Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2025
Avv. Acc. IRPEF 2007 e 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25111/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale eletto all’indirizzo PEC: EMAIL milano.pecavvocati.it
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 861/2021, depositata in data 1° marzo 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Milano IIprovvedeva ad emettere due avvisi di accertamento ai fini IRPEF per gli anni 2007 e 2008, con i quali rideterminava sinteticamente
il reddito complessivo di NOME COGNOME ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un reddito di € 189.345,43 (a fronte di quello dichiarato pari a € 16.581,00) per l’anno 2006 e di € 183.835,03 (a fronte di quello dichiarato pari a € 7.655,00) per l’anno 2008; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’Ufficio, della disponibilità da parte del contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: possesso di immobile, acquisto di immobile, acquisto di partecipazioni societarie e, per il solo anno 2007, spese di viaggio.
Avverso gli avvisi di accertamento la contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi alla C.t.p. di Milano; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE di Milano, previa riunione, con sentenza n. 5865/13/2018, accoglieva i ricorsi della contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Lombardia, domandando conferma degli avvisi con rideterminazione del maggiore reddito imponibile originariamente accertato nel minore importo di € 110.945,00 per l’anno 2007 e di € 105.435,00 per l’anno 2008; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 861/06/2021, depositata in data 1° marzo 2021, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto non sufficiente ad integrare la prova contraria la sola dimostrazione dell’esistenza di disponibilità finanziarie, richiedendo anche la prova che quest’ultime fossero state effettivamente impiegate in relazione alle spese attenzionate dall’Ufficio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Difetto assoluto di motivazione, nella forma della motivazione apparente nullità della sentenza per violazione degli artt. 1, comma 2, 61 e 36, comma 2, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera soltanto apparente in merito al rigetto della prova contraria fornita dalla contribuente circa la giustificazione del maggior reddito accertato dall’Ufficio.
I due motivi di ricorso proposti, da trattarsi congiuntamente stante l’affinità delle questioni che pongono, sono fondati.
2.1. Lo strumento del «redditometro» collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una
serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2.2. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o
in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
2.3. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti
correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
2.4. Ciò posto, costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa. (Cass. 08/10/2020, n. 21700; Cass. 13/08/2024, n. 22788).
2.5. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. non si è attenuta a questi principi perché, pur dando atto della documentazione bancaria prodotta dal contribuente (estratti bancari anche con riferimento al coniuge), non ha indicato assolutamente la natura e gli importi delle somme ivi attestate e durata del relativo possesso, a tacer del fatto che la sentenza impugnata si è riportata al vecchio orientamento che richiede la prova da parte del contribuente della specifica correlazione della provvista alle spese per incrementi patrimoniali ritenute ingiustificate, fermo restando il giudicato interno formatosi sulla parte già oggetto di acquiescenza da parte dell’Agenzia delle Entrate e di cui la sentenza impugnata ha dato atto.
3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 gennaio 2025.