Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6255 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
Oggetto: operazioni ogg. inesistenti – prova – elementi indiziari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6233/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dal prof. avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL e dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL in virtù di procura speciale rilasciata in calce su foglio separato rispetto al ricorso per cassazione, dal quale è stata estratta copia informativa per immagine, conforme all’originale
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. staccata di Taranto n. 2528/29/2022 depositata in data 30/09/2022;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-il contribuente impugnava l’avviso di accertamento notificatogli con riferimento al periodo d’imposta 2014 con il quale l’Ufficio richiedeva maggiori tributi oltre a interessi e sanzioni in forza del disconoscimento di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti consistenti nell’acquisto di carburante;
la CTP di Taranto accoglieva il ricorso;
appellava l’Ufficio ;
con la sentenza qui gravata la CTR della Puglia sez. staccata di Taranto ha accolto l’impugnazione;
ricorre a questa Corte COGNOME NOME con due motivi di doglianza illustrati da memoria;
-l’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di formale costituzione in vista della pubblica udienza;
-il Consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata del ricorso ex art. 380 bis c.p.c. a fronte della quale il contribuente ha chiesto la decisione collegiale;
Considerato che:
il primo motivo di impugnazione denuncia la illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 111, co. 6, Cost; artt. 112, 132, co. 4, c.p.c.; art. 36, d. Lgs. n. 546 del 1992; art. 118, disp. att. c.p.c. per avere la sentenza impugnata mancato di spiegare perché ha considerato fondato il ragionamento presuntivo seguito dall’Ufficio e
posto alla base della pretesa impositiva e perché ha ritenuto ex art. 2729 c.c. gravi, precisi e concordati i ‘fatti’ o gli elementi presuntivi utilizzati dall’Ufficio ;
il motivo è privo di fondamento;
– come è noto, l’apparenza motivazionale (che il motivo censura) ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019; ma già Cass. Sez. Un. n. 22232/2016). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte a chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c .p.c. disposta dall’art. 54 del d. L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 4 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle disposizione preliminari al codice civile, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e
nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. n. 8053, 7/4/2014; Cass. Sez. 6 – 2, ord., n. 21257, 8/10/2014);
applicando i principi di cui innanzi alla fattispecie in esame, l’invocata violazione non sussiste essendo comprensibile il percorso motivazionale -invero assai articolato, con ampia disamina anche delle deduzioni e allegazioni del ricorrente – seguito dal giudice di merito; – il secondo motivo si incentra sulla illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c., art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973, art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, co. 5 bis, d. Lgs. n. 546 del 1992 (con riguardo alla ripresa a tassazione relativa ai costi documentati da fatture per operazioni inesistenti di acquisto di carburante) per avere il giudice di appello mancato di rilevare che gli elementi valorizzati in sentenza, sia se analizzati singolarmente e sia nel loro complesso, non lasciavano inferire con gravità, precisione e concordanza che la società abbia portato in deduzioni costi relativi ad operazioni oggettivamente inesistenti ( recte : l’acquisto di carburante dalla RAGIONE_SOCIALE);
il motivo è infondato;
la CTR ha dapprima preso in esame una serie di indizi dedotti e provati dall’Ufficio, consistenti, in sintesi, nel contenuto delle dichiarazioni dei dipendenti relative ai rifornimenti per mezzo della cisterna fissa; nelle modalità di approvvigionamento del carburante; nella mancata documentazione della dedotta consuetudine in ordine all’abituale rifornimento dei mezzi direttamente presso i cantieri pari a ¾ dei rifornimenti complessivi; nelle numerose irregolarità (pag. 12 quarto capoverso della sentenza impugnata) e correzioni sui registri delle operazioni di carico e scarico;
ebbene, diversamente da quanto dedotto in ricorso (e poi in memoria), tali elementi senza dubbio costituiscono prova indiziaria della pretesa e sono forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, risultando idonei a ribaltare in capo al contribuente l’onere di dar prova del contrario;
ritiene la Corte (in argomento si veda Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1163 del 21/01/2020) che l’art. 2729 c.c. ammetta solo le presunzioni che abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza, laddove: la “precisione” va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica; la “gravità” va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d’esperienza adottata è possibile desumere da quello noto; la “concordanza” richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, dovendosi tuttavia precisare, al riguardo, che tale ultimo requisito è prescritto esclusivamente nell’ipotesi di un eventuale, ma non sempre necessario, concorso di più elementi presuntivi;
orbene, ritiene la Corte che gli elementi qui dedotti e provati dall’Ufficio, analiticamente riportati e descritti dalla pronuncia impugnata, risultano in concreto effettivamente rispondenti al requisito della gravità perché indicano una indiscutibile inferenza probabilistica confermativa della tesi dell’Amministrazione Finanziaria;
detti elementi suggeriscono poi non certo inferenze probabilistiche plurime ma la sola inferenza assunta dal giudice di merito e sono quindi anche del tutto precisi, non risultando nel loro contenuto alcun profilo di genericità;
inoltre, quanto al requisito della concordanza, gli elementi in argomento ne sono egualmente muniti in quanto dirigono tutti nel senso indicato dall’Ufficio e nessuno punta verso altra direzione quale logica conclusione del ragionamento presuntivo proposto;
è poi pacifico che alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica che esclusivamente le compete, spetta il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art.2729 c.c. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5,ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6 – 5, n. 10973/2017, Cass. sez.5, n. 1715/2007);
infatti, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, o viceversa neghi tale natura a elementi che invece ne sono muniti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008);
in ordine all’utilizzo degli indizi, sono proprio e solo la gravità, precisione e concordanza degli stessi a permettere di acquisire una
prova presuntiva che è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla Amministrazione (Cass. sent. n. 1575/2007), e a far scattare l’onere in capo al contribuente di dar prova del contrario; quando invece manca tale convergenza qualificante è allora necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi;
è invero necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento ( ex multis , cfr. Cass. sent. n.12002/2017; Cass. ord. n. 5374/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 37404del 2021);
ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo naturalmente
complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria;
ciò posto, appare chiaro che la CTR, nel caso che ci occupa, abbia quindi correttamente valutato gli elementi in atti; essa ha preso atto della sussistenza del triplice sopra detto carattere degli elementi indiziari, sia singolarmente, sia nel loro insieme, quindi complessivamente, ponendoli a confronto con quanto dedotto e provato dal contribuente;
e con riguardo a quanto dedotto e provato da costui, la CTR ha ritenuto non assolto l’opposto onere probatorio, sì da concludere,
altrettanto correttamente, in ordine alla legittimità dell’atto impugnato nella sua rideterminazione di maggiori tributi, interessi e sanzioni;
conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato;
non vi è luogo a pronuncia sulle spese stante la mancata formale costituzione dell’intimata Amministrazione;
poiché la presente decisione fa seguito ad istanza di decisione proposta al Collegio in seguito alla comunicazione di proposta di definizione accelerata del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. va applicata la giurisprudenza di questa Corte (si vedano in termini le pronunce Cass. Sez. Un., Ordinanza n. 28540 del 13/10/2023; Cass. Sez. Un., Cass. Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023; ancora, conforme alle precedenti risulta la recente Cass. Sez.3, Ordinanza n. 31839 del 15/11/2023) secondo la quale in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380 – bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d. Lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente;
-attesa la mancata costituzione dell’intimata Amministrazione, peraltro, non sussistono i presupposti per la condanna al pagamento dell’importo ex art. 96, terzo comma, c.p.c., mentre resta applicabile l’art. 96, quarto comma, c.p.c., con condanna della parte soccombente al pagamento della somma di euro 1.000,00, da versarsi alla cassa delle ammende;
p.q.m.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento del l’ importo di euro 1.000,00 ex art. 96, quarto comma, c.p.c., da versarsi alla cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del contribuente ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2025.