Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33826 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33826 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17112/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE quale incorporante RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del MOLISE-CAMPOBASSO n. 149/2021 depositata il 11/03/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. Dalla sentenza in epigrafe, in punto di fatto, emerge quanto segue:
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento IVA-IRPEG e IRAP n. RD1030100407/2007, relativo all’anno d’imposta 2002, con il quale venivano richieste maggiori imposte, rispettivamente di euro 3.802.869,00, euro 448.942,00 ed euro 2.112.704,00, nonché sanzioni per euro 5.704.303,50.
L’accertamento impugnato verteva essenzialmente sulla natura giuridica dei rapporti tra la stessa RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE , che, ad avviso dell’Ufficio, dovevano ricondursi per “facta concludentia” a quelli tra committente e commissionario (mandato senza rappresentanza), nei quali la RAGIONE_SOCIALE costituiva il mandante, con la conseguenza che i passaggi dei beni dall’una all’altra società, e viceversa, integravano a tutti gli effetti cessione di beni ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633/1972, rilevanti anche a fini IVA, e le relative prestazioni non potevano essere considerate prestazioni di servizi, a norma dell’art. 3, comma 4, lett. h) dello stesso d.P.R.
Conseguentemente, poiché le due società avevano contabilizzato i passaggi di beni tra le stesse come prestazioni di servizi concernenti lavorazioni eseguite, erano state accertate a carico della RAGIONE_SOCIALE l’omessa dichiarazione ai fini delle imposte dirette dei corrispettivi derivanti dalle cessioni (artt. 52 e 53 d.P.R. n. 917/1986) e l’omessa fatturazione delle relative operazioni (art. 21 d.P.R. n. 633/1972).
La Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, con sentenza n. 386/3/2008, depositata il 22/12/2008, accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE ritenendo, tra l’altro, che, nel caso di specie, non fosse ravvisabile nessun contratto di commissione con la RAGIONE_SOCIALE, ex art. 1731 e ss. cod. civ., essendo invece vero il contrario, come desumibile
dalla dicitura “in conto lavorazione” risultante dalla documentazione in atti.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva appello mentre la RAGIONE_SOCIALE si costituiva controdeducendo e proponendo appello incidentale contro il capo della decisione che aveva compensato le spese.
La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza n. 17/01/12, depositata il 2/02/2012 dichiarava nel dispositivo l’inammissibilità dell’appello principale e di quello incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva gravame e la Suprema Corte, con sentenza n. 19952 del 2018, ritenendo assolto nella specie l’onere di specificità dei motivi di appello proposti dall’Amministrazione finanziaria, disponeva l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Regionale di Campobasso per l’esame del merito del gravame.
RAGIONE_SOCIALE – quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE riassumeva il giudizio, all’esito del quale la CTR del Molise, con la sentenza in epigrafe, decideva nel senso del rigetto di entrambi gli appelli principale ed incidentale.
Così motivava:
7.Con specifico riferimento alla legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, la Commissione Tributaria Provinciale affermava che “la tesi dell’Ufficio la dove esso assume che si è in presenza di un contesto di costi non inerenti in quanto riferiti a fatturazione per servizi resi da società inesistenti, si pone come fondata su un’affermazione tanto apodittica ed indimostrata, quanto avulsa da qualsiasi realtà giuridica ed economica: per quanto è rilevabile dagli atti, le società, di cui si serve la RAGIONE_SOCIALE per svolgere la propria produzione hanno forma e personalità riconosciute alla stregua degli ordinamenti statali in cui sono inserite ed ai quali appartengono, di tal che non è anzitutto possibile disconoscere la giuridica esistenza alla luce di improbabili argomentazioni riguardanti l’inerenza o meno dei costi che esse incontrano nella produzione loro propria al ciclo lavorativo della società RAGIONE_SOCIALE Non esiste alcuna disposizione che presupponga che la figura dell’esportatore debba coincidere con quella del proprietario. Il fatto che l’impresa esistente in Italia abbia il controllo di altra impresa, delocalizzata, non impedisce che le due imprese siano soggetti giuridici
autonomi con conseguente regolazione dei loro rapporti sulla scorta delle norme proprie dell’ordinamento e che, in particolare, l’utilizzazione da parte della società controllata di attrezzature, impianti e macchinari avvenga dietro pagamenti di corrispettivi. Non esiste alcun postulato di diritto in forza del quale la creazione di organizzazione imprenditoriale stabile all’estero (delocalizzazione) si identifichi ‘sic et simpliciter’ con una partecipazione in società operante in Italia; onde non esiste alcun principio che impedisca ad una impresa in forma societaria quivi esistente di operare all’estero, piuttosto che attraverso una ripartizione organizzativa propria, priva di soggettività giuridica mediante la costituzione diretta di una società oppure attraverso la acquisizione di partecipazione societaria”.
8.Con l’atto di appello l’Agenzia delle Entrate ha ribadito l’impostazione già contenuta nell’avviso di accertamento, secondo cui il rapporto commerciale tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE deve essere riqualificato come “contratto di commissione” e non invece come “contratto in conto lavorazione”.
In senso del tutto convergente, la Guardia di Finanza aveva già rilevato che la RAGIONE_SOCIALE è sicuramente la società meglio predisposta, dal punto di vista della composizione del capitale, del patrimonio netto, dei soci e dell’influenza dominante, ad esercitare una vera e propria posizione di controllo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
La RAGIONE_SOCIALE, infatti, è effettivamente dotata di attrezzature e macchinari industriali, nonché di specifico personale addetto alla produzione, mentre la RAGIONE_SOCIALE si occupa della commercializzazione dei prodotti finiti provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE, oltre che degli acquisti delle materie prime necessarie per essere impiegate nella produzione avendo la stessa società una maggiore predisposizione ai rapporti commerciali ed una più efficiente rete di vendita.
Secondo la prospettazione dell’Ufficio, i verbalizzanti (al momento del controllo) non avevano rinvenuto registri o atti idonei a comprovare le movimentazioni di merci in conto lavorazione: la RAGIONE_SOCIALE invia all’estero le materie prime per la lavorazione avvalendosi della società “RAGIONE_SOCIALE” (con sede in Tirana) e della società RAGIONE_SOCIALE con sede a Timisoara, entrambe riconducibili allo stesso amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE
Al termine del processo di lavorazione effettuato all’estero, la RAGIONE_SOCIALE rientra in possesso dei prodotti finiti ed i capi di abbigliamento, pronti ad essere immessi sul mercato, vengono trasferiti alla RAGIONE_SOCIALE che si occupa della commercializzazione e a cui la RAGIONE_SOCIALE fattura la prestazione di servizio.
A giudizio dell’Amministrazione finanziaria ricorrevano gli estremi del “contratto di commissione” nel quale la RAGIONE_SOCIALE aveva assunto il ruolo di mandante, atteso che si pone al vertice del gruppo di imprese in cui l’acquisto delle materie prime e dei filati più idonei, nonostante siano fatturate alla RAGIONE_SOCIALE, viene curato da un dipendente della RAGIONE_SOCIALE .
La contestazione oggetto della ripresa a tassazione riguardava, dunque, non la lavorazione quanto piuttosto la mancata contabilizzazione ai tini IVA del passaggio della merce tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE antecedentemente alla loro spedizione all’estero: la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rifatturare la merce alla RAGIONE_SOCIALE comprensiva della propria commissione di intermediazione.
9.- La tesi dell’Agenzia delle Entrate non può essere condivisa.
La questione oggetto della presente controversia tributaria è già stata esaminata da questa Commissione Tributaria Regionale (in diversa composizione) in relazione a diversa annualità di imposta e, con maggior grado di approfondimento, anche dal giudice penale che ha escluso, in ordine alla medesima vicenda, la configurabilità di reati fiscali (cfr. sentenza n. 24/2010 del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Larino).
Va premesso, nei rapporti tra giudizio penale e tributario, che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile .
La ricostruzione operata dal giudice penale, da cui sono scaturite le seguenti conclusioni, appaiono pienamente condivisibili “Le materie giungono alla RAGIONE_SOCIALE a mezzo D.D.T. sui quali, a volte, è riportata la dicitura ‘in conto lavorazione’ o ‘in conto vendita’. Quindi, all’atto della spedizione delle materie prime in Albania ed in Romania, la RAGIONE_SOCIALE presenta in dogana la dichiarazione relativa a merce in esportazione definitiva, mediante la redazione di lista valorizzata recante la dicitura ‘non valida ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972’ e, al rientro dei
prodotti finiti provvede ad emettere autofattura ai sensi dell’art. 17, comma 3, del d.P.R. cit. I prodotti finiti vengono, quindi, in tal modo trasferiti alla RAGIONE_SOCIALE, che provvede alla loro commercializzazione immettendoli, attraverso una propria rete di agenti e rappresentanti, nei circuiti commerciali. Nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE emette dunque fattura per le prestazioni di servizio rese: la RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, paga le fatture con le provviste derivanti dai ricavi delle vendite. Sulla base di tali elementi fattuali, l’Agenzia delle Entrate pone a base del proprio convincimento valutazioni su quel che dovrebbe essere, non su quel che è, costruendo su di esse una realtà giuridica che, però, non è affatto incompatibile con l’assetto contrattuale configurato dalle due società. Ed infatti, il fatto che la RAGIONE_SOCIALE sia la capo-gruppo di una holding di cui fa parte anche la RAGIONE_SOCIALE non esclude affatto che la prima possa svolgere un servizio, effettivamente retribuito, a favore della seconda, e certamente non può imporre una lettura a senso unico dei rapporti giuridici che regolano le relazioni commerciali tra le parti. La circostanza che la RAGIONE_SOCIALE si dichiari proprietaria della merce esportata in conto lavorazione è del tutto fisiologica nel caso di esportazione definitiva senza trasferimento di proprietà, in base ad una sostanziale ‘fictio iuris’ ammessa, lecita e ben spiegata dalla stessa Guardia di Finanza. La scelta dei materiali da parte dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE è ragionevolmente spiegabile con il fatto che i prodotti commercializzati dalla RAGIONE_SOCIALE recano il marchio registrato della prima, che ha dunque tutto l’interesse a selezionare il materiale con cui confezionare i capi da produrre”.
Le medesime conclusioni sono state sviluppate anche da questa Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza n. 521/01/2018, depositata il 19/07/2018, che ha ulteriormente osservato che “ella realtà si intravede un accordo commerciale di lavorazione tra RAGIONE_SOCIALE acquista i tessuti e le materie prime che dovranno poi essere lavorati dalla Linar in Albania e successivamente consegnati alla prima per la sua commercializzazione: imporre per ciascuna fase una tassazione ai fini IVA per intero importerebbe una violazione della capacità contributiva con conseguenze paradossali ed oltremodo gravose. La consegna dei beni ai fini della lavorazione non costituisce prova della cessione terzi della
titolarità di tali beni né vi è la prova di indebiti vantaggi fiscali conseguiti dalle parti”.
Ad ulteriore completamento di tali osservazioni, la società contribuente specificava che non era stato istituito il registro di carico e scarico della merce, essendo sufficiente la ricezione del D.D.T. della G.T.M. s.r.l., quale documento idoneo a rappresentare e documentare il passaggio dei beni tra le due società.
Come ampiamente precisato dalla Suprema Corte, il documento di trasporto permette di vincere la presunzione di cui all’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 .
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo. Resiste RAGIONE_SOCIALE quale incorporante RAGIONE_SOCIALE con controricorso, ulteriormente insistito con memoria.
Con requisitoria del 12 novembre 2024, il Pubblico Ministero presso questa Suprema Corte in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. NOME COGNOME per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
Considerato che:
Preliminarmente deve darsi atto che, con la memoria depositata in vista dell’udienza, la contribuente fa valere, agli effetti del novello art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, il giudicato della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal GUP presso il Tribunale di Larino nei confronti dell’amministratore delle due società per evasione fiscale in relazione ai medesimi fatti oggetto di giudizio.
Siffatta prospettazione della memoria, che paventa altresì un’irragionevolezza costituzionalmente rilevante con riferimento alla testuale limitazione della vincolatività della sola sentenza assolutoria dibattimentale, è priva di fondamento e deve essere disattesa.
La sentenza di non luogo a procedere non produce effetti suscettibili di rilevare ai sensi dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, giacché non contiene alcun accertamento in fatto,
essendo resa allo stato degli atti in esito all’udienza preliminare, a sua volta celebrata in camera di consiglio senza istruttoria; detta sentenza conclude la fase delle indagini preliminari sul presupposto meramente prospettico dell’insostenibilità dell’accusa in giudizio (art. 425, comma 3, cod. proc. civ.), talché è strutturalmente inidonea al giudicato, tanto da essere espressamente revocabile (art. 434 cod. proc. pen.), viepiù con semplice ordinanza (art. 436 cod. proc. pen.). Donde la manifesta infondatezza di alcun dubbio d’illegittimità costituzionale dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, al cui ambito di operatività non può attrarsi altresì la sentenza di non luogo a procedere, siccome non assimilabile, né per struttura né per disciplina, alla sentenza assolutoria dibattimentale, la quale sola, contenendo un accertamento in fatto, è invece votata al giudicato.
Può ora procedersi alla disamina dell’unico motivo di ricorso, mediante il quale si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1731 e segg. 2729 c.c., nonché degli artt. 115, comma 1, c.p.c., 2, 3 e 53 DPR n. 633/1972 in relazione all’art. 360, c. 1^ n. 3 cpc’.
2.1. ‘L’Ufficio allegava in corso di causa plurimi elementi probatori, idonei ad integrare la presunzione grave, precisa e concordante, univocamente rivolta a comprovare come le due società avessero in effetti simulato il diverso rapporto di lavorazione dei tessuti in favore della RAGIONE_SOCIALE, dissimulando in tal modo il reale contratto di commissione tra le stesse intercorso, al fine di evitare alla commissionaria RAGIONE_SOCIALE la fatturazione ed il conseguente versamento dell’Iva sulle cessioni operate nei confronti della committente RAGIONE_SOCIALE nonché di evitare parimenti
l’adempimento degli obblighi ai fini Iva connessi alla successiva fatturazione da parte della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, con riferimento ai prodotti realizzati e destinati alla successiva commercializzazione. In effetti l’Ufficio aveva allegato e dimostrato quanto accertato nel pvc dai militari, ossia che: 1. era stata la RAGIONE_SOCIALE a presentare in dogana le merci in regime di temporanea esportazione allorquando esse venivano inviate in altri Paesi per il successivo impiego manufatturiero; 2. la RAGIONE_SOCIALE aveva una maggiore propensione all’attività commerciale, avendo una rete di vendita più efficiente, mentre il profilo della Linar era più ‘operativo’ e produttivo; 3. sebbene le materie prime fossero state ricevute dalla Linar accompagnate da D.D.T. ‘in conto lavorazione’, la società non aveva mai istituito il registro di carico e scarico di merce altrui, ovvero non aveva mai predisposto le obbligatorie scritture ausiliarie di magazzino; 4. GTM non solo vendeva il prodotto finito, ma acquistava anche le materie prime; 5. la Linar era essa stessa a scegliere i tessuti che la GTM avrebbe poi acquistato per l’utilizzo manifatturiero; 6. entrambe le compagini al soggetto di controllo’.
2.2. Il motivo – che si sottrae alle eccezioni di inammissibilità di cui al controricorso, perché, ben lungi dal sollecitare a questa Suprema Corte alcuna rivisitazione del giudizio di merito, evidenzia invece con precisione il vizio che vi si assume affliggere la sentenza impugnata, articolando censure vertite in diritto, corrispondentemente ragguagliate a pertinente rubrica – è fondato e merita accoglimento.
In tema di prova per presunzioni, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da
rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589-01).
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e
univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316-01).
La CTR -che peraltro si è limitata alla giustapposizione letterale, senza alcun approfondimento critico, delle argomentazioni della sentenza di non luogo procedere e di altra sentenza non in giudicato di sé medesima -non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi.
Gli errori così compiti dalla CTR sono molteplici.
Ha pregiudizialmente ricusato di valutare gli indizi offerti dall’Ufficio, esaminandoli dapprima singolarmente dappoi unitariamente, in guisa tale da verificarne la conducenza, nel senso di delineare, o meno, un quadro coerente.
Ha di contro attribuito immediata valenza decisiva, in senso contrario alla ricostruzione dell’Ufficio, alla causale espressa dai documenti di trasporto, implicanti, attesa la dichiarazione di consegna delle merci in conto lavorazione, la riserva di proprietà in capo a GTM.
Tenuto presente quanto precede, è più particolarmente ad osservarsi che, negando all’Ufficio la stessa possibilità di corroborare i propri assunti mediane la dedotta prova per presunzioni, ha totalmente pretermesso di ricostruire, in manera specifica e circostanziata, come invece necessario al fine di sottoporre a vaglio critico le tesi dell’Ufficio e, specularmente, della contribuente, l’intera filiera produttiva: ciò onde stabilire, alla luce di tutti gli elementi di valutazione disponibili, quale società, tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, avesse il dominio di detta filiera e quindi ne controllasse, in una visione d’insieme finalizzata al risultato economico finale, i singoli passaggi, a cominciare dall’acquisto delle materie prime: ciò dovendosi peraltro tener presente il dato incontestato che, non solo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma anche le società estere incaricate da RAGIONE_SOCIALE (cui previamente risale anche la scelta delle materie prime), e non da RAGIONE_SOCIALE, della lavorazione mettono capo ad unico assetto proprietario ed in definitiva decisionale.
Oltretutto, quanto ai documenti di trasporto, sui quali soltanto, indebitamente, si focalizza l’attenzione della CTR, dal PVC, riprodotto per autosufficienza in ricorso, emerge, da un lato, che ‘la G.T.M. acquista le materie prime in parte presso fornitori esteri ubicati in Paesi extra UE per trasferirli direttamente alla società RAGIONE_SOCIALE. Tale passaggio talvolta avviene mediante d.d.t. emesso dalla G.T.M. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e altre volte mediante indicazione, nel documento di acquisto della materia prima, quale destinatario finale della merce, la RAGIONE_SOCIALE‘ (punto 10); dall’altro
lato, soprattutto, che, ‘dopo tale fase la materia prima viene consegnata mediante d.d.t. (sui quali a volte compare la dicitura ‘in conto lavorazione’ ed altre volte ‘in conto vendita’) alla Linar, la quale si occupa poi della produzione ‘ (punto 13).
Ora, è al cospetto della superiore doverosa individuazione, sul piano dell’effettività sostanziale, della società posta a capo della filiera produttiva che necessita di essere valutata la congruità della causale formalmente espressa nei documenti di trasporto (e nei contratti di acquisto di RAGIONE_SOCIALE), saggiandone l’effettiva tenuta, tanto più considerato che il ridetto elemento formale comunque di per sé non collima con altri elementi parimenti formali: ‘in primis’, l’espletamento delle procedure di espatrio e rimpatrio da parte di NOME senza la spendita di un titolo abilitante alla mera detenzione (non essendo contrastata dalla contribuente la circostanza di fatto, allegata in ricorso, che NOME presentava la merce in dogana senza indicare, come ben avrebbe agevolmente potuto, e dovuto, fare proprio in forza dei dd.dd.tt., la riserva di proprietà in capo a G.T.M.); ma anche il mancato reperimento di rilevazioni contabili, in seno a NOME (che peraltro non si dichiara impresa esclusivamente mercantile), registranti l’accettazione della merce a titolo detentivo (segnatamente in conto lavorazione).
A quest’ultimo riguardo, infatti, deve osservarsi che, sebbene la consegna e riconsegna di merci in conto lavorazione costituiscano operazioni in sé adeguatamente documentate dai documenti di trasporto, ragion per cui i relativi beni non devono essere inventariati (ossia, propriamente, inseriti nell’inventario di magazzino), non per ciò solo, tuttavia, essi sfuggono ad alcuna rendicontazione, dovendo invece essere dettagliati in apposita annotazione di bilancio, previo specifico rilievo mediante scrittura ausiliaria nel registro di
magazzino, ai sensi degli artt. 2214, comma 2, cod. civ. e 14, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, in guisa da giustificare la confluenza del mastro ‘lavorazione per conto terzi’ nel conto economico tra i ricavi delle vendite e delle prestazioni.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 3 dicembre 2024.