Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15445 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15445 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
Avv. Acc. IRPEF 2008
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26160/2015 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato c/o studio COGNOME presso l’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. VENETO n. 837/2015, depositata in data 14 maggio 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta ed ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Successivamente alla conclusione, avvenuta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., del procedimento penale promosso nei confronti del sig. NOME COGNOME imputato del reato di corruzione ex art. 319 cod. pen., l’Agenzia delle Entrate, considerando il provento dell’illecito pari a € 100.000,00 quale reddito diverso ex art. 14, comma 4, L. 30 dicembre 1992, n. 537 e art. 6, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertava tale importo quale maggior reddito imponibile ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2008.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Vicenza; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Vicenza, con sentenza n. 159/09/2014, accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo che dalla produzione documentale dell’Ufficio non era desumibile con certezza la data di acquisizione del provento illecito, rappresentando ciò onere dell’Ufficio medesimo.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. del Veneto; si costituiva anche il contribuente, che chiedeva la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 837/26/2015, depositata in data 14 maggio 2015, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio, affermando che il capo di imputazione riportato nella sentenza penale del Tribunale di Vicenza n. 12/519 indicava l’accadimento dei fatti delittuosi, e cioè la consegna del danaro quale compenso per la corruttela, in un periodo prossimo al 15 febbraio 2008.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Veneto, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella pubblica udienza del 23 gennaio 2025 per il quale il contribuente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.: nullità della sentenza e del procedimento. Violazione dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove la Commissione tributaria regionale non ha preso atto delle contrastanti deduzioni del sig. COGNOME il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha accolto le deduzioni dell’Ufficio senza minimamente prendere in considerazione le controdeduzioni del contribuente, in questo modo motivando in maniera solo apparente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Art 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per sussistenza di motivazione apparente» il contribuente ripropone la censura precedente, questa volta ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: nullità della sentenza e del procedimento. Violazione, dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., laddove la Commissione tributaria regionale non ha correttamente valutato le prove addotte dal sig. COGNOME il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera soltanto apparente, non illustrando il perché del non accoglimento delle prove addotte dal contribuente.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: nullità della sentenza e del procedimento, violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 112 del cod. proc. civ., laddove la Commissione tributaria regionale non ha risposto a tutte le domande formulate dal sig. COGNOME in merito alla legittimità della pretesa tributaria» il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella
sentenza impugnata, la C.t.r. non si è pronunciata su tutte le censure eccepite con l’atto di appello.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile; con esso, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui ha accolto le deduzioni dell’Ufficio senza minimamente prendere in considerazione le proprie controdeduzioni, in questo modo motivando in maniera solo apparente.
2.1. Invero, con riguardo al vizio di motivazione occorre dire che la mancanza della stessa, rilevante ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, nel caso di specie, dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992, riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., SS. UU., sent. 7 aprile 2014 n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. n. 6626/2022 e Cass. n. 22598/2018).
2.2. Ebbene, una volta sancita questa riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato che questa Corte può effettuare sulla motivazione, risulta ictu oculi come la decisione della C.t.r. qui impugnata non possa dirsi affetta dal vizio in discussione.
In essa, infatti, si afferma che: «Le argomentazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate sono sicuramente fondate e, per tale ragione l’appello va accolto. Infatti, il capo d’imputazione, riportato nella sentenza penale 12/519, pronunciata dal Tribunale di Vicenza, indica l’accadimento dei fatti delittuosi e cioè la consegna del danaro quale compenso per la corruttela in un periodo prossimo al
15 febbraio 2008. Il passaggio in giudicato di tale decisione comporta l’impossibilità di modificare quanto dalla stessa indicato e precisato, con la conseguenza che il suddetto periodo non può più essere contestato. Risulta, quindi certo che il compenso in danaro ricevuto dal sig. COGNOME per l’azione delittuosa dallo stesso compiuta, gli è stato consegnato in un periodo prossimo al 15.2.2008. Corretto, dunque è stato il comportamento dell’Ufficio che va per ciò stesso confermato, con il conseguente riconoscimento della piena legittimità dell’avviso d’accertamento contestato»; in particolare, nel fare riferimento all’esistenza di un profilo insindacabile e coperto da giudicato, la Corte territoriale ha chiaramente reso percepibile la ragione della decisione, superando senza dubbio il test del minimo costituzionale.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile; il ricorrente ripropone la medesima censura del motivo precedente, questa volta ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3.1. Oltre a richiamarsi, dunque, le argomentazioni spese nell’analisi del precedente motivo, deve anche dirsi come sia pacifico che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., il quale consente alla parte di chiedere -e al giudice di legittimità di effettuare -l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. ( ex plurimis , Cass. n. 26563/2022, Cass. n. 8683/2021, Cass. n. 8682/2021 e Cass. n. 8680/2021).
Il terzo motivo di ricorso è ugualmente inammissibile; con esso, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha motivato in maniera soltanto apparente,
non illustrando il perché del non accoglimento delle prove addotte dal contribuente.
4.1. Deve sottolinearsi, infatti, come la censura proposta non faccia che risolversi nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019).
Il quarto motivo di ricorso è, infine, inammissibile; con esso, in particolare, parte ricorrente censura la decisione della C.t.r. laddove non si è pronunciata su tutte le censure eccepite con l’atto di appello.
Invero, la censura proposta lamenta l’omessa pronuncia in relazione ad aspetti che non avrebbero alcuna chance di invertire il segno della decisione impugnata.
5.1. Secondo giurisprudenza consolidata, l’interesse all’impugnazione -inteso quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo -deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelabile, identificabile nella concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica (cfr. per tutte Cass. 18/02/2020, n. 3991).
Per le considerazioni dianzi rassegnate ai punti sub 2. 3. 3 e 4. la censura, si profila assolutamente inidonea a sortire gli effetti auspicati con il ricorso laddove la C.t.r. ha chiaramente spiegato che l’avviso di accertamento seguiva alla conclusione, avvenuta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., del procedimento penale promosso nei confronti del contribuente, imputato del reato di corruzione ex art. 319 cod. pen., avendo, l’Agenzia delle Entrate, considerato illecito il provento pari a € 100.000,00 quale reddito diverso ex art. 14, comma 4, L. 30 dicembre 1992, n. 537 e art. 6, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e, conseguentemente, accertando tale importo quale maggior reddito imponibile ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2008.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma in data 23 gennaio 2025.