Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22307 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13036/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL VENETO n. 736/2019 depositata il 23 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’odierna ricorrente veniva resa destinataria di un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2011 teso al recupero dell’IVA dovuta in relazione a due operazioni traslative di merci, rispetto alle quali difettava la prova dell’uscita dei beni dal territorio UE, segnatamente verso la Libia. Su queste premesse l’Agenzia escludeva che le operazioni fossero assoggettabili al regime delle cessioni effettuate dai c.d. ‘esportatori abituali’, ai sensi dell’art. 8, co. 1, lett. c, d.P .R. n. 633 del 1972; esse viceversa andavano, nella prospettazione erariale, trattate come operazioni ordinarie ai fini IVA.
La CTP di Vicenza rigettava il ricorso della contribuente. La CTR del Veneto ha respinto il successivo appello della contribuente.
Quest’ultima affida il proprio ricorso per cassazione a cinque motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, ‘ laddove la commissione tributaria regionale, non prendendo atto delle deduzioni e delle argomentazioni difensive della Dune, ha ritenuto non provata l’uscita della merce dal territorio comunitario ‘.
Il primo motivo è inammissibile.
La sentenza contiene un accertamento di fatto, evidenzia come indimostrata l’uscita della merce dal territorio UE (Malta) e il suo
ingresso in Libia, rende percepibile in maniera efficace la propria ratio decidendi. Pertanto, esso traligna il recinto del vizio denunciato e tende a sollecitare una riedizione – qui preclusa – del sindacato di merito.
Il perimetro della nullità per motivazione apparente attiene alle sole ipotesi – nel cui novero la sentenza d’appello odierna non s’iscrive – nelle quali l’apparato argomentativo della decisione assunta non consente di « comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato », non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un « ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo », logico e consequenziale, « a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo solo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232, citata; Cass., 15 giugno 2017, n. 14927; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 20 ottobre 2021, n. 29124).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. dell’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c., ‘ laddove la Commissione Tributaria Regionale non ha preso atto del fatto che Dune ha provato l’avvenuta esportazione delle merci di cui alle bollette doganali in argomento, con la conseguenza che le operazioni di esportazione sono non imponibili ai fini dell’Iva ‘.
Il secondo motivo è inammissibile.
Vi è un accertamento di fatto cui in ricorso si contrappone una diversa ricostruzione del merito della controversia.
Le argomentazioni svolte dai giudici di appello sono il frutto di accertamenti in fatto dai medesimi compiuti, che non sono state adeguatamente contestate, giacché la censura andava proposta non come error in iudicando ma come vizio logico di motivazione o come travisamento sostanziale del fatto probatorio (cfr. Cass., Sez. U, 5 marzo 2024, n. 5792), nei termini e nei limiti di cui al novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (ovvero, ricorrendo l’omesso esame di un fatto storico -naturalistico controverso e decisivo). Ed è appena il caso di osservare che, anche laddove si volesse procedere alla riqualificazione dei motivi come deducenti un vizio motivazionale, nella specie comunque non consentita alla stregua del loro chiaro tenore argomentativo, gli stessi neppure prospettano un omesso esame di un qualche fatto storico, richiedendo, invece, attraverso lo schermo della violazione di legge, una non consentita -e come tale inammissibile -rivalutazione del giudizio sul fatto compiuto dal giudice d’appello.
Nel caso di specie ad essere censurata è inammissibilmente la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello (Cass., 1 giugno 2021, n. 15276). La doglianza è diretta a stigmatizzare, in altri termini, una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà,
ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 112 c.p.c, ‘ laddove la Commissione Tributaria Regionale non ha preso atto delle argomentazioni sostenute da Dune in merito all’inverosimiglianza dell’ipotesi accusatoria per assenza di un vantaggio economico a favore di Dune e ha ritenuto che la società abbia provocato un danno all’Erario ‘; in particolare, si assume che ‘ il giudice di seconde cure ha reso una motivazione meramente apparente e non si è, di fatto, pronunciato sulla domanda del contribuente ‘.
Il terzo motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
Innanzitutto, la motivazione non infrange la soglia del ‘minimo costituzionale’. Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di «motivazione apparente», solo allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del « minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., 13 aprile 2021, n. 9627).
In ogni caso, non rileva, nella fattispecie che occupa, la dimostrazione a cura dell’Agenzia di un ‘ vantaggio economico a favore di Dune ‘, essendo tale elemento eccentrico ed avulso dalla fattispecie relativa al recupero fiscale.
L’inammissibilità travolge anche l’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo adombrata una violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato in relazione a mere argomentazioni, non a fatti storicamente intesi. In realtà, il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass.,3 marzo 2020, n. 5730; Cass., 18 febbraio 2005, n. 3388).
Con il quarto motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione del ‘ principio di neutralità dell’Iva laddove la Commissione … ha ritenuto che l’Erario avrebbe subito un danno per non aver incassato l’Iva ‘.
Il quarto motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Ad essere stigmatizzata per il suo tramite è, infatti, un’affermazione di valore meramente argomentativo, che non veicola, né compendia una ratio decidendi a sostegno della decisione assunta. Infatti, è evidente che le considerazioni sul merito della controversia costituiscano mere argomentazioni che si segnalano proprio per l’assenza di valenza decisoria, tanto da non poter integrare in nuce una violazione di legge.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente e dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, ‘ laddove la Commissione Tributaria Regionale non ha preso atto dell’illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione ‘.
Il quinto motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR ha evidenziato che l’avviso di accertamento risultava corroborato da una motivazione idonea a dar conto del nucleo della pretesa tributaria, tanto da porre il contribuente nella possibilità di esercitare a fronte di essa il proprio diritto di difesa. A questo accertamento la RAGIONE_SOCIALE contrappone una doglianza imperniata sulla mancata valorizzazione di documenti a suo dire prodotti e neppure specificamente identificati. È evidente che la censura, oltre ad impingere su un deficit di specificità e autosufficienza, si volga ad una richiesta di rivisitazione del merito della controversia, invero preclusa nella presente sede.
In altri termini, il mezzo di doglianza censura un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, avendo la Commissione tributaria regionale affermato che la società disponeva di elementi
utilmente bastevoli ad approntare le proprie difese, così sostanzialmente evidenziando che la motivazione dell’avviso di accertamento conteneva tutte le indicazioni necessarie alla compiuta difesa della società contribuente.
È noto che secondo questa Corte « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente -ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale -di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109).
Alla stregua della giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’art. 7, comma 1, legge n. 212/2000, prevede, in altri termini, da un lato che gli atti dell’amministrazione finanziaria devono essere motivati con la specifica indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione e dall’altro che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem , ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al
contribuente, ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 25 marzo 2011, n. 6914; Cass., 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., 29 settembre 2020, n. 20579).
L’art. 7, comma 1, legge n. 212/2000, postula, in definitiva, che gli atti dell’amministrazione finanziaria devono essere motivati con la specifica indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, e contiene la precisazione che, se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama. Sicchè, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere ben adempiuto anche per relationem , ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente, ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 25 marzo 2011, n. 6914), o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., 25 luglio 2012, n. 13110).
Il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è
sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042; Cass., 7 aprile 2017, n. 9097; Cass., 7 marzo 2018, n. 5355).
Nella specie, benché si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge, ciò a cui si mira è in realtà, la rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, in tal guisa aspirando ad una eccentrica trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., 4 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME