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Profitto da reato: tassazione e prova presuntiva

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2120/2024, ha stabilito che il profitto da reato è tassabile anche se percepito tramite una società “paravento”. La Corte ha chiarito che le risultanze di un giudizio penale, sebbene non vincolanti, costituiscono una solida base di prova presuntiva. I giudici tributari non possono ignorare le evidenze logiche che collegano l’arricchimento della società ai suoi soci di fatto, ribaltando così una decisione di merito che aveva escluso l’imponibilità per mancanza di prova diretta della percezione personale delle somme.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Tassazione del profitto da reato: la Cassazione valorizza la prova presuntiva

La tassazione del profitto da reato rappresenta un terreno complesso in cui si intersecano diritto penale e tributario. Con la recente sentenza n. 2120 del 22 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su come l’amministrazione finanziaria possa provare l’esistenza di un reddito imponibile derivante da attività illecite, anche quando le somme sono transitate attraverso società “paravento”. La decisione sottolinea il valore delle risultanze del processo penale come fonte di prova presuntiva nel contenzioso tributario.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di due contribuenti. L’Ufficio contestava la mancata dichiarazione di un “reddito diverso”, costituito dalla loro quota di partecipazione a un ingente profitto da reato. Tale profitto, secondo l’accusa, derivava da un reato di abuso d’ufficio commesso in concorso con altri soggetti e consisteva in una somma di oltre 7,5 milioni di euro, distratta dal fallimento di un’impresa individuale tramite una società “paravento”.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano annullato gli accertamenti. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che, sebbene il processo penale avesse accertato una locupletazione in capo alla società, l’Amministrazione Finanziaria non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’effettiva percezione di tali somme da parte dei singoli soci di fatto. Di conseguenza, secondo i giudici di merito, non si poteva configurare un reddito imponibile personale.

La Questione Processuale: Ricorso durante la Sospensione Covid-19

Prima di entrare nel merito, la Cassazione ha affrontato una questione preliminare di ammissibilità. Il ricorso era stato notificato dall’Agenzia delle Entrate durante il periodo di sospensione dei termini processuali disposto per l’emergenza sanitaria (9 marzo – 11 maggio 2020). La Corte ha chiarito che tale sospensione riguardava il decorso dei termini e non la possibilità di compiere gli atti processuali. Pertanto, la notifica del ricorso era pienamente valida; la sospensione ha avuto l’unico effetto di posticipare l’inizio del decorso dei termini successivi (come quello per il deposito del ricorso o del controricorso) alla fine del periodo di sospensione stessa. Il ricorso è stato quindi ritenuto ammissibile.

La Decisione della Cassazione sulla Tassazione del profitto da reato

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali.

L’illogicità della Sentenza d’Appello

I giudici di legittimità hanno censurato il ragionamento della corte territoriale come intrinsecamente illogico e irrispettoso delle emergenze processuali. Appariva infatti privo di logica affermare che un’ingente somma, frutto di un reato, fosse stata trasferita a una società “paravento” senza che vi fosse la conseguenza più ovvia: il successivo trasferimento nella disponibilità personale dei soci che la controllavano. La condanna alla restituzione emessa in sede penale, per un importo pari alla somma distratta, confermava la responsabilità personale degli imputati e il fatto che proprio quella somma costituisse il profitto del reato. La tesi della corte di merito, che vedeva un arricchimento esclusivo della società, è stata giudicata incomprensibile.

Il Valore delle Sentenze Penali nel Giudizio Tributario

Il punto centrale della sentenza riguarda il corretto utilizzo delle risultanze del processo penale. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la sentenza penale, sia di condanna che di assoluzione, non ha un’automatica autorità di cosa giudicata nel processo tributario. Tuttavia, i fatti accertati in sede penale costituiscono una fonte di prova di eccezionale rilevanza, che il giudice tributario ha il dovere di valutare attentamente.

Nel caso specifico, la corte di merito si era limitata a recepire passivamente il contenuto della sentenza penale, inferendone l’assenza di prova diretta senza svolgere un autonomo e completo apprezzamento del materiale indiziario. Le sentenze penali, invece, contenevano numerosi elementi (definiti dalla stessa Cassazione come non semplici “generici indizi”) che indicavano come il profitto da reato fosse stato conseguito direttamente dagli imputati. Il giudice tributario deve, pertanto, porre tali elementi a confronto con le altre prove e, sulla base di un ragionamento presuntivo (art. 2729 c.c.), verificare se essi siano sufficientemente gravi, precisi e concordanti per fondare l’accertamento fiscale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla necessità per il giudice tributario di condurre un’analisi logica e completa di tutte le prove disponibili, superando le apparenze formali. È stato ritenuto illogico separare l’arricchimento di una società schermo da quello dei suoi soci di fatto, specialmente quando l’operazione è finalizzata a occultare un profitto da reato. La sentenza penale, pur non essendo vincolante, offre un quadro fattuale che, se non adeguatamente smentito, costituisce una prova presuntiva valida ai fini fiscali. La Corte ha quindi censurato l’approccio dei giudici di merito per non aver compiuto questa valutazione complessiva, limitandosi a constatare la mancanza di una prova diretta del passaggio di denaro nelle tasche dei contribuenti.

Le conclusioni

In conclusione, questa sentenza rafforza gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale derivante da attività illecite. Viene stabilito che per provare l’esistenza di un reddito imponibile derivante da profitto da reato, è sufficiente un quadro probatorio basato su presunzioni gravi, precise e concordanti, ampiamente desumibili dagli atti di un procedimento penale. I giudici tributari sono chiamati a un ruolo attivo nell’interpretazione dei fatti, senza fermarsi a una lettura formalistica che potrebbe favorire chi utilizza schermi societari per occultare proventi illeciti.

È possibile tassare un profitto da reato anche se il denaro è transitato attraverso una società “paravento”?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice tributario deve valutare logicamente le prove per determinare se la società fosse solo uno schermo per l’arricchimento personale dei soci di fatto. La locupletazione della società può essere considerata, tramite presunzioni, come un profitto imponibile per le persone fisiche che la controllano.

Che valore ha una sentenza penale in un processo tributario?
Una sentenza penale, anche se irrevocabile, non ha un’efficacia automatica di giudicato nel processo tributario. Tuttavia, le sue risultanze e i fatti in essa accertati costituiscono un elemento di prova di fondamentale importanza, che il giudice tributario deve esaminare e valutare insieme a tutte le altre prove disponibili per fondare la propria decisione, anche attraverso un ragionamento presuntivo.

Un ricorso notificato durante la sospensione dei termini processuali per l’emergenza Covid-19 è valido?
Sì, l’atto è valido. La normativa emergenziale ha sospeso il decorso dei termini per il compimento degli atti, ma non la facoltà delle parti di compierli. La notifica del ricorso durante il periodo di sospensione è quindi efficace, e i termini per le attività successive (come il deposito) iniziano a decorrere solo dalla fine del periodo di sospensione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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