Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10441 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31532/2020 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AVVISO DI ACCERTAMENTO
NOME COGNOME procuratore di se stesso (C.F. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, n. 4287/10/2020, depositata in data 28/9/2020, notificata in data 19 ottobre 2020;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025;
Fatti di causa
Nei confronti di NOME COGNOME (esercente la professione di Avvocato dal 1994) fu notificato un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2014, con autorizzazione alle indagini finanziarie sia nei suoi confronti che del coniuge NOME COGNOME.
Emersero a carico dell’Orefice (d’ora in avanti, anche ‘il contribuente’ ) movimentazioni non giustificate, che portarono all’emissione dell’avviso di accertamento.
Su ricorso del contribuente, la C.T.P. di Napoli a nnullò l’atto impositivo. Su appello dell’Ufficio, la C.T.R. confermò quasi del tutto la sentenza di primo grado, ad eccezione dell’assegno circolare di euro 1 .705 versato il 17/11/2014 con relative sanzioni e interessi.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, fondato su due motivi.
Il contribuente si difende con controricorso.
Il contribuente, in vista dell’adunanza camerale, ha depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione o falsa applicazione degli artt. 1351 , 1372, 2702 e 2704 c.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver annullato la ripresa fiscale della somma di euro 53.000, qualificata come imponibile ai fini Irpef, nonostante che il contratto preliminare di compravendita immobiliare e la documentazione depositata dal contribuente a corredo non avessero data certa e, dunque, non fosse pienamente provato che detta somma fosse stata effettivamente consegnata al contribuente a titolo di c aparra confirmatoria per l’acquisto di un immobile a Rivisondoli, prima della verifica fiscale.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La C.T.R. ha dato atto che il contribuente ha fornito la prova in giudizio che l’indicata somma di euro 53.000 era effettivamente riconducibile al versamento effettuato da NOME COGNOME in sede di stipula del contratto preliminare, a titolo di caparra confirmatoria per l’acquisto di un immobile a Rivisondoli. Agli atti del giudizio di merito, infatti, il contribuente ha depositato anche la copia dell’estratto conto bancario dal quale risulta il detto versamento, con l’indicazione della data e della causale, oltre che la copia fronte-retro de ll’assegno.
Il giudice d’appello, dunque, ha accertato, con un giudizio di fatto insindacabile in questa sede, che sia il contratto preliminare che la documentazione relativa al versamento della caparra confirmatoria hanno una data certa anteriore all’inizio della verifica fiscale.
Deve rilevarsi, infatti, che nessuna norma prescrive che gli atti comprovanti una determinata causale con riferimento a ll’incasso di somme di denaro siano opponibili al fisco, in un contenzioso tributario, solo se abbiano data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c.
In realtà, l’efficacia probatoria di tali atti è, chiaramente, subordinata al fatto che essi siano genuini, cioè non contraffatti, né alterati, né ‘ ideologicamente ‘ falsi, sicché l’anteriorità della relativa data di
formazione rispetto all’inizio della verifica fiscale (e dunque la circostanza che, verosimilmente, quei documenti non siano stati confezionati o formati ad arte per vanificare l’esito degli accertamenti tributari) non è che uno degli elementi che il giudice del merito è chiamato a valutare al fine di stabilirne la genuinità, la veridicità e, dunque, l’attendibilità sul piano probatorio.
Ciò è quanto, in sostanza, ha detto la C.T.R., dando atto che dagli elementi documentali prodotti in giudizio dal contribuente è emersa l’attendibilità delle sue difese secondo le quali l’importo di euro 53.000 non era un provento dell’attività professionale, ma era stato incassato a titolo di caparra confirmatoria versata in sede di stipula di un contratto preliminare nell’anno 2014, ben prima dell’iniz io della verifica fiscale.
D’altronde, l’ estratto conto, pur citato dalla C.T.R. nel novero dei documenti prodotti in giudizio dal contribuente, ben si inquadra tra ‘i fatti che stabiliscono in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento’ , di cui all’ultimo periodo de l primo comma dell’art. 2704 c.c. : le annotazioni in conto, infatti, provengono dalla banca, che ha la terzietà giusta per attribuire ad una operazione una data certa anteriore all’inizio delle verifiche f iscali.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1 lett. d) e dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73, dell’art. 51 d.P.R. n. 633/72 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata perché genericamente motivata nella parte in cui ha affermato che il contribuente ha provato che gli importi ripresi a tassazione non erano ricollegabili alla sua attività professionale.
Il contribuente non avrebbe dato, secondo l’Agenzia ricorrente, la prova specifica che gli importi ripresi a tassazione non erano imputabili all’esercizio della professione legale.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La C.T.R., nella sentenza impugnata, ha passato in rassegna specificamente tutti gli importi contestati all’RAGIONE_SOCIALE ancora sub iudice (per gli incassi di euro 250 e di 100, esclusi dalla ripresa ad opera della sentenza di primo grado, l’Agenzia non ha interposto appello), escludendone, tranne che per uno (quello di euro 1.705), la riconducibilità all’attività professionale del contribuen te.
L’esito cui è pervenuta la C.T.R. si fonda sulla valutazione degli elementi istruttori e documentali prodotti dalle parti, è congruamente e logicamente argomentato e non può essere oggetto di sindacato in questa sede di legittimità, sindacato che l’Agenzia tenta sostanzialmente di ottenere con la proposizione del motivo in esame.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro settemilaseicento per compenso, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge, ed oltre ad euro duecento per spese vive.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025.