Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 937 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 937 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
Irpef
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2406/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv . NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati presso l’avv. NOME COGNOME in INDIRIZZO in Roma;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2561/2017 depositata in data 7/06/2017;
udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 20/09/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
A seguito di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE con cui era contestata l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, e di conseguenza un indebito risparmio di imposta da considerare provento illecito ai sensi dell’art. 14 , comma 4, della l. n. 537 del 1993, l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Bergamo, emetteva due avvisi di accertamento a fini Irpef per gli anni di imposta 2007 e 2008 nei confronti del coamministratore NOME COGNOME.
La Commissione tributaria provinciale di Bergamo rigettava il ricorso del contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello.
In particolare, i giudici d’appello evidenziavano che gli elementi indiziari emersi facevano ricondurre al COGNOME, al 50 per cento con il socio-complice NOME COGNOME, l’attività di gestione di RAGIONE_SOCIALE e pertanto dei relativi proventi criminosi generati dalla funzione di cartiera. Gli elementi probatori acquisiti nell’indagine penale e riprodotti nel pvc della Guardia di Finanza non lasciavano spazio a dubbio sul suo fattivo coinvolgimento nella rete di sigle sociali predisposta per consentire a terzi di impiegare in attività edilizie ingente manodopera con risparmio di quanto dovuto all’Erario; evidenziavano che la natura criminosa dei profitti non consentiva la deducibilità dei costi ai sensi dell’art. 14 della legge n. 537/1993.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Agenzia delle
Entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 20/09/2024.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che, sebbene a pagina 2 del ricorso, nella sintesi dell’oggetto del giudizio, siano apparentemente indicati cinque temi di doglianza, nel corpo del ricorso sono esposti solo quattro motivi.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., si deduce violazione di legge in relazione all’indebita contrazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) in relazione al mancato riconoscimento della legittimazione passiva del Curnis a dedurre in merito all’accertamento nei confronti della società.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., si deduce «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Mancanza di motivazione e palese contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si ritiene che COGNOME NOME abbia ricoperto il ruolo di amministratore di fatto delle RAGIONE_SOCIALE in assenza di riferimenti concreti rispetto all’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione».
Con il terzo motivo, rubricato in ricorso nuovamente come n. 2 e proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 ) cod. proc. civ., si deduce error in procedendo determinato dalla infondata presunzione della titolarità al 50% di quote di una società a ristretta base azionaria in capo al ricorrente, per la inapplicabilità nei suoi confronti
dell’accertamento emesso verso la società e per la mancata contestazione di tale fatto.
Con il quarto motivo, si deduce «assenza e illogicità della motivazione nella parte in cui la Commissione regionale acriticamente, illogicamente, senza motivazione plausibile alcuna, accerta che una società sicuramente caratterizzata da una molteplicità di dipendenti, fatto provato ed indiscutibile, consegua un reddito pari al suo volume d’affari se nza costo alcuno».
1.1. Occorre ancora premettere che la memoria depositata dal ricorrente per l’adunanza camerale introduce alcune questioni, ed in particolare il tema della responsabilità per debiti della società dell’amministratore di fatto (con richiamo a Cass. n. 8811 del 2021), che appaiono estranee ai motivi di ricorso come sopra riportati e che quindi non possono essere esaminati, alla luce della natura solo illustrativa delle memorie nel giudizio di cassazione (Cass. 19/09/2001, n. 11764; Cass. 23/02/2006, n. 4020).
Il primo motivo censura l’affermazione della CTR secondo la quale «era corretta la statuizione della CTP laddove aveva rigettato il ricorso presentato dalla parte che non era titolata a farlo»; secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente, tale affermazione si riferisce non alla sentenza di primo grado del presente giudizio ma alla sentenza resa dalla CTP nel giudizio intrapreso dallo stesso COGNOME contro gli avvisi intestato alla società RAGIONE_SOCIALE a fini Ires, Irap e Iva, a lui notificati quale coamministratore di fatto.
Il motivo è evidentemente inammissibile, in primo luogo poichè tale affermazione non è presente nel testo della sentenza oggetto di ricorso (e ciò è tanto provato che il ricorrente, nell’undicesima pagina del ricorso, evidenzia che il fatto sarebbe incontestato in quanto citato espressamente alla pagina 5 della sentenza, laddove la sentenza di compone di tre complessive pagine), e in secondo luogo perchè
censura un’affermazione che sarebbe stata resa in relazione ad altra sentenza di primo grado, diversa da quella oggetto di appello. Né il ricorrente evidenzia di aver proposto, nel presente giudizio, deduzioni difensive inerenti al merito della pretesa nei confronti della società.
Il secondo motivo sconta diverse ragioni di inammissibilità.
La deduzione del vizio ex n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., è infatti impedita dalla circostanza di essere in presenza di una cd. doppia conforme di merito (art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis ) e dalla mancata indicazione da parte del ricorrente di elementi di diversità delle ragioni di rigetto del ricorso in primo grado e in appello (Cass. 20/09/2023, n. 26934; Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Si deve anche precisare che l’ipotesi ricorre non solo quando la decisione di secondo grado corrisponda in toto a quella di primo grado, ma è sufficiente che le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico -argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa. Non osta, dunque, alla configurazione della cd. doppia conforme il fatto che il giudice di appello, nel condividere e confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione (Cass. 9/03/2022, n.7724).
Comunque, la deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o un preciso accadimento in senso storico naturalistico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. 03/10/2018, n. 24035; Cass. 08/10/2014, n. 21152) e postula la sua concreta e
specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
Nel caso di specie in realtà il motivo non indica alcuno specifico fatto storico omesso e specificamente lamenta:
che la CTR avrebbe errato nel non dare rilevanza alla questione della qualifica di amministratore di fatto (e agli elementi indiziari ad essa sottesi) ritenendo rilevante, ai fini del giudizio in esame, la qualità di socio di fatto della società a ristretta base; ma, appare evidente, che tale affermazione non è rinvenibile nella sentenza impugnata; la CTR anzi espressamente richiama gli elementi probatori rilevanti ai fini di ritenere il fattivo coinvolgimento del COGNOME nei fatti criminosi e nella gestione della società; giova anche precisare che la sentenza della CTP (sentenza n. 178/10/2013 del 24/09/2013) indicata nell’esposizione dello svolgimento del processo non è quella indicata quale oggetto dell’appello (sentenza n. 138/2013) conclusosi con la sentenza oggi impugnata;
b) la contraddizione tra tale affermazione e quella poi contenuta a pagina 6 della sentenza secondo cui il ricorrente non avrebbe provato la insussistenza della qualifica di amministratore; in realtà anche tale affermazione non si rinviene nella sentenza che si compone di sole 3 pagine, e che nella sua prima parte espressamente e compiutamente tiene conto delle risultanze delle indagini penali che facevano ritenere provato il coinvolgimento dell’odierno ricorrente; e comunque il profilo di contraddittorietà de lla decisione non è più deducibile ai sensi dell’art. 360, primo comma. n. 5) vigente nel caso in esame.
In sintesi, e concludendo, il motivo sembra censurare l’introduzione nel giudizio di un fatto generatore della responsabilità del contribuente, la qualità di socio di una RAGIONE_SOCIALE a ristretta base, che avrebbe determinato una inversione degli oneri probatori, fatto che nella sentenza invece non si rinviene, in quanto la motivazione della CTR si fonda, come visto, sul fattivo coinvolgimento del Curnis nelle operazioni illecite.
Osta, poi, alla riqualificazione del dedotto motivo nei termini di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., di nullità per assenza di motivazione, il rilievo dell’assenza del necessario ed univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante (Cass., Sez. U., n. 24/07/2013, n. 17931; Cass. 4/11/2022, n. 32525) , fermo che comunque tale vizio non è suscettibile di essere dedotto, come fatto in rubrica e anche nel corpo del motivo, quale motivazione insufficiente o contraddittoria, dovendo invece esplicarsi in una motivazione meramente parvente (Cass. Sez. U. 7/04/2014, n. 8053), intesa come al di sotto del cd. minimo costituzionale, nel caso di specie, peraltro, da escludere in radice alla luce della pienamente comprensibile ratio decidendi .
Al termine dell’esposizione del motivo vi è, infine, un riferimento agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., che si rivela però parimenti inammissibile alla luce di Cass. Sez. U. 30/09/2020, n. 20867 che ha infatti precisato che, in tema di ricorso per cassazione: a) per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio); b) la doglianza circa la violazione
dell’art. 116 cod. proc. civ., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Comunque, come visto, nel caso di specie, la CTR non tratta l’argomento della distribuzione di utili da parte di società a ristretta base ma descrive gli elementi probatori che depongono nel senso del fattivo coinvolgimento del ricorrente.
Il terzo motivo, che, come detto, è rubricato nuovamente come n. 2, è inammissibile.
Esso censura l’illegittimità della decisione laddove ritiene applicabile la ripresa contestando all’odierno ricorrente lo status di socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE, deducendo: a) l’inapplicabilità nei confronti del Curnis dell’avviso di accertamento emesso verso la RAGIONE_SOCIALE; b) la mancata contestazione del ruolo di socio nell’avviso di accertamento diretto a Curnis, emesso quale coamministratore della società verificata; c) la mancanza del ruolo di socio di fatto della società verificata.
La prima doglianza è evidentemente inammissibile per le medesime ragioni esposte nell’esame del primo motivo.
Le altre doglianze sono inammissibili in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della CTR che nel caso di specie non è data dal riversamento di utili sociali di società a ristretta base in favore del socio ma dal fattivo e comprovato coinvolgimento del Curnis nelle operazioni illecite e quindi nella imputazione dei redditi ai sensi dell’art. 14 della legge n. 537/19 93, come previsto nell’avviso di accertamento ; inoltre, e comunque, i giudici dell’appello fondano la decisione proprio su ll’esame con creto delle risultanze probatorie attestanti il suo inserimento nei fatti illeciti e nella gestione della società, con apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede.
5. Il quarto motivo è inammissibile.
Non solo il vizio non è espressamente qualificato ai sensi di uno dei paradigmi dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., né è indicata alcuna disposizione di legge violata, ma esso costituisce una generica critica di carattere motivazionale nei confronti dell’operato degli uffici e del ragionamento dei giudici, peraltro apparentemente rivolta all’accertamento nei confronti della società, laddove, con motivazione benchè succinta, comprensibile e non censurata sotto il profilo della violazione di legge, questi hanno ritenuto di non poter riconoscere i costi in base alla natura criminosa dei profitti ai sensi dell’art. 14 della l. n. 537 del 1993.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile essendo inammissibili tutti i suoi motivi.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna COGNOME NOME al pagamento delle spese di lite in favore di Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 20 settembre 2024 e in riconvocazione in