Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15380 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15380 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Cartella di pagamento
-Sostituto di imposta
-IRPEF e altro 2012
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27058/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
–
resistente
–
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 657/2019, depositata in data 13 febbraio 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate – Riscossione emetteva nei confronti di NOME COGNOME la cartella di pagamento n.NUMERO_CARTA a seguito dell’iscrizione a ruolo dell’importo
della ritenuta d’acconto detratta in sede di dichiarazione per l’anno 2012 per € 15.000,00.
Avverso la cartella di pagamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Milano, la quale con sentenza n. 6618/2017, rigettava il ricorso ritenendo insufficiente i mezzi di prova prodotti dal contribuente consistenti in certificazione della ritenuta d’acconto in formato libero e certificazioni prive di data in quanto non equipollenti alla certificazione del sostituto di imposta.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi alla C.t.r. della Lombardia; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 657/2019, depositata in data 13 febbraio 2019, la C.t.r. rigettava l’appello, ritenendo che il contribuente aveva prodotto dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per dimostrare di avere percepito l’importo dei corrispettivi fatturati alla detta società al netto dell’importo della ritenuta, ma in sostituzione della mancante documentazione bancaria, aveva versato in atti semplici dichiarazioni dei propri clienti prive della rituale formula relativa alla consapevolezza delle conseguenze penali della mendacità di quanto dichiarato e della allegazione del documento di identità.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’agenzia delle entrate non ha notificato e depositato controricorso, ma ha prodotto mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «violazione dell’art. 2967 cod. civ. e dei principi in materia di onere della prova, dell’art. 2909 cod. civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma,
3, cod. proc. civ)», il contribuente lamenta l’ error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che le semplici dichiarazioni dei clienti del ricorrente, prive di dicitura riferita alle conseguenze penali circa le dichiarazioni mendaci e della allegazione del documento di identità, non fossero sufficienti a sostituire la cd. documentazione bancaria mancante.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «omessa pronuncia sul secondo motivo di appello (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ)», il contribuente lamenta l’ error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha statuito sul secondo motivo di gravame avente ad oggetto le sanzioni comminate al ricorrente in aggiunta alla maggiore imposta.
Il primo motivo di ricorso proposto è fondato.
2.1. Anche prima che intervenisse il mutamento del quadro normativo per effetto dell’art. 1 del d.l. 31 maggio 1994, n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 1994, n. 473, che ha emendato l’art. 3 del d.P.R. n. 600 del 1974, sopprimendo l’obbligo di allegare alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta attestante le ritenute operate, con risalenti pronunce si è affermato che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la suddetta certificazione non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass., sez. 1, 4/08/1994, n. 7251); con l’ulteriore precisazione che, anche ove non abbia allegato alla dichiarazione dei redditi il certificato del sostituto d’imposta, il sostituito può comunque contestare in giudizio il recupero della detrazione, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, stante la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (Cass., sez. 5, 19/02/2004, n. 3304) e che, in ogni caso, il contribuente non può essere assoggettato di nuovo
all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco (Cass., sez. 5, 3/07/1979, n. 3725).
2.2. L’art. 22 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) dedicato allo scomputo delle ritenute d’acconto, subordina attualmente la detrazione dall’imposta delle ritenute alla sola condizione che esse siano state ‹‹operate››, sicché assume rilevanza il fatto oggettivo della loro applicazione, che può essere comprovato non solo con la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta, ma anche con altri mezzi di prova equipollenti. In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate con la circolare n. 68/E del 19 marzo 2009, con la quale ha riconosciuto che, laddove il contribuente non abbia ricevuto, nei termini di legge, dal sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute effettivamente subite, sia comunque legittimato allo scomputo delle stesse, ‹‹a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente dalle banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura››.
2.3. Quanto declinato comporta, come ha avuto modo di chiarire questa Corte (Cass., sez. 5, 7/06/2017, n. 14138), che ‹‹la norma sul controllo formale delle dichiarazioni usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate deve essere integrata secondo i princìpi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici ‘possono’ escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36ter d.P.R. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) ‘possono’ apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti››.
2.4. In senso coerente a quanto sopra si pone la pronuncia a Sezioni Unite di questa Corte n. 10378 del 12 aprile 2019, la quale ha enunciato il principio secondo cui ‹‹nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute››.
2.5. Tuttavia, si profila rilevante accertare, ai fini della possibile solidarietà del sostituito, se le ritenute d’acconto non versate siano state effettuate o meno, secondo quanto argomentato dalle SS.UU. (Cass., S.U., n. 10378 del 12/04/2019), secondo cui ‘In tema di ritenuta di acconto, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha operato le ritenute, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del d.p.r. n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute’. Vieppiù che poteva essere data prova indiziaria di tale circostanza anche con dichiarazioni dei terzi secondo quanto già affermato da questa Corte: In tema di processo tributario, anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti ex art. 111 Cost., la possibilità di introdurre nel giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – e, di conseguenza, dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà -, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, senza che ciò comporti il venir meno del poteredovere del giudice tributario di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, secondo il principio della libera valutazione delle prove, confrontando le propalazioni raccolte e valutando la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi e oggettivi,
come la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri elementi acquisiti. (Cass. 30/10/2024, n. 28022).
2.6. Nella fattispecie in esame, la CRAGIONE_SOCIALE ha fatto mal governo dei principi testé declinati laddove, in maniera non esaustiva, ha ritenuto che le semplici dichiarazioni dei clienti del ricorrente, prive della dicitura riferita alle conseguenze penali circa le dichiarazioni mendaci e della allegazione del documento effettuazione delle ritenute, per la quale sarebbe indispensabile la documentazione bancaria, invece mancante. Si tratta infatti di elementi indiziari la cui attendibilità (anche sotto il profilo della provenienza e della data, oltre che quanto ai fatti dichiarati) deve essere vagliata dal giudice del merito, che non può però a priori escluderla solo perché le stesse dichiarazioni non siano state rese nelle forme integralmente corrispondenti alla dichiarazione sostitutiva di atto notorietà.
Dall’accoglimento del primo motivo discende l’assorbimento del secondo.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 14 aprile 2025.