Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1656 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28615/2015 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l ‘RAGIONE_SOCIALE . (P_IVA) che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENEZIA n. 695/2015 depositata il 16/04/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
In esito a controllo mirato nei confronti di ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riferito all’anno d’imposta 2006 e successivamente esteso al 2005, i funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate di Vicenza redigevano processo verbale di constatazione, nel quale venivano ascritte alla contribuente le seguenti violazioni: deduzione indebita di canoni e fitti passivi ai fini Ires e Irap; detrazione indebita di Iva su canoni e fitti passivi. In seguito alla società veniva notificato per l’anno d’imposta 2005 avviso di accertamento volto al recupero dei maggiori importi fiscali dovuti, con l’irrogazione di sanzioni.
La CTP di Vicenza annullava l’avviso in parola con riferimento al rilievo di indeducibilità di canoni e fitti passivi per non inerenza, rigettando per il resto l’impugnazione della contribuente.
La CTR respingeva l’appello della contribuente e il gravame incidentale dell’erario.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a due motivi. Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si censura la violazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. dell’art. 2, co. 4 lett. a e b, del D.Lgs. n. 218 del 1997, per avere la CTR erroneamente trascurato l’illegittimità dell’accertamento, emesso in violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 218 del 1997, avendo la contribuente aderito, mediante il procedimento di cui al mentovato art. 2, co. 4, D.Lgs. n. 218 del 1997, all’avviso di accertamento.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. dell’art. 2727 c.c., per avere la CTR fatto incongruo ricorso al ragionamento presuntivo, facendo erroneo governo RAGIONE_SOCIALE regole sulle presunzioni.
Il primo motivo è inammissibile.
La CTR, come evidenziato pure in ricorso, ha ritenuto la sussistenza -in linea con l’opinione del giudice di prime cure dei presupposti
contemplati dall’art. 2, co. 4, lett. a e b, D.Lgs. n. 218 del 1997, ai fini dell’esercizio di ulteriore attività accertativa pure a fronte dell’intervenuta adesione della contribuente.
In tal senso, consta un accertamento di fatto sulla sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti dell’attività accertativa, che esclude un reale contrasto con la norma evocata.
La censura, infatti, sotto le mentite spoglie della violazione di legge, mira ad una rivisitazione più appagante del merito. In altri termini, essa, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., degrada verso la sostanziale richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originato l’accertamento fiscale. In breve, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile alla rammentata norma in quanto pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti.
Resta devoluta, tuttavia, al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei presupposti dell’attività accertativa, costituendo ciò un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012.
La contribuente in particolare non lamenta un errore di diritto, in quanto non censura, a ben vedere, una violazione dei limiti fissati alla potestà accertativa dell’Amministrazione dall’art. 2, comma 4, lett. a e b, D.Lgs. n. 218 del 1997; essa, piuttosto, contrasta il sindacato affermativo della sussistenza dei presupposti di esercizio dell’attività accertativa.
Il secondo motivo è infondato.
Va ribadito che ‘ compete alla Corte di Cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a
fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n. 17535 del 2008). La sentenza impugnata ha, peraltro, ritenuto adeguati gli elementi, bensì presuntivi ma aventi le caratteristiche ex art. 2729 c.c. per assurgere a valore di prova, forniti dall’erario; essa ha dato, inoltre, conto RAGIONE_SOCIALE ragioni che l’hanno condotta a condividere la valenza di tali elementi sintomatici. In tal modo la sentenza impugnata ha mutuato l’applicazione del ragionamento presuntivo svolta già dal primo giudice, facendola propria secondo lo svolgimento di un esercizio critico.
Ed infatti, nel tessuto motivazionale, a fronte della censura espressa in sede di gravame sulla sussistenza di presunzioni idonee a giustificare, sorreggendolo, l’accertamento, la CTR ha dato riscontro, valorizzando come sintomaticamente utili ai fini dell’accertamento in parola distinti elementi. Per un verso ha messo testualmente in apice la genericità della fattura di vendita, non rispondente alle ‘ regole contenute nell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972’ nonché priva degli ‘ elementi indicati nell’art. 15 D.P.R. n. 600/1973 ‘. Inoltre, il giudice d’appello ha evidenziato l’aspetto significativo della non definitività della fattura, che reca la singolare dicitura ‘ salvo verifica inventariale al 31.07.2005 ‘, di fatto mostrandosi suscettibile di poter divenire oggetto di successivo conguaglio. Ancora, la CTR ha posto in luce come la nota di accredito emessa entro la data da ultimo menzionata svolgesse la funzione di regolamentare la posizione in precedenza fatturata a titolo non definitivo, con conseguente obbligo di procedere alla contabilizzazione, calcolando anche la relativa imposta. Tali elementi sono stati ritenuti indicativi della non veridicità oggettiva RAGIONE_SOCIALE contestate operazioni.
Nel ribadire la spettanza al monopolio del giudice di merito dell’individuazione e della valorizzazione degli elementi presuntivi nello svolgimento del proprio riservato sindacato di merito, giova
rimarcare che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue, peraltro, che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi esclusivamente quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo -diversamente da quanto accaduto nella specie -può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero quando il medesimo giudice fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti -come nel caso che occupa -nella diversa ricostruzione RAGIONE_SOCIALE circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054 del 2022).
Nella specie, rispetto alla valorizzazione operata dal giudice di merito di alcuni elementi in luogo di altri, peraltro non meglio
identificati dalla ricorrente, non appare ammissibile la critica esposta con il mezzo di ricorso, invero intesa ad infirmarne la validità contrapponendo un diverso elemento istruttorio, la cui valenza probatoria era stata espressamente disattesa, in tal modo prospettando una preclusa rivalutazione del materiale acquisito al processo.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza e quantificate nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio, liquidate in Euro 10.200,00 per compensi, oltre al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione