LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Prove fiscali estere: la Cassazione ne ammette l’uso

La Cassazione ha stabilito che le prove fiscali estere, acquisite tramite rogatoria in un procedimento penale, sono legittimamente utilizzabili per l’accertamento fiscale. La ‘clausola di specialità’ non impedisce l’uso dei documenti nel processo tributario, che ha natura diversa da quello penale. La mancata contestazione dell’esistenza di capitali in paradisi fiscali costituisce una presunzione grave a carico del contribuente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utilizzabilità delle Prove Fiscali Estere: La Cassazione Fa Chiarezza

La questione dell’utilizzo di prove acquisite in ambito penale all’interno di un procedimento tributario è da sempre un tema delicato. La situazione si complica ulteriormente quando tali prove provengono da un altro Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sull’uso di prove fiscali estere ottenute tramite rogatoria internazionale, definendo i confini tra le garanzie del processo penale e le esigenze dell’accertamento fiscale.

Il Caso: Accertamento Fiscale su Capitali a San Marino

L’Agenzia delle Entrate aveva notificato a un contribuente un avviso di accertamento per maggiori redditi ai fini IRPEF. La pretesa si basava sulla presunzione che le disponibilità finanziarie detenute dal contribuente nella Repubblica di San Marino, e non dichiarate nel quadro RW, fossero costituite da redditi sottratti a tassazione in Italia. I documenti che provavano l’esistenza di tali attività erano stati acquisiti dall’autorità giudiziaria italiana tramite una rogatoria internazionale nell’ambito di un’indagine penale per reati di associazione a delinquere e riciclaggio. Successivamente, il Pubblico Ministero aveva autorizzato la loro trasmissione all’Agenzia delle Entrate per le valutazioni di competenza.

I Motivi del Ricorso: Specialità della Prova e Onere Probatorio

Il contribuente ha impugnato l’accertamento, sollevando due questioni principali.
In primo luogo, ha sostenuto l’inutilizzabilità dei documenti provenienti da San Marino, poiché l’autorità sammarinese aveva apposto una ‘clausola di specialità’ che ne limitava l’uso esclusivamente al procedimento penale per cui erano stati richiesti. Secondo il ricorrente, la trasmissione e l’utilizzo in sede tributaria violavano tale clausola e, di conseguenza, i trattati internazionali e i principi del giusto processo.
In secondo luogo, il contribuente ha criticato la decisione dei giudici d’appello di considerare provata l’esistenza dei maggiori redditi sulla base della sua mancata contestazione, sostenendo che l’onere della prova gravasse interamente sull’Amministrazione finanziaria.

L’Analisi della Corte sulle Prove Fiscali Estere

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso. Sul punto cruciale dell’utilizzabilità delle prove fiscali estere, i giudici hanno ribadito la netta distinzione tra il processo penale e quello tributario. Mentre nel processo penale vige un rigido principio di legalità della prova (art. 191 c.p.p.), nel contenzioso tributario non esiste una norma analoga che sancisca un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Tale inutilizzabilità opera solo nei casi in cui l’acquisizione della prova abbia leso diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, circostanze non pertinenti al caso di specie.

La Portata della ‘Clausola di Specialità’

La Corte ha chiarito che la ‘clausola di specialità’, prevista dalla Convenzione internazionale di riferimento, è posta a tutela dello Stato richiesto (San Marino) e mira a impedire che le informazioni fornite per un’indagine su specifici reati vengano usate per perseguirne altri di natura diversa. La sua finalità è quindi circoscritta all’ambito penale. Il testo della Convenzione, infatti, vieta l’uso per ‘indagini o procedimenti penali’ diversi da quelli specificati nella richiesta. Non vi è alcun riferimento a procedimenti di natura amministrativa o tributaria, i quali, pertanto, ne restano esclusi. La trasmissione di tali documenti all’Agenzia delle Entrate per l’accertamento fiscale è dunque legittima.

Presunzioni e Onere della Prova

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha affermato che, sebbene la presunzione legale assoluta di reddito per gli investimenti nei paradisi fiscali (introdotta nel 2009) non fosse applicabile al caso di specie per questioni temporali (ratione temporis), l’Amministrazione finanziaria può comunque fondare il proprio accertamento su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. La scoperta di disponibilità finanziarie occulte in un Paese a fiscalità privilegiata, unita alla mancata contestazione della loro esistenza e all’assenza di spiegazioni sulla loro provenienza da parte del contribuente, costituisce un elemento presuntivo sufficientemente grave e preciso per ritenere che tali somme derivino da redditi sottratti a tassazione.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda sulla chiara separazione tra l’ordinamento processuale penale e quello tributario. Le garanzie previste per l’imputato nel processo penale non si estendono automaticamente al contribuente nel processo tributario, che ha natura amministrativo-contenziosa e mira all’accertamento del debito d’imposta, non della responsabilità penale. La ‘clausola di specialità’ è interpretata restrittivamente come una limitazione all’uso delle prove in altri procedimenti penali, non in procedimenti di diversa natura. L’interesse leso dalla violazione di tale clausola è quello all’osservanza delle convenzioni internazionali, che non rientra tra i diritti fondamentali la cui violazione comporterebbe l’inutilizzabilità della prova nel processo tributario. Infine, la Corte conferma che il convincimento del giudice tributario può basarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa, come quella derivante dalla detenzione di capitali non dichiarati in un paradiso fiscale.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale: le prove acquisite nell’ambito di indagini penali, anche attraverso cooperazione internazionale, sono un patrimonio informativo prezioso e legittimamente utilizzabile per l’accertamento fiscale. I contribuenti non possono invocare le garanzie procedurali penali, come la ‘clausola di specialità’, per paralizzare l’azione del Fisco. La decisione rafforza gli strumenti a disposizione dell’Agenzia delle Entrate nella lotta all’evasione fiscale internazionale e ribadisce che spetta al contribuente che detiene capitali all’estero l’onere di dimostrarne la provenienza lecita e la conformità fiscale, specialmente se non contesta materialmente i fatti addotti dall’amministrazione.

I documenti ottenuti da un altro Stato per un’indagine penale possono essere usati per un accertamento fiscale?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, esiste una netta differenziazione tra il processo penale e quello tributario. Le limitazioni all’uso delle prove, come la ‘clausola di specialità’, si applicano solitamente solo ad altri procedimenti penali e non a quelli fiscali, a meno che non vengano lesi diritti fondamentali di rango costituzionale.

Cos’è la ‘clausola di specialità’ e si applica anche al processo tributario?
La ‘clausola di specialità’ è un principio di diritto internazionale che limita l’utilizzo delle prove ottenute tramite assistenza giudiziaria al solo procedimento per cui sono state richieste. La sentenza chiarisce che questa clausola, nel caso specifico della convenzione con San Marino, si riferisce a ‘procedimenti penali’ diversi da quello originario e quindi non si estende automaticamente agli accertamenti e ai processi tributari, che hanno natura amministrativa.

Se l’Agenzia delle Entrate scopre capitali non dichiarati in un paradiso fiscale, a chi spetta provare che non sono redditi imponibili?
La scoperta di capitali non dichiarati in un paradiso fiscale costituisce una presunzione grave, precisa e concordante a carico del contribuente. Anche in assenza di una presunzione legale specifica, l’onere di superare tale presunzione si sposta sul contribuente, il quale deve fornire spiegazioni sulla provenienza del denaro e dimostrare che non si tratta di redditi sottratti a tassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati