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Prova contraria redditometro: cosa serve per vincere?

Un contribuente, soggetto a un accertamento basato sul “redditometro” per il possesso di beni, si è visto annullare la vittoria ottenuta nei primi due gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per una valida prova contraria redditometro, non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di altri redditi (propri o del coniuge), ma è necessario fornire elementi, anche sintomatici, che provino come tali somme siano state effettivamente utilizzate per coprire le spese contestate dall’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Prova contraria redditometro: non basta avere i soldi, bisogna provare di averli usati

Quando il Fisco contesta un reddito superiore a quello dichiarato basandosi su beni posseduti come case e auto, il contribuente deve difendersi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fissato paletti molto precisi sulla prova contraria redditometro, chiarendo che non è sufficiente dimostrare di avere altre disponibilità economiche. È necessario un passo in più: provare che quei fondi siano stati effettivamente impiegati per sostenere le spese che hanno generato l’accertamento. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso: un accertamento basato su beni

L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente per l’anno d’imposta 2006. Utilizzando il cosiddetto “redditometro”, l’Ufficio aveva rideterminato sinteticamente il suo reddito, ritenendolo incongruo rispetto al possesso di un fabbricato e di alcuni autoveicoli.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). I giudici di merito avevano considerato sufficiente la prova fornita dal contribuente, che consisteva nella dimostrazione di disporre di ulteriori redditi (nello specifico, reddito d’impresa e redditi del coniuge) in grado di giustificare la capacità di spesa contestata. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della Cassazione sulla prova contraria redditometro

La Suprema Corte ha ribaltato il verdetto dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Il punto centrale della decisione riguarda la natura e i limiti della prova che il contribuente è tenuto a fornire per vincere la presunzione del redditometro.

La presunzione legale del redditometro

La Corte ricorda che il redditometro introduce una presunzione legale relativa. Ciò significa che, una volta che l’Ufficio ha dimostrato l’esistenza di fatti certi (il possesso di determinati beni), la legge presume l’esistenza di una capacità contributiva adeguata a mantenerli. A questo punto, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Egli deve dimostrare che il maggior reddito presunto non esiste, o esiste in misura inferiore, perché le somme necessarie a mantenere quei beni provengono da fonti non tassabili (es. redditi esenti o già tassati alla fonte).

I limiti della prova fornita dal contribuente

L’errore dei giudici di merito, secondo la Cassazione, è stato quello di accontentarsi della sola dimostrazione della disponibilità di ulteriori redditi. I giudici hanno dato rilievo alla disponibilità di un reddito d’impresa e di quello del coniuge, senza però verificare se ci fosse una connessione logica e temporale tra la disponibilità di questi fondi e il loro effettivo impiego per sostenere le spese contestate (mantenimento di casa e auto).

Le motivazioni: non basta la disponibilità, serve la prova dell’utilizzo

La motivazione della Corte è netta: per una prova contraria redditometro efficace, non è sufficiente provare la mera “disponibilità economica”. È richiesta una prova documentale più stringente, che fornisca almeno “circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere”. In altre parole, il contribuente deve fornire elementi concreti che rendano verosimile l’effettivo utilizzo di quei redditi extra per coprire le spese specifiche che hanno fatto scattare l’accertamento.

La norma, spiega la Corte, mira ad ancorare la prova a “fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale)”. Questo può avvenire, ad esempio, esibendo estratti di conti correnti bancari che dimostrino non solo il possesso dei fondi, ma anche movimenti compatibili con le spese in questione. La decisione impugnata è stata cassata proprio perché mancava totalmente questa analisi, essendosi fermata al primo, e insufficiente, stadio della prova.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per i contribuenti

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per chiunque si trovi ad affrontare un accertamento sintetico. La lezione è chiara: per difendersi efficacemente, non basta affermare “avevo altri soldi”. È cruciale essere in grado di documentare, o almeno di rendere altamente plausibile, un collegamento diretto tra le fonti di reddito alternative e le spese contestate. I contribuenti devono quindi conservare con cura la documentazione (come estratti conto, atti di donazione, documenti su vincite, etc.) che possa tracciare l’origine e l’impiego dei propri fondi, per poter costruire una difesa solida e superare la presunzione del Fisco.

È sufficiente dimostrare di avere altri redditi per contestare un accertamento da redditometro?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera dimostrazione della disponibilità di ulteriori redditi (propri, del coniuge o di altra natura) non è sufficiente. È necessario fornire una prova ulteriore.

Che tipo di prova deve fornire il contribuente per superare la presunzione del redditometro?
Il contribuente deve fornire una prova documentale su circostanze sintomatiche che dimostrino, o rendano almeno verosimile, che i redditi ulteriori siano stati effettivamente utilizzati per coprire le spese che hanno generato l’accertamento. Ad esempio, attraverso estratti di conti correnti bancari.

Qual è l’errore commesso dai giudici di merito in questo caso?
L’errore è stato ritenere sufficiente, ai fini della prova contraria, la sola dimostrazione della disponibilità di redditi ulteriori, senza accertare se questi fossero stati effettivamente impiegati per sostenere le spese contestate dall’Ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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