 4784 del 28/02/2011; Cass. Sez. 5, n. 14031 del 16/06/2006).
1.3. Pertanto, in ossequio a tali principi, il giudice di riesame non avrebbe dovuto/potuto pronunciarsi solo circa il vizio di difetto di motivazione della sentenza, ma era anche investito del giudizio sul merito della controversia, così come è stato chiesto dall’Ufficio nel proprio atto di appello, con argomentazioni evocate, seppure per
sintesi, nel controricorso e che trovano richiamo anche nel ricorso della società contribuente (v. ricorso, p. 12).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del l’ art. 23, comma 2, lett. c) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell’art. 25, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 1322 c.c. , dell’art. 1742 c.c. e dell’art. 1 della L. 18 giugno 1998, n. 192 .
2.1. Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata violerebbe la materia impositiva dei compensi da utilizzazione dei marchi e la normativa sui contratti atipici, qualificando erroneamente come royalties le provvigioni corrisposte dalla ricorrente alla RAGIONE_SOCIALE per l’ attività di ricerca e assegnazione della clientela.
A tale riguardo osserva che la sentenza di appello giustifica tale riqualificazione RAGIONE_SOCIALE provvigioni attraverso l’estrazione della causa concreta, la funzione economico-sociale, dal contratto di ‘ service charge ‘ , attraverso un ragionamento che prende in considerazione l’attività complessiva della RAGIONE_SOCIALE, ovvero i rapporti intrattenuti dalla ricorrente sia con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sia con RAGIONE_SOCIALE.
La ricostruzione operata sarebbe contraddittoria, in primo luogo in quanto se le indennità in discorso fossero davvero il corrispettivo dell’uso del marchio, non si comprende rebbe come il loro valore possa essere correlato all’attività di intermediazione della RAGIONE_SOCIALE; inoltre, non si giustificherebbe il fatto che la remunerazione dovrebbe provenire anche dai licenziatari e franchisee del marchio medesimo, venditori finali degli articoli confezionati dalla RAGIONE_SOCIALE; ancora, osserva la ricorrente, se fosse vero che RAGIONE_SOCIALE valorizza il marchio intrattenendo i rapporti con i clienti e RAGIONE_SOCIALE produce su commissione, non si comprenderebbe perché NOME dovrebbe pagare RAGIONE_SOCIALE royalties per l’uso del marchio. Contraddittoriamente la sentenza giustificherebbe l’obbligo di corrispondere le royalties ora
perché corrispettivo dell’uso del marchio, ora, erroneamente, quale ristoro RAGIONE_SOCIALE spese di gestione commerciale.
In sintesi, la ricostruzione in fatto dei rapporti intercorrenti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, secondo cui la RAGIONE_SOCIALE corrisponde alla RAGIONE_SOCIALE indennità correlate al quantitativo di clientela ad essa assegnata, mentre la RAGIONE_SOCIALE già riceve royalties da altri soggetti licenziatari, insieme ai quali svolge la funzione di sfruttamento commerciale/reperimento di clientela del marchio, escluderebbe la possibilità di qualificare i corrispettivi come royalties ossia come contropartita dello sfruttamento di beni immateriali per fini commerciali e/o di lucro. Ciò in quanto la RAGIONE_SOCIALE svolge la mera funzione di produzione dei prodotti per RAGIONE_SOCIALE, ed è priva di autonomia in punto di ricerca clienti, individuazione di prodotti e mercati.
2.2. Ancora, osserva la ricorrente che l’ RAGIONE_SOCIALE, sin dagli atti impositivi, ha ritenuto di non potere applicare la tassazione sostitutiva di cui all’art. 12 del modello Ocse contro le doppie imposizioni, vigente tra Italia e Regno Unito, in quanto, a suo dire, la RAGIONE_SOCIALE non sarebbe il beneficiario effettivo del marchio, che non sarebbe ricompreso tra le relative immobilizzazioni immateriali inscritte in bilancio. Tale prospettazione risulterebbe contraddittoria, in quanto se davvero la RAGIONE_SOCIALE non è il beneficiario effettivo del marchio, allora nessuna royalty per il presunto utilizzo del marchio potrebbe esserle corrisposta dalla RAGIONE_SOCIALE
2.3. Infine, i giudici di appello sarebbero incorsi in errore nella individuazione e applicazione della legge applicabile al contratto, in quanto il ‘ Revised agreement ‘ stipulato tra le società sarebbe qualificabile come contratto atipico, che consente all’RAGIONE_SOCIALE di operare per un marchio internazionale del lusso, pur senza assumere la gestione commerciale del marchio, né poterlo sfruttare, e dunque non sarebbe riconducibile alla fattispecie della licenza di uso del marchio,
la cui causa tipica consiste nello sfruttamento commerciale e autonomo del marchio del concedente da parte del concessionario. In realtà, l’ attività della RAGIONE_SOCIALE risulterebbe essere meramente materiale, o di ‘fabbricazione’ , mentre l ‘atipicità del contratto consisterebbe nel fatto che la fatturazione dell’attività esecutiva della RAGIONE_SOCIALE viene devoluta alla ricorrente medesima, la quale poi provvede a trasferire alla RAGIONE_SOCIALE UK le relative provvigioni, con uno schema che richiama la strutturazione produttiva del contratto di subfornitura, ovvero di quello di agenzia.
2.4. Il motivo è infondato.
2.5. La definizione ai fini tributari di royalty (in traduzione RAGIONE_SOCIALE ‘ canone ‘ ) è contenuta nell’art. 26-quater, comma 3, del DPR 600/73, a mente del quale «Si considerano canoni, i compensi di qualsiasi natura percepiti per l’uso o la concessione in uso: (…) 2) di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico (…)’ .
Tale nozione rispecchia quella presente all’articolo 12, paragrafo 2, del Modello OCSE di Convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi del 1996.
2.6. Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE ha correttamente ricondotto alla nozione di royalties i corrispettivi versati dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, qualificando il rapporto contrattuale intercorso tra le parti come contratto di licenza di fabbricazione ed uso del marchio, nel quale il concedente attribuisce al licenziatario il diritto, limitato temporalmente, di produrre un certo prodotto, di apporvi il proprio marchio, e di rivenderlo a terzi, sia pure con le limitazioni della clientela imposte dalla RAGIONE_SOCIALE a tutela del prestigio del marchio e, con la previsione di una disciplina restrittiva, quanto all’uso di disegni e modelli forniti dalla medesima RAGIONE_SOCIALE, in funzione della protezione RAGIONE_SOCIALE privative.
In poche parole, la RAGIONE_SOCIALE può produrre e vendere scarpe con il marchio RAGIONE_SOCIALE perché chi detiene quel diritto glielo ha ceduto dietro il pagamento di un compenso unico o percentuale nel rispetto di alcune regole definite nel contratto di licenza; né la presenza di limitazioni e di divieti, usuali nei contratti di licenza, comportano una negazione dello sfruttamento del marchio, sì che la fattispecie è stata correttamente riqualificata, ai fini tributari, come contratto di licenza di fabbricazione ed uso del marchio.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione al l’ art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione RAGIONE_SOCIALE regole di interpretazione del contratto secondo le intenzioni dei contraenti ex art. 1362 c.c., secondo l’ interpretazione complessiva RAGIONE_SOCIALE clausole ex art. 1363 c.c. e secondo buona fede ex art. 1366 c.c., de ll’ art. 1325 c.c., del l’ art. 1742 c.c. e de ll’ art. 1 della L. 18 giugno 1998, n. 192.
Deduce la ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe interpretato il contratto prescindendo dalle regole stabilite nel codice civile a tal fine e violandole illegittimamente ed avrebbe violato i canoni di interpretazione del contratto, ritenendo irrilevanti le clausole del ‘ Revised agreement ‘ che siano contrastanti con la prospettazione del rapporto causale individuata dal Giudice d’appello.
I giudici di appello avrebbero violato i principi di ermeneutica, laddove hanno ritenuto prevalente, sul tenore letterale del contratto, la funzione concreta che in esso assolvono le prestazioni RAGIONE_SOCIALE parti e la qualificazione RAGIONE_SOCIALE somme, in quanto le limitazioni all’uso dei disegni e modelli inerenti al marchio prescritte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sarebbero clausole del tutto comuni nei contratti in genere, essendo appunto in funzione della protezione RAGIONE_SOCIALE privative, senza che ciò contraddica il potere conferito all’alt ra parte di usare i beni immateriali protetti per gli scopi convenuti. In tal modo risulterebbero violati anche i criteri interpretativi soggettivo, sistematico, e secondo buona fede.
3.1. Il motivo è inammissibile.
È opportuno rammentare, a tale proposito, che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’on ere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contr apposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una RAGIONE_SOCIALE plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3, 28/11/2017, n. 28319).
Orbene, come è agevole trarre dal contenuto del ricorso, la società contribuente, pur denunciando la violazione RAGIONE_SOCIALE regole di ermeneutica contrattuale, ha – in concreto e inammissibilmente opposto la propria lettura dell’oggetto del contratto stipulato tra le parti (quale negozio atipico palesante ora innesti del contratto di agenzia, ora del contratto di subfornitura) a quella, ampiamente argomentata, esposta nella sentenza della CTR.
Con il quarto strumento di impugnazione si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.с. la v iolazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art 7 L. 27 luglio 2000, n. 212, a ll ‘art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 2697 c.c.
La ricorrente deduce la nullità della sentenza d’appello per non avere preso in considerazione le domande della società contribuente, rimaste assorbite in primo grado, ma riproposte con le controdeduzioni in secondo grado, con specifico riferimento al motivo svolto in primo grado (p. 12 del ricorso introduttivo del
giudizio) e riproposto in appello (p. 20 RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in secondo grado), vertente sulla «illegittimità degli atti impositivi per difetto di motivazione e di prova circa la qualificazione come royalties dei compensi erogati a soggetto estero».
4.1. Il motivo è inammissibile, dovendosi ravvisare nel dictum della CRT non una omessa pronuncia, bensì un rigetto implicito della eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione.
4.2. È costante affermazione di questa Corte che «È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino supeRAGIONE_SOCIALE e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività» (Cass. Sez. 3, 08/05/2023, n. NUMERO_DOCUMENTO).
Con il quinto motivo di ricorso, formulato in via subordinata rispetto al motivo n. 4, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c.
Assume la ricorrente che la sentenza, ove le si volesse attribuire un contenuto di rigetto implicito della censura illustrata al motivo n. 4, sarebbe erronea in quanto pronunciata in violazione RAGIONE_SOCIALE norme
sulla congrua motivazione degli atti impositivi e sull’onere della prova, e quindi in violazione degli artt. 7 L. 212/2000 e 43 d.P.R. 600/73. Ciò in quanto negli avvisi di accertamento impugnati la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entRAGIONE_SOCIALE avrebbe motivato la riconducibilità dei compensi erogati alla società inglese RAGIONE_SOCIALE a royalties, con argomentazioni generiche e inconsistenti.
5.1. Il motivo è infondato.
In tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento ha carattere di “provocatio ad opponendum”, sicché l’obbligo di sua motivazione è soddisfatto, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur” (ex multis Cass. Sez. 5, 11/01/2025, n. 730).
5.2. Come si desume dalla stessa narrativa del ricorso, l’Ufficio ha adempiuto al proprio onere motivazionale mediante una precisa e circostanziata cointestazione, laddove la ricorrente censura come difetto di motivazione del provvedimento una sua -asserita insufficienza persuasiva.
Con il sesto motivo, proposto in subordine al motivo n. 5, si deduce, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.с., la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 5 e 6 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e all’art. 10 L. 27 luglio 2000, n. 212 . Deduce la ricorrente la nullità processuale per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per infrapetizione della sentenza rispetto alla censura riproposta in subordine in appello. Assume, in particolare, che ove poi il rigetto implicito contenuto, in tesi, al motivo suesposto n. 5 nella sentenza della CTR fosse ritenuto congruo e corretto, la pronuncia impugnata sarebbe comunque affetta da nullità processuale. Essa, si sostiene, anche in tale ipotesi, non avrebbe esaminato, facendo confluire tale esame
nella motivazione, la censura riproposta nelle controdeduzioni di appello in subordine al menzionato motivo n. 5.
Pertanto, la medesima carenza motivazionale individuata al motivo n. 4 sussisterebbe con riferimento alla deduzione in via subordinata, allegata in primo grado (p. 18 del ricorso di primo grado) e riproposta in appello (p. 22 RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in appello), circa la «inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni per errore sul fatto e obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo RAGIONE_SOCIALE disposizioni normative».
6.1. Il motivo, che riporta, in ossequio al principio di specificità e autosufficienza l’indicazione topografica degli atti processuali di merito ove le questioni menzionate sono state sollevate, è fondato, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcuna statuizione al riguardo, né potendosi interpretare, in questo caso, il silenzio dei giudici di appello come implicito rigetto della censura.
Con il settimo strumento di impugnazione, si deduce, in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3) c.p.c., la violazione degli artt. 5 e 6 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e del l’ art. 10 L. 27 luglio 2000, n. 212.
Assume la ricorrente che la sentenza di appello, ove rigetti implicitamente la censura illustrata al motivo n. 6, sarebbe erronea in quanto non ha riconosciuto i requisiti di errore sul fatto senza colpa e oggettiva incertezza applicative RAGIONE_SOCIALE disposizioni pertinenti, in violazione degli artt. 5 e 6 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e del l’ art. 10 L. 27 luglio 2000, n. 212.
7.1. Il motivo, proposto in via di subordine rispetto al motivo n. 6, è inammissibile per carenza di interesse sopravvenuta, in conseguenza dell’accoglimento della superiore censura.
Infine, con l’ottavo motivo di ricorso, proposto i n subordine ai motivi precedenti, la società contribuente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.с., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 12, par. 2, della Convenzione contro le doppie imposizioni
tra Italia e Regno Unito, per il tramite della violazione e falsa applicazione della L. 5 novembre 1990, n. 329 (‘Ratifica ed esecuzione della convenzione tra il Governo della Repubblica RAGIONE_SOCIALE e il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, con scambio di note, fatta a Pallanza il 21 ottobre 1988′) .
La ricorrente deduce la violazione della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, direttamente applicabile in virtù del principio iura novit curia, ai sensi della quale le royalties, in tesi, corrisposte da un soggetto residente in Italia a un altro residente nel Regno Unito sono sottoposte alla tassazione sostitutiva nella misura dell’8%. Precisa ancora la ricorrente che l’RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto l’art. 12, par. 2, della Convenzione Italia – Regno Unito non applicabile al caso di specie, in quanto necessitante l’assolvimento di determinati obblighi documentali e quindi non direttamente applicabile. Tuttavia, afferma, tale eccezione risulta inammissibile in quanto avvenuta in corso di giudizio e non illustrata negli atti impositivi e, comunque, è infondata: gli oneri documentali anzidetti non sono richiesti dalla legge (né l’RAGIONE_SOCIALE o la sentenza individuano quale ne sarebbe la fonte).
8.1. Il motivo è inammissibile.
È affermazione costante di questa Suprema Corte che «qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di
tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa”). (v. al riguardo Cass. 32804/2019).
8.2. Nella specie, la sentenza impugnata non ha trattato, nella parte motivazionale, la questione agitata, oggetto di un fugace cenno nella parte narrativa del provvedimento, ove si dà atto che la questione era stata oggetto del ricorso di primo grado (v. sentenza, p. 2, § 3). Né la società contribuente allega di averla fatta valere nel precedente grado di giudizio, ed anzi implicitamente riconosce il contrario, laddove afferma trattarsi «di un profilo giuridico mantenuto, per così dire, ‘in giudizio’ e su cui la sentenza della CTR ha implicitamente statuito nel senso del rigetto, dall’appello dell’RAGIONE_SOCIALE che ha riservato sul punto specifiche argomentazioni».
In conclusione, accolto il sesto motivo di ricorso, rigettati il primo, secondo e quinto motivo e dichiarati inammissibili i restanti, la sentenza impugnata va cassata con riguardo al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta il primo, secondo e quinto motivo e dichiara inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti. Così deciso in Roma, il 22/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME