Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9126 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9126 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29204/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELL’EMILIA -ROMAGNA n. 985/2021 depositata il 15/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con pvc del 10 marzo 2010, la Guardia di Finanza contestava l’indebita deduzione di costi relativi a fatture per operazioni inesistenti e l’indebita detrazione dell’Iva assolta su detti costi. Il pvc segnava l’epilogo di una verifica fiscale, relativa agli anni d’imposta dal 2002 al 2007, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, società fornitrice di materiali per l’edilizia. La verifica segnalava che la RAGIONE_SOCIALE aveva annotato in contabilità merci e importi collegati a false fatture, emesse da società ‘cartiere’. La Guardia di Finanza rilevata, inoltre, una corrispondenza significativa fra le fatture annotate da RAGIONE_SOCIALE, con riguardo a merce della quale solo in apparenza si era approvvigionata, e le fatture emesse nei confronti del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, nella cui compagine s’inseriva la RAGIONE_SOCIALE Dal momento che la RAGIONE_SOCIALE non disponeva di sufficienti scorte di merci per soddisfare gli ordinativi delle imprese appartenenti al Gruppo Tomasi, si ricavava la conclusione che la RAGIONE_SOCIALE, tra le altre, avesse contabilizzato costi per operazioni inesistenti. In tal senso, recependo le risultanze emerse nel pvc, il 7 settembre 2010 venivano emessi dall’Agenzia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE s.r.l. gli avvisi di accertamento n. THD03T401522 per l’anno d’imposta 2005 e n. THD03T401523 per l’anno d’imposta 2006, contestando, ai fini IRES e IRAP, l’indebita deduzione di costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, e l’indebita detrazione dell’IVA indicata nelle predette fatture, con irrogazione delle relative sanzioni amministrative. Il successivo 6 dicembre 2010, invece, l’Ufficio emetteva gli avvisi n. THD03T402320 per l’anno d’imposta 2007 e n. THD03T402321 per l’anno d’imposta 2008, con i quali recuperava a tassazione le perdite maturate dalla Società in
annualità precedenti e utilizzate in compensazione, per l’appunto, nel 2007 e nel 2008.
La CTP di Ferrara accoglieva, previa loro riunione, i distinti ricorsi avanzati dalla società avverso gli atti impositivi.
Con la sentenza di n. 1790, depositata il 29 giugno 2016, la CTR di Bologna accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio confermando la legittimità della pretesa impositiva.
Pronunciandosi sul ricorso della parte contribuente, con l’ordinanza n. 22205, depositata il 5 settembre 2019, la Corte di cassazione cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, per un nuovo esame.
La RAGIONE_SOCIALE provvedeva a riassumere il giudizio, che si concludeva con la sentenza della CTR dell’Emilia -Romagna, accoglieva la prospettazione della contribuente, disattendendo quella dell’erario.
Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, degli artt. 2727 -2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto l’insufficienza della prova, offerta in via presuntiva dalla Amministrazione finanziaria, in ordine all’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate e alla dimostrazione del fatto che le società del gruppo COGNOME sapevano o avrebbero dovuto sapere che RAGIONE_SOCIALE era soggetto dedito alla emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
4 c.p.c., per non essersi pronunciata sulla specifica questione del riconoscimento della deducibilità dei costi sostenuti dalle società RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, per aver violato l’art. 109 Tuir che dettaglia i requisiti di deducibilità di detti costi, ai fini delle imposte dirette
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 Tuir in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avuto riguardo ai requisiti di deducibilità dei costi sostenuti dalle società RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, ai fini delle imposte dirette.
È fondato e va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento delle altre due censure.
Nella sentenza impugnata, in sede di rinvio, la CTR ha osservato che: ii) RAGIONE_SOCIALE non appariva una società ‘cartiera’ essendo stata riconosciuta tale soltanto a seguito di un’accurata indagine penal-tributaria, non verificabile dalla contribuente con la normale diligenza nell’ambito del rapporto contrattuale intrattenuto con il proprio fornitore abituale, costituente una realtà consolidata e accreditata da diversi anni nel settore dell’edilizia tra i costruttori del territorio ferrarese; ii) secondo quanto statuito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 22205 del 2019, la prova della consapevolezza della frode non poteva trarsi dalla sostanziale coincidenza/corrispondenza dell’ammontare globale del materiale acquistato da RAGIONE_SOCIALE dai fornitori fittizi con quello fatturato da quest’ultima nei confronti delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE atteso che tale circostanza costituiva prova unicamente del dato, non contestato, della continuità dei rapporti di fornitura; 3) il ritrovamento presso l’amministratore di fatto (COGNOME) di RAGIONE_SOCIALE delle matrici di assegni intestati al dominus del gruppo NOME COGNOME (quali possibili “garanzie” per la restituzione delle somme fittiziamente indicate a debito nelle false fatture in oggetto) costituivacome statuito nella richiamata
ordinanza cassatoria – un dato indiziario non univoco, insufficiente, in mancanza di ulteriori riscontri, a fare ritenere raggiunta la prova della conoscenza da parte della contribuente della provenienza ‘in nero’ del materiale apparentemente fornito da RAGIONE_SOCIALE; 4) la sentenza penale di assoluzione degli amministratori del gruppo COGNOME per gli stessi fatti per i quali l’Amministrazione aveva promosso l’accertamento e, segnatamente, le valutazioni del giudice penale in merito ridimensionamento a 16 milioni -rispetto ai 52 contestati -degli importi delle fatture provenienti dalle cartiere annotate da RAGIONE_SOCIALE per costi di servizi e non per merci.
In primo luogo, va esclusa l’applicazione dell’art. 21 -bis (rubricato ‘ Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione ‘) del d.lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 di revisione del sistema sanzionatorio tributario e penale, in attuazione della legge delega 9 agosto 2023 n. 111 (recante principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale), essendo stata, nella specie – come si evince da entrambe le memorie delle parti in causa -la sentenza penale, passata in giudicato di assoluzione degli amministratori del Gruppo Tomasi, emessa a seguito di giudizio abbreviato. Al riguardo, come chiarito da questa Corte, da ultimo, nella sentenza n. 3800 del 2025 (che ha affermato il principio di diritto secondo cui« L’art. 21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l’art. 1, d.lgs. n. 87 del 2024, poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria – in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali – si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non
all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio »)restano escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 21 -bis: -le sentenze di condanna; – le sentenze di assoluzione e proscioglimento con una diversa formula (il fatto non costituisce reato, il fatto non è più previsto come reato, le formule di improcedibilità, …); -i provvedimenti di archiviazione; – le sentenze di applicazione della pena (444 cod. proc. pen.); – tutte le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato (punto 9).
Ciò premesso, il giudice del rinvio non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto statuiti dalla Corte di cassazione nella ordinanza n. 22205 del 2019, in relazione agli accolti motivi di ricorso, afferenti l’assolvimento da parte dell’Agenzia dell’onere probatorio in ordine alla consapevolezza da parte della contribuente del meccanismo fraudatorio e il mancato esame, ancorché al fine della formazione del proprio “libero convincimento”, della sentenza penale assolutoria degli amministratori delle società del “gruppo RAGIONE_SOCIALE” quanto alla rilevanza delle valutazioni meritali in ordine alla “dimensione soggettiva” dell’illecito fiscale addebitato alla società contribuente.
L’ordinanza cassatoria in parola ha, infatti, incisivamente riaffermato il principio basilare già espresso da questa Corte, a tenore del quale ‘ in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando
l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 9851 del 2018).
Orbene, nella sentenza impugnata il giudice del rinvio, nell’evidenziare che la disamina degli atti e documenti di causa non faceva emergere in alcun modo che la società sapeva o avrebbe potuto sapere che RAGIONE_SOCIALE fosse una cartiera, ha esaminato in modo del tutto parcellizzato, gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione a supporto della conoscenza o conoscibilità della fittizietà delle operazioni in capo alla contribuente.
In particolare, la CTR, nel ritenere non fornita dall’Amministrazione tale ‘prova della conoscenza’ della frode da parte della società contribuente, ha innanzitutto attribuito dirimente pregnanza ad un elemento irrilevante ai fini del giudizio sulla consapevolezza, id est la circostanza che RAGIONE_SOCIALE non apparisse una cartiera, visivamente priva di mezzi e risorse, mostrandosi riconoscibile come tale solo a posteriori, dopo un’accurata ‘ indagine penaltributaria ‘.
Inoltre, la CTR si è limitata a riportare quanto statuito dalla Corte di cassazione nella ordinanza n. 22205 del 2019, nella parte contenente, da un lato, l’affermazione a tenore della quale la prova di tale consapevolezza non poteva trarsi dalla sostanziale coincidenza dell’ammontare globale delle false fatture d’acquisto annotate da RAGIONE_SOCIALE con quello delle fatture di vendita dalla stessa emesse nei confronti delle società del “RAGIONE_SOCIALE“,
atteso che tale circostanza costituiva mero presupposto oggettivo, indispensabile per poter ipotizzare la partecipazione delle acquirenti alla frode, che prova unicamente il dato, non contestato, della continuità dei rapporti di fornitura; dall’altro lato, l’affermazione alla luce della quale il ritrovamento presso il c.d. amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE delle matrici di assegni per euro 2.000.000 di euro intestati al dominus del gruppo NOME COGNOME risultava essere dato indiziario non univoco.
Nondimeno, la CTR ha del tutto abdicato, con ogni evidenza, ad una effettiva valutazione degli elementi indiziari acquisiti in giudizio, trascurando di accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (v. ex multis , Cass. n. 5374 del 2017).
Anche il giudizio en passant sulla valenza della sentenza penale passata in giudicato del Tribunale di Ferrara n. 35/2013 di assoluzione degli amministratori del Gruppo COGNOME è stato condotto, in modo avulso dagli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, ponendo in rilievo sostanzialmente la sola valutazione relativa al ridimensionamento a euro 16 milioni del dato relativo ai costi per servizi, contestati per euro 52 milioni.
Osserva questa Corte che è doverosa, da parte del giudice di merito, una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; per converso il giudice regionale si è nella specie limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi. In tal modo, la CTR ha violato il seguente, sedimentato principio di diritto: ‘ In tema di prova per presunzioni,
il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi . Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento ‘ (Cass. n. 9108 del 2018; Cass. n. 27410 del 2019; Cass. n. 13819 del 2003).
Il primo motivo va, pertanto, accolto al fine di consentire un nuovo esame a cura della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia -Romagna intonato al riportato principio.
L’accoglimento del primo motivo rende inutile la trattazione dei restanti con assorbimento dei medesimi.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla
Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia – Romagna, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29/01/2025.