Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4371 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4371 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 37303/2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura allegata al controricorso,
dall’Avv. NOME COGNOME presso il quale è elettivamente domiciliata in ROMA, LGTV. COGNOME, N. 17
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 7548/9/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania -sez. staccata di Salerno, depositata il 6 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate notificò a RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE (che in seguitò mutò la ragione sociale in RAGIONE_SOCIALE, d’innanzi RAGIONE_SOCIALE) un avviso di accertamento con il quale contestava un maggior reddito d’impresa conseguito nell’anno 2007, riprendendolo a tassazione a fini Irap, Ires e Iva, oltre ad irrogare sanzioni.
Il maggiore imponibile traeva fondamento dalla constatazione, in sede di verifica: (a) dell’omessa annotazione di una plusvalenza generata dalla cessione, a tale società RAGIONE_SOCIALE, di oggetti d’arte ed antiquariato; (b) dell’indebita deduzione dell’importo di € 2.700.000,00, accantonati al ‘Fondo rischi controversie legali Usl 47’.
La società contribuente impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno, che respinse il ricorso.
Tale decisione fu integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, adìta con gravame della società.
I giudici regionali annullarono l’atto impositivo sul rilievo del fatto, ritenuto assorbente, che esso era stato notificato prima della scadenza del termine previsto dall’art. 7 della l. n. 212/2000, pur non sussistendo ragioni di urgenza estranee alla sfera di controllo dell’Amministrazione .
Con ordinanza n. 16904 del 2017 questa Corte annullò con rinvio la sentenza della C.T.R., ravvisando invece una ragione d’urgenza idonea a consentire una deroga al termine dilatorio, individuata nella pendenza di una procedura concorsuale richiesta dalla società contribuente, che versava in grave stato di crisi.
All’esito del giudizio di rinvio, i giudici regionali hanno riconosciuto la fondatezza nel merito delle ragioni della contribuente, osservando:
-quanto alla deduzione dell’accantonamento al ‘fondo rischi controversie legali USL 47’, che RAGIONE_SOCIALE aveva incassato le relative somme dalla predetta azienda sanitaria a seguito di procedure di ingiunzione, ma le aveva poi restitu ite per l’i ntero ammontare, dopo i giudizi di opposizione promossi dalla debitrice, senza realizzazione di alcun provento;
-quanto all’omessa annotazione di plusvalenza sugli oggetti d’arte e di antiquariato, che la società aveva dimostrato il costo storico di acquisto di tali beni, ciò che, del resto, era già stato accertato in passato nel corso di una verifica di polizia tributaria, senza che fosse contestata alcuna condotta di evasione.
La sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio è stata nuovamente impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società contribuente ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che:
Il primo motivo denunzia nullità della sentenza per motivazione apparente.
La pronuncia impugnata è censurata nella parte in cui annulla l’atto impositivo relativo all’omessa annotazione di plusvalenza; l ‘Agenzi a ricorrente sostiene che sul punto non sarebbero intelligibili le ragioni per le quali il costo storico esposto in bilancio dalla società dovrebbe ritenersi attendibile ed affidabile e, soprattutto, verrebbero valorizzate alcune dichiarazioni testimoniali delle quali l’Ufficio aveva eccepito l’inammissibilità e l’inconferenza.
Il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 86 TUIR, 7 del d.lgs. n. 546/1992, 115 e 116 cod. proc. civ., 2727, 2729 e 2697 cod. civ. e 41bis del d.P.R. n. 600/1973.
L’Amministrazione sostiene che, al fine di contestare la plusvalenza accertata a suo carico, la contribuente avrebbe dovuto dimostrare il costo storico dei beni ceduti esposto in bilancio ed evidenzia che, sul punto, i giudici d’appello hanno ritenuto sufficiente l’importo appostato , sulla base del fatto che la Guardia di Finanza, nel corso di un’imprecisata verifica fiscale, non aveva ritenuto di contestare alcuna evasione.
Di tali ultime emergenze la ricorrente censura il ritenuto valore probatorio, osservando che le valutazioni degli operatori di polizia tributaria non sono vincolanti per l’Ufficio e che le dichiarazioni che costoro raccolgono possono, al più, essere munite di valore indiziario. Ritiene, inoltre, violate le regole concernenti il riparto dell’onere della prova.
Il primo motivo non è fondato.
3.1. Conformemente all’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, la motivazione della sentenza può dirsi apparente quando «essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all ‘ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture» (così, per tutte, Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13977/2019).
3.2. Nel caso di specie, il percorso logico seguito dai giudici d’appello, seppure esposto in termini succinti, non integra la fattispecie appena descritta.
La decisione, infatti, si fonda sull’argomento in base al quale il valore dei beni mobili ed arredi d’arte esposto in bilancio dalla società sarebbe corrispondente al loro costo storico, e conforta tale assunto con il rilievo del fatto che il relativo acquisto era già stato oggetto di esame durante una verifica fiscale senza che fosse emerso alcun elemento foriero di contestazioni, anche alla luce delle deposizioni testimoniali acquisite nel corso delle relative operazioni.
Tali considerazioni -a prescindere dalla loro condivisibilità o meno nel merito -consentono di individuare con sufficiente chiarezza il ragionamento adottato dai giudici d’appello, che viene compiutamente rappresentato nei suoi tratti essenziali; di tanto, del resto, è miglior prova nel fatto che le stesse considerazioni sono poi fatte oggetto di puntuale e specifica censura con il secondo mezzo di impugnazione.
La sentenza è dunque esente dal vizio denunziato.
Il secondo motivo, per come proposto, non supera il vaglio di ammissibilità.
4.1. La censura è anzitutto inammissibile nella parte in cui, lamentando la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. , postula la violazione, da parte dei giudici d’appello, della disciplina sul riparto legale dell’onere probatorio.
Come costantemente affermato da questa Corte (cfr. fra le altre Cass. n. 12132/2023), nel giudizio di legittimità la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.
Per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., specifica poi la stessa giurisprudenza, occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.
In sostanza, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non può riguardare l’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo il caso in cui il giudice, nello scegliere e valutare gli elementi probatori, abbia omesso di prendere in considerazione risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, senza motivare in concreto le ragioni della
irrilevanza ovvero abbia posto alla base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori o appartenenti alla sua scienza personale.
Tale non è certamente l’ipotesi che ricorre nella specie, poiché la sentenza impugnata ha correttamente preso le mosse dalla necessità che la parte contribuente dimostrasse l’esistenza del costo storico d’acquisto, ritenendo poi assolto tale onere (v. pag. 4 della motivazione).
4.2. Per quanto riguarda, poi, l’assunto in base al quale la C.T.R. avrebbe attribuito valore probatorio ad elementi che, invece, ne erano sprovvisti, la censura si risolve in una non consentita richiesta di sindacato sull’apprezzamento delle prove operato dal giudice di merito.
La sentenza impugnata, infatti, ha valorizzato una circostanza certamente provvista di valore indiziario -quale la mancata contestazione del costo degli oggetti d’arte appostato a bilancio da RAGIONE_SOCIALE nel corso di una verifica della Guardia di Finanza, corroborato anche dalle dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso delle relative operazioni -ritenendola sufficiente a supportare le difese della società contribuente.
Tale ragionamento non è inciso dal motivo di ricorso, che si limita a stigmatizzare l’utilizzo in sé delle dichiarazioni testimoniali, del quale assume la contrarietà all’art. 7 del d.lgs. n. 546/1992; ma una tale prospettazione non si confronta con il ragionamento effettivamente svolto dai giudici d’appello, i quali, lungi dall’attribuire a tale circostanza valore di piena prova, la hanno apprezzata unitamente ad altra, pure munita di valore indiziario, per attribuire maggior credito alle tesi difensive della contribuente.
5. In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Non si dà luogo alla condanna della ricorrente soccombente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato, trattandosi di amministrazione patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, ponendo a carico della ricorrente le spese del giudizio, che liquida in € 8.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali e oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.