Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30959 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30959 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
Avv. Acc. IRPEF 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26839/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2458/11/2016, depositata in data 22 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
In data 20 settembre 2013 NOME NOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini IRPEF n. T9D013C03292
per l’anno d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Milano II – rideterminava sinteticamente il reddito complessivo del detto contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di € 1.613.571,00 per l’anno 2008. La rettifica originava dal riscontro, operato dall’Ufficio, della disponibilità del detto contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: immobili di proprietà, polizze assicurative, imbarcazioni, auto, investimenti, contratti di leasing e mutui bancari.
Avverso l’avviso il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Milano; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 11605/02/2014, accoglieva integralmente il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva in giudizio anche il contribuente, che proponeva a sua volta appello incidentale condizionato.
Con sentenza n. 2458/11/2016, depositata in data 22 aprile 2016, la C.t.r. adita rigettava l’appello dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) art. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’ufficio lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata,
la C.t.r. ha affermato, con motivazione soltanto parvente e non idonea ad illustrare la ratio decidendi , che le spese attenzionate dall’ufficio erano state sostenute per mezzo di specifiche somme detenute dal contribuente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 38 d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto sufficiente a giustificare il maggiore reddito accertato la sola dimostrazione del possesso di disponibilità di somme oggetto di redditi esenti o soggette a ritenuta alla fonte, non ritenendo necessaria l’ulteriore prova dello specifico utilizzo di queste ultime per ‘coprire’ le spese suddette o, quantomeno, della sussistenza della disponibilità al momento del sostenimento della spesa e di una sua successiva diminuzione.
I due motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità delle critiche sollevate, sono infondati; con essi, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui ha affermato l’avvenuta dimostrazione, da parte del contribuente, del sostenimento delle spese indicate dall’Ufficio mediante disponibilità finanziarie esenti o soggette a ritenute alla fonte, senza dare atto di una specifica correlazione tra quest’ultime e le spese o, comunque, di determinati ‘sintomi’ di una tale correlazione.
2.1. Lo strumento del c.d. «redditometro» collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2.2. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n.
8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
2.3. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti
oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
2.4. Orbene, alla stregua dei summenzionati principi, non può certamente ritenersi errata la decisione del Giudice del merito qui impugnata, pur in assenza di un espresso richiamo alla giurisprudenza di questa Corte.
Essa, infatti, ha riconosciuto la non necessarietà di una prova contraria che comprenda la specifica correlazione tra disponibilità finanziarie esenti o soggette a ritenute alla fonte e singole spese valutate dall’ufficio, ma, contemporaneamente, discutendo di idonea documentazione bancaria e correlandola a flussi di movimentazione finanziaria ed al confronto «tra le consistenze finanziarie iniziali e finali», ha rinvenuto sufficienti «circostanze sintomatiche» che le disponibilità finanziarie possano essere state utilizzate con riferimento al sostenimento delle spese suddette.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 10.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2024.