Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15260 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15260 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23848/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
DAVERSA RAGIONE_SOCIALE SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA -intimato-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA SEZ.DIST. TARANTO n. 1445/2020 depositata il 23/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. dist. Taranto ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1445/2020 depositata in data 23/07/2020, ha accolto l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE ( hinc: la contribuente o la società contribuente) e ha rigettato l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 436/2012, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Taranto aveva accolto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento con cui era stata contestata l’indebita detrazione dell’IVA e l’infedele dichiarazion e per l’anno 2002, in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti. 2. La CTR – dato atto che l’oggetto di controversia riguardava la spettanza del credito IVA e che l’accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria è pacificamente ammess o anche in caso di condono (v. Cass., Sez. U, 06/07/2017, n. 16692) -ha rilevato che la questione cruciale, ai fini della decisione riguardava la tempestività della contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria, con particolare riferimento all’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 10 legge n. 289 del 2002 . Ha rilevato, quindi, che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., 05/02/2016, n. 2277) la questione della proroga per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 9 legge n. 289 del 2002 deve essere legata, almeno in via astratta, alla riconducibilità della questione nell’ambito del condono. Di conseguenza,
considerato che il caso di specie ( i.e. esposizione del credito d’imposta) non era, ab origine e per sua natura, soggetto a condono, la proroga non trova applicazione.
2.1. Ciò premesso, la CTR ha evidenziato come i giudici di prime cure ( nonostante l’accoglimento del ricorso del contribuente e l’ annullamento del l’avviso di accertamento per carenze motivazionali), al fine di superare la questione di decadenza posta dalla parte ricorrente, avessero affermato che opera la disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento ex art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, applicabile per il solo fatto che sia ipotizzabile uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000. Tale questione non era stata, tuttavia, posta dall’ufficio, che aveva richiamato, per sostenere la tempestività dell’accertamento, l’art. 10 legge n. 289 del 2002. È stata, quindi, ritenuta corretta la censura relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che è l’atto impositivo a delimitare i confini della lite e le ragioni poste alla base di tale atto non possono essere oggetto di modifica e/o integrazione durante la fase contenziosa. Non solo nel caso in esame nell’atto impositivo non risultava alcun rif erimento all’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 con il conseguente rilievo ex officio della questione, in violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c. -ma non risultava neppure inoltrata alcuna notitia criminis alla Procura della Repubblica territorialmente competente. L’amministrazione finanziaria avrebbe, quindi, potuto notificare l’avviso di accertamento nel rispetto del termine di decadenza ordinario, considerato che il PVC, posto a base dell’atto impositivo, era stato redatto in data 19/11/200 3 e l’avviso di accertamento è stato notificato, invece, in data 04/09/2008.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con quattro motivi.
La parte intimata non si è costituita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 legge 27/12/2002, n. 289, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. La ricorrente evidenzia come la CTR abbia errato, evocando un precedente di questa Corte (Cass., n. 2277 del 2016) che riguardava una fattispecie diversa, consistente nell’illecita contabilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti. In particolare, si trattava della conte stazione di un credito IVA in relazione a un’attività che non dava diritto a detrazione sugli acquisiti e sulle spese, in quanto esente da IVA. A parte tale peculiarità sono molte altre le pronunce di segno opposto (Cass., 29/05/2019, n. 14630).
1.2. La ricorrente ha evidenziato, poi, come con la proroga di cui all’art. 10 legge n. 289 del 2002 il legislatore abbia voluto evitare che un vincolo posto a tutela del contribuente si trasformasse in uno strumento di tutela di comportamenti evasivi ed elusivi. Ha inteso evitare, cioè che la concomitanza dei procedimenti legati al condono determinasse una sorta di tutela d i fattispecie, quali l’uso di fatture riguardanti operazioni inesistenti, particolarmente pregiudizievole per gli interessi erariali.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
2.1. La ricorrente, con tale motivo, ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il giudice di prime cure, dando rilievo al raddoppio dei termini disciplinato nell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, avesse violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, evidenziando che, secondo il consolidato orientamento del giudice di legittimità, il dovere imposto al giudice
di non pronunciare oltre i limiti della domanda o di pronunciare d’ufficio su eccezion i che possono essere proposte solo dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata da queste ultime in ordine ai fatti, agli atti e ai negozi giuridici posti a base delle loro domande o eccezioni. Il vizio di ultrapetizione può essere, pertanto, invocato solo nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto o maggiore di quanto richiesto. Nella specie il giudice di prime cure si era, pertanto, mantenuto esattamente entro il perimetro dell’oggetto del giudizio, come delimitato dalle parti, avendo rilevato, d’ufficio, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972. Il raddoppio dei termini, poiché posto a tutela dell’accertamento delle imposte, non è eccezione rimessa alla volontà dell’Agenzia delle Entrate, ma è una conseguenza automatica prevista dal legislatore del fatto che la violazione accertata costituisca una delle ipotesi di reato individuate dal d.lgs. n. 74 del 2000.
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
3.1. La ricorrente, in relazione alla parte della sentenza impugnata in cui viene evidenziata la violazione dell’art. 101 c.p.c., ha rilevato che la norma appena richiamata e il conseguente onere di instaurazione del contraddittorio deve intendersi riferito, secondo la giurisprudenza, alle sole questioni di fatto che richiedono prove di contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti o alle eccezioni rilevabili d’ufficio e non anche a una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito.
Con il quarto motivo di ricorso è stata censurata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 57, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 e del
d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
4.1. La ricorrente evidenzia che la decisione impugnata -nel dare rilievo, per escludere l’applicazione del raddoppio dei termini , al mancato inoltro all’autorità giudiziaria di alcuna notitia crimininis -non sarebbe conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., 28/06/2019, n. 17586; Cass., 13/09/2018, n. 22337; Cass., 30/05/2016, n. 11171).
Il primo motivo deve ritenersi fondato, con il conseguente assorbimento dei restanti motivi di ricorso.
5.1. L’art. 10 legge n. 289 del 2002 prevede che: « Per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli articoli da 7 a 9 della presente legge, in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, i termini di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono prorogati di due anni. »
Nel caso di specie risulta dalla lettura della sentenza impugnata che il contribuente si era avvalso della definizione ex art. 9 legge n. 289 del 2002. L’avviso di accertamento riguarda va, poi, una ripresa a titolo di IVA per operazioni soggettivamente inesistenti.
La disapplicazione, per contrasto con il diritto unionale, delle disposizioni interne sul condono in relazione all’IVA -e conseguentemente anche dell’art. 9 legge n. 289 del 2002 evocato nel caso di specie – non incide, tuttavia, sulla proroga dei termini per l’accertamento prevista dall’art. 10 della l. n. 289 del 2002 proprio per consentire all’Amministrazione di effettuare gli adempimenti imposti dal condono senza pregiudizio per l’esercizio del potere accertativo nelle ipotesi nelle quali, per scelta del contribuente o
limitazione normativa, non possa realizzarsi la definizione premiale (Cass., 05/07/2018, n. 18621).
In senso analogo è stato precisato che in tema di condono fiscale, dalla incompatibilità con il diritto dell’Unione europea del condono per IVA di cui alla legge n. 289 del 2002 non discende la disapplicazione dell’art. 10 della legge citata, che dispone la proroga di due anni dei termini per l’accertamento, poiché tale norma non comporta alcuna rinuncia al pagamento di quanto dovuto per tale imposta, ma anzi ne costituisce un rafforzamento dell’accertamento e della riscossione (Cass., 24/11/2016, n. 24014).
Di conseguenza, ha errato il giudice di seconde cure nel condividere quanto già affermato in primo grado in ordine all’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 10 legge n. 289 del 2002, facendo leva sull’indirizzo di questa Corte, secondo il quale con le parole « che non si avvalgono» il legislatore ha inteso collegare la proroga del termine alla riconducibilità almeno astratta della questione nell’ambito del condono, rilevando che: « Di ciò vi è conferma nella sentenza delle Sezioni Unite 3676/2010, che hanno dato atto che il venir meno della disposizione che rendeva condonabili talune pratiche IVA disposto dalla sentenza della Corte Europea 17 luglio 2008 in causa C-132/06 avrebbe comportato in molte ipotesi, il venir meno per decadenza del potere di accertamento dell’Amministrazione. Hanno però evitato simile esito paradossale che avrebbe comportato il venir meno della riscossione dell’IVA, che il giudice europeo voleva invece salvaguardare, facendo ricorso al principio dell’affidamento.» (Cass., n. 2277 del 2016).
Difatti, la necessità di disapplicare la disciplina sul condono in materia di IVA, per contrasto con la normativa europea, esclude, ab imis , la necessità di collegare la ripresa operata dall’amministrazione
finanziaria in materia di IVA – peraltro riconducibile ad operazioni soggettivamente inesistenti -al condono.
Considerata l’applicazione del termine ex art. 10 legge n. 289 del 2002, in quanto l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2002 è stato notificato nell’anno 2008, deve ritenersi fondato il primo motivo, con conseguente assorbimento degli altri motivi di ricorso.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti tutti gli altri motivi;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/03/2025.