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Provvigioni Agente e IVA: La Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un agente di commercio, confermando l’assoggettamento a IVA delle sue provvigioni. L’agente, operante per una società con sede a San Marino, non ha fornito la prova necessaria per beneficiare di un regime di non imponibilità. La Corte ha ribadito che, in base al principio di territorialità, se i servizi riguardano beni venduti in Italia a clienti italiani, le provvigioni agente di commercio sono imponibili, e spetta al contribuente dimostrare il contrario.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Provvigioni Agente di Commercio e IVA: Guida alla Territorialità

Le provvigioni agente di commercio sono soggette a IVA quando il servizio è prestato a una società estera? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali su questo tema, focalizzandosi sui principi di territorialità dell’imposta e sull’onere della prova a carico del contribuente. Il caso esaminato riguarda un agente di commercio che operava in Italia per conto di una società con sede formale a San Marino e che si è visto recapitare avvisi di accertamento per il mancato versamento dell’IVA sulle sue commissioni.

I Fatti del Caso: L’Agente e la Società di San Marino

Un agente di commercio ha impugnato tre avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2007, 2008 e 2009. L’Agenzia delle Entrate contestava l’emissione di fatture non imponibili IVA per le prestazioni di intermediazione rese a una società controllata, residente nella Repubblica di San Marino.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione all’agente. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, ha ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni dell’Agenzia delle Entrate. Secondo i giudici di secondo grado, le provvigioni erano imponibili IVA perché le vendite di merce si perfezionavano in Italia, a favore di una clientela locale. Di conseguenza, si applicava il criterio della territorialità previsto dalla normativa IVA (art. 7 del D.P.R. 633/72), senza che potessero trovare applicazione le deroghe per i servizi internazionali.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’agente di commercio ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La presunta violazione delle norme sulla non imponibilità dei servizi internazionali.
2. La nullità della sentenza d’appello per aver accolto un motivo nuovo introdotto dall’Agenzia, relativo all’esistenza di una stabile organizzazione in Italia della società di San Marino.

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale e, di fatto, l’obbligo per l’agente di versare l’IVA sulle provvigioni percepite.

Le Motivazioni: Territorialità e Onere della Prova sulle provvigioni agente di commercio

La Corte ha articolato la sua decisione esaminando separatamente i motivi del ricorso, arrivando a conclusioni nette che rafforzano principi consolidati in materia fiscale.

La Questione della Stabile Organizzazione

In via preliminare, la Cassazione ha respinto il motivo procedurale. Ha chiarito che il riferimento dell’Agenzia delle Entrate a una sentenza del Tribunale di Rimini, che accertava l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia della società di San Marino, non costituiva un’inammissibile mutatio libelli. Non si trattava di un nuovo motivo d’appello, ma di una mera qualificazione giuridica di elementi di fatto già presenti nel contenzioso. L’oggetto della disputa è sempre rimasto lo stesso: la tassabilità o meno delle commissioni dell’agente.

L’Onere della Prova per l’Esenzione IVA

Sul punto centrale della controversia, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile. Ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova per beneficiare di una deroga al normale regime impositivo, come la non imponibilità IVA, è sempre a carico del contribuente. Nel caso di specie, l’agente non aveva fornito alcuna prova che i beni oggetto delle sue intermediazioni avessero lo status di beni di importazione, condizione necessaria per poter astrattamente invocare il regime di favore.

La Corte ha sottolineato che la valutazione della Commissione Tributaria Regionale, secondo cui i beni erano sempre rimasti sul territorio nazionale, costituiva un accertamento di fatto. Tale accertamento non può essere riesaminato in sede di legittimità. Pertanto, la pretesa dell’agente di ottenere una rivalutazione dei fatti si traduceva in un tentativo non consentito di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Agenti di Commercio

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici per gli agenti di commercio e i professionisti che operano con mandanti esteri. La decisione conferma che il principio di territorialità è il cardine del sistema IVA. Se l’attività di intermediazione riguarda beni presenti e venduti in Italia a clienti italiani, le relative provvigioni agente di commercio sono, di regola, soggette a IVA. Per sottrarsi a tale imposizione, non è sufficiente che la società mandante abbia sede all’estero. È indispensabile che il contribuente dimostri, con prove concrete e documentali, la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime di non imponibilità o esenzione.

Le provvigioni di un agente che opera in Italia per una società estera (es. San Marino) sono sempre soggette a IVA?
Sì, secondo questa ordinanza, se i servizi si riferiscono alla vendita di merce che si trova in Italia e viene ceduta a clienti italiani. Il principio di territorialità dell’IVA prevale, rendendo le provvigioni imponibili.

Chi ha l’onere di provare che le provvigioni non sono soggette a IVA?
L’onere di provare l’esistenza dei presupposti per beneficiare di un regime di non imponibilità o esenzione IVA è sempre a carico del contribuente, ovvero dell’agente di commercio in questo caso.

Introdurre in appello una sentenza che accerta una stabile organizzazione costituisce un motivo di ricorso nuovo e inammissibile?
No. La Corte ha stabilito che il richiamo a una sentenza che accerta l’esistenza di una stabile organizzazione non costituisce un’inammissibile modifica della domanda (mutatio libelli), ma una diversa qualificazione giuridica di fatti già presenti nel giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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