Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32277 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32277 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28689/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 1020/2019 depositata il 25/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si evince quanto segue:
La società RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato all’Ufficio il 18/05/2015, ha impugnato l’avviso di accertamento n. TK3036504628/2014, emesso per l’anno di imposta 2009, con il quale l’Ufficio ha accertato una maggiore imposta Iva, per euro 1.990.000,00, ed applicato la relativa sanzione.
La ricorrente esponeva le operazioni commerciali presupposte all’atto impositivo, precisa che il sig. COGNOME -dopo che la RAGIONE_SOCIALE (all’epoca società di diritto spagnolo ora con sede in Italia) aveva acquistato la partecipazione di maggioranza (80%) della RAGIONE_SOCIALE della quale il COGNOME era socio per il 20% -sottoscriveva con l’Immobiliare RAGIONE_SOCIALE, in data 31.01.2008, un contratto preliminare con il quale s’impegnava ad acquistare per sé o per persona da nominare un terreno al prezzo complessivo di euro 14.500.000,00. In tale contratto, redatto in forma di atto notarile pubblico, venivano, tra l’altro, pattuite le modalità e i tempi di pagamento, dando atto dell’avvenuto versamento, a titolo di caparra, di euro 300.000,00, e con impegno entro il successivo 5 febbraio del versamento dell’ulteriore somma di euro 1.200.000,00. Il Gagliardi per disporre delle somme per i versamenti stabiliti, in data 5 febbraio 2008, scioglieva la riserva e indicava quale acquirente del bene la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) sempre con atto notarile pubblico e dichiarava corrisposto alla cedente RAGIONE_SOCIALE la ulteriore somma di euro 1.200.000,00 a mezzo assegno.
Con successiva assemblea i soci della COGNOME s’impegnavano di versare somme in conto capitale per permettere all’acquirente di rimborsare al COGNOME la somma di euro 1.500.000,00. Si susseguivano una serie di operazioni contabili al fine di definire l’acquisto del predetto terreno che presentava, come da documentazione probatoria e da relazioni tecniche, una serie di problematiche per la realizzazione degli impianti commerciali cui era destinato. La Tacito, per la programmazione della bonifica e consulenze tecniche, oneri bancari e contributi amministrativi, sosteneva costi ammontanti, come da bilancio 2013, per euro 3.400.000. 00.
Con atto 14 ottobre 2008, il COGNOME cedeva la sua quota del 20% della Tacito a Prader.
In data 16 luglio 2009, veniva redatto l’atto di compravendita del terreno tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 11.900.000. 00 oltre IVA di euro 1.990.000,00. In tale occasione il venditore dava quietanza di aver ricevuto il totale prezzo di vendita (meno euro 500.000,00) nei modi e termini di cui all’atto notarile.
In data 28 marzo 2012 la RAGIONE_SOCIALE chiedeva a rimborso il credito dell’IVA versata, dichiarata e portata a credito nelle dichiarazioni annuali.
A seguito dell’istanza di rimborso, l’Ufficio chiedeva documentazione integrativa alla Tacito tra cui copia degli assegni utilizzati da COGNOME per il pagamento della caparra confirmatoria e dell’accento di euro 1.200.000,00. La documentazione veniva richiesta alla Direzione generale della banca Carifermo che comunicava di riscontrare difficoltà nell’evadere la richiesta.
La Tacito, ritenendo che le somme portate dai predetti assegni non fossero state mai pagate dal COGNOME, in data 8 luglio 2013, sporgeva denuncia querela, ai sensi dell’art. 120 c.p. 336 c.p.c., nei confronti di quest’ultimo e/o nei confronti di chiunque risultasse responsabile. Il 7 agosto 2014, dopo vari incontri con l’Agenzia delle Entrate, presentava memoria e tutta la documentazione in possesso per dimostrare la fondatezza della richiesta di rimborso trattandosi di credito relativo ad IVA versata, non utilizzata e mai rimborsata.
L’Agenzia delle Entrate, in data 15 dicembre 2014, notificava l’avviso di accertamento opposto, con il quale l’Ufficio chiedeva il versamento dell’IVA indebitamente detratta nell’anno 2009 di euro 1.990.000 oltre la sanzione di pari importo sul presupposto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato di non essere a conoscenza del comportamento evasivo del fornitore (RAGIONE_SOCIALE) .
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 11193/07/17, depositata il 9 maggio 2017 e non notificata, accoglieva il ricorso, con condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 5.000,00. Secondo la CTP di Roma, dalla lettura della motivazione dell’avviso di accertamento le contestazioni mosse alla ricorrente risultano basate su semplici presunzioni, prive di riscontro probatorio, l’impianto accusatorio sarebbe debole e infondato. Piuttosto, ad avviso della CTP di Roma sussistevano i presupposti per il rimborso richiesto dalla contribuente. Ma, ammesso e non concesso che fosse effettivamente stata accertata la non sussistenza dei presupposti
per il rimborso, non è chiaro il motivo per il quale l’Ufficio, in presenza di un credito mai utilizzato, accertava nei confronti della ricorrente un’indebita utilizzazione del credito richiedendone il versamento con l’irrogazione anche delle sanzioni .
2. L’Ufficio proponeva appello, rigettato dalla CTR del Lazio, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Come ha avuto modo di affermare la Suprema Corte di cassazione in diverse occasioni (da ultimo Cass. n. 25545/2017), che il Collegio condivide: qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass. Sez. 12650/17; Sez. VI-5, 13238/17; cfr. Corte Giust. 22/10/2015, C-277/14).
Ora, nel caso in esame, da una parte, l’Ufficio finanziario non raggiunge la prova che avrebbe dovuto dare mentre la contribuente ha dimostrato la correttezza del proprio operato con idonea documentazione.
A) Come ha già evidenziato la CTP di Roma le presunzioni svolte dall’ufficio (che vengono riproposte in questa sede: a) sarebbe quantomeno inverosimile che soltanto dopo poco più di un anno dall’acquisto la RAGIONE_SOCIALE promette di vendere lo stesso immobile per un corrispettivo 14 volte il prezzo di acquisto; b) non risulterebbe comprensibile il motivo per cui nella stessa data il COGNOME avrebbe versato alla società RAGIONE_SOCIALE l’importo di £. i.200.000,00 incrementando il credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; c) per importi così elevati il sistema di pagamento tramite assegni bancari sarebbe quantomeno inusuale; d) la società RAGIONE_SOCIALE non avrebbe versato l’imposta dovuta derivante dalla cessione di cui sopra; e) il comportamento della società RAGIONE_SOCIALE rivelerebbe un intento
fraudolento e farebbe dubitare della veridicità dell’intera operazione; f) sarebbe inverosimile che la società RAGIONE_SOCIALE si sia fatta truffare così facilmente restituendo la somma di €. 1.200.000,00 al COGNOME, somma che quest’ultimo non avrebbe mai versato), non rivestono i requisiti per assurgere a ruolo di prova certa ed essenzialmente perché la compravendita del terreno è certa e risulta trascritta presso la Conservatoria dei registri immobiliari, il pagamento del corrispettivo da parte dell’odierna appellata è avvenuto ed è comprovato dalle somme dichiarate e versate nei modi e tempi indicati nell’atto. Di più, la mancata conoscenza di eventuale frode e la non partecipazione della ricorrente al presunto sodalizio è confermata proprio dal comportamento della ricorrente che al momento in cui ha avuto il sospetto che le somme in questione (ovvero gli assegni) non fossero stati effettivamente pagati, ha sporto denuncia/querela come da documentazione allegata (doc. 14). Nemmeno può addebitarsi alla ricorrente la eventuale non commercializzazione degli assegni da parte della venditrice perché i predetti assegni, comunque, furono emessi e la venditrice ne ha rilasciato quietanza in sede di rogito notarile.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo; resiste la contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2727 c.c., dell’art. 2729, dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 19 e dell’art. 54 del DPR 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’.
1.1. L’Ufficio aveva addotto una serie di indizi non valutati dalla CTR.
‘Segnatamente:
l’immobile di che trattasi era stato acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE nel dicembre del 2006 al prezzo di € 1.000.000,00 salvo poi dopo poco più di un anno, con il contratto preliminare del 30/01/2008, impegnarsi a vendere lo stesso immobile al sig. COGNOME (socio della RAGIONE_SOCIALE, per sé o per persona da nominare, al prezzo comprensivo di IVA di €
14.500.000,00, quindi oltre 14 volte il prezzo di acquisto; ciò denota, ex se, senza ombra di dubbio, l’assoluta anomalia economica dell’affare ponendosi come indizio così lampante da assurgere -già da solo -a piena prova
gli assegni che sarebbero stati emessi dal COGNOME, socio della RAGIONE_SOCIALE, indicati in conto prezzo nell’atto di compravendita, rispettivamente di € 300.000,00 e € 1.200.000,00, in merito ai quali non è stata prodotta alcuna prova documentale
a fronte di tutti gli acconti indicati nel contratto di compravendita, non risultano emesse le relative fatture
la società dante causa nella descritta compravendita, RAGIONE_SOCIALE e la sua incorporante RAGIONE_SOCIALE non hanno versato l’imposta dovuta derivante dalla cessione di cui sopra. La prima società ha omesso il versamento periodico di € 1.390.467,00, mentre la seconda ha omesso il versamento IVA annuale a conguaglio per 782.369,00 e, dopo il periodo d’imposta 2009, non ha più presentato dichiarazioni fiscali
la condotta tenuta dal COGNOME, socio della RAGIONE_SOCIALE Invero egli in data 31/01/2008 sottoscriveva un preliminare di compravendita con la RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto per sé o per persona da nominare di un complesso immobiliare, nominando poi in data 05/02/2008 quale promissario acquirente la RAGIONE_SOCIALE società di cui in quella stessa data diverrà amministratore. Il COGNOME poi cesserà dalla carica di amministratore il successivo 05/05/2009, poco prima della sottoscrizione del contratto definitivo perfezionata il 16/07/2009. Risulta evidente quindi come il COGNOME sia entrato a far parte della RAGIONE_SOCIALE al solo fine di concludere l’operazione immobiliare in contestazione
l’ingente movimentazione di danaro da un soggetto all’altro. Non risulta comprensibile il motivo per cui nella data del 05/02/2008 il sig. COGNOME socio della RAGIONE_SOCIALE avrebbe
versato alla RAGIONE_SOCIALE l’importo di 1.200.000,00, incrementando il credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE da 300.000,00 a € 1.500.000,00, importo che in pari data 05/02/2008 l’assemblea dei 2 soci della RAGIONE_SOCIALE (COGNOME e RAGIONE_SOCIALE) decideva di restituire allo stesso COGNOME tramite l’aumento di capitale di 1.500.000,00, con versamenti da parte di ciascun socio in misura proporzionale alla rispettiva quota di partecipazione. Perché quindi il versamento alla RAGIONE_SOCIALE di € 1.200.000,00, per conto della RAGIONE_SOCIALE, anziché da parte del COGNOME, non è stato effettuato direttamente dalla Prader Inversiones 2007, considerato che quest’ultima nello stesso giorno 05/02/2008 è divenuta socio di maggioranza e la RAGIONE_SOCIALE è stata nominata promissario acquirente?’ .
‘La ratio decidendi sulla prova della buona fede dell’acquirente è affetta da manifesto travisamento . Segnatamente l’esistenza formale del negozio (al pari della fattura regolarmente contabilizzata per operazioni inesistenti) non può assurgere a prova alcuna dell’assenza di frode. La buona fede, poi, è smentita per tabulas dalla stessa denuncia prodotta dalla contribuente e comprova il travisamento della prova. La denuncia de qua è stata depositata presso la Procura della Repubblica a distanza di oltre 5 anni dagli avvenimenti per cui è causa. La denuncia è datata 2013 mentre l’operazione immobiliare è avvenuta nel 2008(!). Nel frattempo e per ben 5 lunghi anni si sono succeduti una miriade di atti connessi all’operazione immobiliare senza che la società si accorgesse di nulla, ne facesse alcunché . Ma ciò che conta e che dimostra senza dubbio il travisamento della prova è che il COGNOME all’epoca del preliminare era socio ed amministratore della società contribuente e dunque la buona fede è esclusa proprio dalla denuncia (che ha effetto confessorio) in suo danno, perché essa va valutata in capo alla società e ai suoi organi nel momento
dell’affare fraudolento e non certo in capo ai diversi amministratori succedutisi dopo cinque anni’.
1.2. Il motivo -non inammissibile, come eccepito in controricorso, in quanto identifica con precisione le violazioni di legge affliggenti la sentenza impugnata, deducendo pertinenti censure, senza scivolare nella richiesta di una revisione del giudizio meritale -è fondato e merita accoglimento.
1.2.1. In tema di prova per presunzioni, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01).
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
1.2.2. Di tali principi la CTR ha fatto evidente malgoverno.
Ha immotivatamente squalificato la valenza probatoria del corteo indiziario offerto dall’Ufficio, omettendo di analizzare i singoli
indizi di per se stessi considerati, per poi ricomporli ad unità, onde apprezzarne l’efficacia rappresentativa di un quadro coerente. Ciò è a valere, in particolar modo, per l’enorme sproporzione tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita da parte di RAGIONE_SOCIALE, che, con l’incorporante, non ha ma versato l’IVA; per la mancanza di alcuna prova documentale -fatture comprese -dei pagamenti medianti assegni con cui il COGNOME avrebbe corrisposto le somme inziali di euro 300.000,00 ed euro 1.200.000,00; per il ruolo dal COGNOME giocato -in parallelo alle qualità (amministratore e socio) rivestite -in seno alla contribuente; per il peculiare meccanismo attraverso cui il COGNOME -con il coinvolgimento della contribuente -è stato tenuto indenne del versamento di dette somme.
A fronte di ciò, la CTR ha errato nel ritenere che la denuncia dimostrasse ‘la mancata conoscenza di eventuale frode e la non partecipazione della ricorrente al presunto sodalizio’: invero come correttamente rilevato nel motivo -la valutazione dell’elemento soggettivo della contribuente rispetto alla frode deve essere compiuta al momento della condotta, allorquando il COGNOME era socio ed amministratore delle medesima.
In definitiva, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, anche del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 24 ottobre 2024.