Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2470 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2470 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
Tributi-Accertamenti bancari-Prova contraria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21839/2016 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME COGNOME in forza di procura allegata alla comparsa di costituzione del nuovo difensore, elettivamente domiciliato presso l’avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 251/2016 depositata in data 16/02/2016, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 28 novembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale della Spezia. Quest’ultima, a sua volta, aveva rigettato l’impugnazione del contribuente avverso un avviso di accertamento IRPEF, IRAP e IVA per l’anno 2006 .
In particolare, i giudici di appello evidenziavano che la notifica dell’avviso era avvenuta presso il domicilio fiscale del contribuente in Sarzana, abitazione in INDIRIZZO già sede della ditta individuale, ai sensi degli artt. 139 e 140 cod. proc. civ . e che il comma 4 dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 era applicabile in assenza dei presupposti dei commi precedenti; comunque, l ‘ eventuale nullità era sanata dal raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c od. proc. civ.; ritenevano che la prova della spedizione della dichiarazione dovesse essere data con raccomandata mentre nel caso di specie era stata spedita con posta ordinaria tramite la Royal Mail; rigettavano la doglianza relativa alla sussistenza dei presupposti del raddoppio dei termin i, essendo irrilevante che l’accertamento fosse stato ridotto in sede di autotutela ad una somma sotto soglia, in quanto l’accertamento era stato avviato oltre soglia; evidenziavano che il contribuente non aveva dato prova del l’irrilevanza dei prelevamen ti, tale prova non essendo costituita da meri elenchi dei beneficiari ma dovendo egli dimostrare anche l’irrilevanza reddituale dell’operazione o che se ne fosse tenuto conto nei dati contabili; ritenevano inammissibile l’eccezione di mancanza di contraddittorio non proposta in primo grado.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Costituitosi nuovo difensore per il ricorrente, il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 novembre 2024, per la quale il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973 ; il ricorrente censura la parte della sentenza con cui è stata ritenuta valida la notificazione dell’avviso di accertamento effettuata ai sensi dell’art. 140 c od. proc. civ., presso il domicilio italiano, laddove egli era residente all’estero e iscritto all’AIRE, ai sensi della novella dell’art. 60 d.P .R. n. 600 del 1973, novella resasi necessaria al seguito di Corte Cost. n. 366 del 2007, non avendo egli alcun domicilio in Italia; tale notifica sarebbe inesistente.
1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
La CTR a sostegno del rigetto delle doglianze del contribuente espone due argomentazioni e cioè che la notifica al soggetto residente all’estero è valida e comunque sanata dal raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c od. proc. civ., operante anche per gli atti di imposizione tributaria.
Ciò premesso, nel dolersi della decisione circa la legittimità della notificazione, il ricorrente però non deduce alcunchè in merito alla seconda argomentazione della CTR, circa la sanatoria ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ.; deve infatti osservarsi che la notificazione è una mera condizione integrativa di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto di imposizione tributaria, sicché la sua inesistenza o nullità è irrilevante ove l’atto abbia raggiunto lo scopo e il contribuente ne sia venuto a conoscenza entro il termine decadenziale fissato all’Amministrazione Finanziaria per l’esercizio del potere impositivo (cfr. Cass. n. 2928/2024; Cass. n. 18949/2023; Cass. n. 27671/2019; Cass. n. 21071/2018).
Nella fattispecie controversa lo stesso ricorrente riconosce di aver acquisito piena cognizione dell’avviso di accertamento fin dal 31/08/2012 (pag. 4 del ricorso) e quindi prima della scadenza del termine di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, da ritenersi applicabile ab origine , alla luce delle considerazioni che seguono nell’esame del secondo motivo .
Infine, e a conferma della infondatezza del motivo, secondo quanto indicato dalla stessa CTR, la CTP aveva condiviso le ragioni dell’ufficio che aveva evidenziato come l’atto fosse stato ritirato dalla parte stessa in data 19/06/2012 (e di ciò effettivamente dà atto la stessa CTP nella sentenza prodotta dal ricorrente).
Col secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, sia perché la dichiarazione, ritenuta omessa, doveva considerarsi ritualmente presentata , ai sensi dell’art. 3 d .P.R. n. 322 del 1998, secondo il quale la dichiarazione deve essere spedita con raccomandata o «altro mezzo equivalente dal quale risulti con certezza la data di spedizione» (nel caso di specie la ricevuta rilasciata dall’ufficio posta le inglese attestava la data di spedizione) sia perché la CTR non ha valutato che la somma oggetto di accertamento era stata ridotta sotto soglia a seguito di provvedimento di autotutela.
2.1. La prima censura è in parte inammissibile e in parte infondata. Il comma 5 dell’art. 8 della legge n. 322 del 1998 , vigente ratione temporis , prevede che il soggetto residente all’estero provveda alla spedizione della dichiarazione con raccomandata o altro mezzo equivalente dal quale risulti con certezza la data della spedizione. La disposizione deve leggersi unitamente al comma 10 che prevede che la prova della presentazione della dichiarazione è «data dalla …. ricevuta di invio della raccomandata di cui al comma 5».
Ciò premesso, il dato letterale della disposizione non consente di condividere l’assunto sul quale fonda la censura, e cioè che l’ «equivalenza» debba essere intesa unicamente in relazione alla idoneità certificatoria della data di spedizione. Il mezzo della raccomandata, cui fa esclusivo riferimento il comma 10, disposizione valorizzata dalla CTR, si caratterizza per la presenza di un codice che consente la tracciabilità dell’atto spedito che è assente in altri metodi di spedizione.
Nel caso di specie, con accertamento in fatto, insindacabile in questa sede, la CTR ha ritenuto che la certificazione prodotta attestasse la spedizione con posta ordinaria e le indicazioni in essa contenute avessero altri fini.
2.2. Il secondo profilo di censura contenuto nel motivo, e comunque non pertinente alla fattispecie come sopra ricostruita, non è fondato, come già ritenuto da Cass. n. 29409/2017 per lo stesso contribuente per altro anno di imposta, in quanto la soglia di rilevanza penale di cui all ‘ art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine (Cass. n. 13483/2016), il che non risulta neanche adeguatamente dedotto.
Ciò, del resto, è in linea col consolidato orientamento secondo cui il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto,
indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. n. 17586/2019; Cass. n. 22337/2018; Cass. n. 11171/2016), non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (Cass. n. 9974/2015).
Col terzo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si deduce violazion e e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973; si censura infatti la tesi della CTR per cui, per i prelevamenti, il contribuente debba dimostrare non solo i beneficiari delle somme ma anche la loro irrilevanza reddituale o la loro contabilizzazione nelle scritture contabili.
3.1. Il motivo è fondato.
Premesso che, sebbene vi siano dei cenni nel corpo del motivo, la censura, per come formulata, non attiene alla statuizione di inammissibilità sulla doglianza relativa al contraddittorio preventivo ma all’affermazione secondo cui in relazione ai prelevamenti « all’obbligo contenuto nella seconda parte dell’art. 32, primo comma n. 2 (l’onere di indicare il soggetto beneficiario) se ne aggiunge dunque un altro, quello di provare l’irrilevanza reddituale dell’operazione ovvero la riportabilità dei prelevamenti stessi ai dati contabili » , il motivo è fondato in quanto tale affermazione in diritto non è corretta.
La disposizione censurata pone, in favore del fisco, una presunzione legale che muove dall’utilizzazione, da parte dell’ufficio, di «dati ed elementi» acquisiti a seguito di indagini finanziarie – e segnatamente, nella specie, di quelle bancarie – per fondare su di essi (o anche su di essi), sia che si tratti di prelevamenti (o prelievi) che di importi riscossi
( id est versamenti), le rettifiche delle dichiarazioni dei redditi, determinati in base alle scritture contabili, delle persone fisiche, e non, di cui agli artt. 38, 39 e 40 dello stesso d.P.R. n. 600 del 1973, e gli accertamenti d’ufficio, di cui al successivo art. 41.
Si tratta di una presunzione a carattere relativo (quindi iuris tantum ), e non già assoluto, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria, potendo in particolare dimostrare, alternativamente (come espressamente riconosciuto anche da Corte Cost. n. 10/2023): a) che di tali dati ed elementi «ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta»; b) o che essi «non hanno rilevanza allo stesso fine»; c) oppure che i prelevamenti e gli importi riscossi «risultano dalle scritture contabili»; d) o, infine, che gli stessi hanno un determinato «soggetto beneficiario», indicato puntualmente dal contribuente.
Del resto ciò risulta sottolineato dalla stessa Agenzia delle entrate (circolare 32E del 2006) secondo cui «resta inteso che si sottrae alla regola dell’inversione dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente indica il beneficiario del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un bene o servizio non fatto transitare in contabilità; in tale ipotesi non scatta il meccanismo presuntivo ma l’operazione deve essere valorizzata alla stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali presiedono al riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del relativo ricavo».
Ora, la stessa CTR dà atto della produzione di documenti e in particolare degli elenchi di beneficiari, richiamando gli allegati al ricorso, che però non ha esaminato, ritenendo che la parte dovesse dare la dimostrazione anche dell’inserimento nelle scritture contabili, in ciò errando, alla luce di quanto indicato in precedenza.
Compete ovviamente poi al giudice del merito la valutazione del materiale istruttorio e della sua idoneità a costituire prova a favore del contribuente (Cass. n. 12290/2014).
Concludendo, il ricorso deve essere accolto in relazione al terzo motivo, rigettati i primi due; la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui si demanda la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 28 novembre 2024.