Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2142 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24312/2023 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME con l’avvocato prof. NOME COGNOME che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato.
-controricorrente-
avverso la sentenza della 2020 n.1390/2023, depositata il 9.05.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal relatore Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La ricorrente propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe, che ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza, che aveva rigettato il suo ricorso avverso l’accertamento Irpef relativo all’ anno d’imposta 2008, scaturito dal p.v.c. redatto a seguito di verifica fiscale della G.d.F. nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, di cui la stessa contribuente deteneva il
95% delle quote. In occasione di tale controllo era stata rilevata documentazione extracontabile sulla base della quale era stata accertata la realizzazione di una plusvalenza a seguito di cessione d’azienda a titolo oneroso.
L’Agenzia si difende con controricorso.
Il ricorso è stato oggetto della proposta di cui all’art. 380-bis, c.p.c., a seguito della quale la ricorrente ha richiesto la decisione.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione dell’articolo 38 del d.p.r. n. 600/73 e dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. La sentenza impugnata è erronea poiché è stata emessa in violazione delle norme di diritto che disciplinano l’accertamento sintetico e la prova presuntiva.’.
Il motivo è inammissibile. Invero, pur formalmente denunziando una violazione di legge, il mezzo, nel suo corpo sostanziale, pretende di attingere il merito della valutazione delle risultanze istruttorie e del ragionamento presuntivo effettuato dal giudice a quo ed esposto nei suoi passaggi essenziali nella decisione impugnata, ciò che non è consentito in questa sede. Infatti «In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso.» (Cass. n. 3541 del 13/02/2020), fattispecie che non ricorre nel caso di specie. Né, comunque, può essere censurata in sede di legittimità la scelta operata dal giudice del merito – ai fini della valutazione della pregnanza di un determinato elemento indiziario, come anche di un coacervo di elementi- circa la scelta e la valutazione degli elementi, rientrando tali attività (di apprezzamento e di valutazione dell’idoneità degli elementi presuntivi) nei poteri del giudice del merito, incensurabili in sede di legittimità, se sorretti da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass., 14/11/2019, n. 29540; Cass., 16/05/2017, n. 12002). Così come è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione (Cass., 17/01/2019, n. 1234).
Quanto poi alle modalità di apprezzamento dei diversi elementi indiziari e/o a discarico, la motivazione della sentenza impugnata, pur nella sua sinteticità, si allinea alla
giurisprudenza di questa Corte sul metodo di valutazione prima atomistico e poi complessivo e coordinato (Cass. 5374 del 02/03/2017), realizzato anche attraverso un legittimo riferimento critico per relationem alla decisione di primo grado (in atti), particolarmente puntuale proprio sugli ‘elementi di contraria valutazione che ha inteso offrire la ricorrente’.
Deve poi aggiungersi che la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile, che non può essere ritenuta dal giudice priva di rilevanza probatoria, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la comparazione delle medesime con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente (Cass. n. 21432 del 31/07/2024).Né, peraltro, può escludere tale rilevanza presuntiva la circostanza che si tratti di documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica di quest’ultimo (Cass. n. 20094 del 24/09/2014). Fermo restando comunque che, nel caso di specie, l’assunta estraneità della ricorrente rispetto alla scrittura in questione appare esclusa dalle risultanze (non contraddette in questa sede) dell’accertamento (in atti), ove viene riportato che nel p.v.c. si dava atto che il fax in questione era intervenuto tra il depositario delle scritture contabili ed il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE società della quale la stessa ricorrente era comunque socia al 95%, dato che, riconducendo le vicende societarie all’area di controllo fattuale della contribuente, corrobora la pregnanza sintomatica dell’elemento indiziario ai sensi dell’art. 2729 c.c..
2. Con il secondo motivo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. -richiamato dall’art. 1, 2° c. del d. lgs. n. 546/1992, e dell’art. 57 d. lgs. 46/1992, omessa pronuncia- in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.’, lamentando la ricorrente che il giudice a quo non avrebbe pronunciato in ordine ai motivi d’appello relativi alla dedotta illegittimità dell’atto impositivo per difetto di prova dell’accertamento effettuato; per l’errata configurazione della plusvalenza quale reddito d’impresa; e per l’erroneità del metodo seguito nella determinazione della stessa plusvalenza.
Premesso che, in punto di difetto di prova dell’accertamento effettuato, la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata, come già evidenziato trattando del primo motivo, il secondo motivo è integralmente infondato poiché, avendo la CTR rigettato totalmente l’appello nel merito e confermato pertanto la sentenza di primo grado e
perciò l’atto impositivo impugnato, sui motivi d’appello in questione vi è stato comunque quanto meno un implicito, ma logicamente necessario, rigetto da parte della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., la parte soccombente va condannata a pagare:
la somma di euro 580,00, equitativamente determinata, a favore della controparte, ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. ;
la somma di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende, ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento:
a favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; nonché di euro 580,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.;
di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.