Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10656 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10656 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2179/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 2642/2020, depositata in data 9 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Napoli con riferimento alle seguenti cartelle di pagamento ed a tutti gli atti
Cart. Pag. IRPEF 2012 – 2014
alle stesse prodromici: -cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA avente ad oggetto IRAP, IRPEF, Add. Reg. e Com. relative all’anno di imposta 2012, per il complessivo ammontare di € 24.030,43, comprensivo di sanzioni ed interessi; -cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA avente ad oggetto il canone Rai per gli anni 2014 e 2015, oltre sanzioni ed interessi, per l’ammontare di euro 2.323,14; -cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA avente ad oggetto IRAP, IRPEF, Add. Reg. e Com. relative all’anno di imposta 2013, per il complessivo ammontare di euro 26.098,02, comprensivo di sanzioni ed interessi. L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Napoli, con sentenza n. 16233/15/2018, accoglieva integralmente il ricorso della contribuente, ritenendo che la società concessionaria del servizio di riscossione non avesse provato l’avvenuto perfezionamento del procedimento di notificazione.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Campania; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 2642/23/2020, depositata in data 9 giugno 2020, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata id est n. 2642/2020 – per essere incorsa la C.t.r. Campania in error in procedendo per non avere rilevato la tardività dell’appello proposto dall’ADER oltre il termine breve di cui all’art. 51 d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto tempestivo l’appello proposto oltre un anno da quando la sentenza di primo grado era stata notificata, quindi in violazione del ‘termine breve’ semestrale per impugnare.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per error in procedendo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. per non avere la C.t.r dichiarato la inammissibilità dell’appello dell’ADER per il difetto di ius postulandi -id est nullità della procura – in capo all’avvocato del libero foro» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto valida la costituzione in giudizio dell’ADER mediante il patrocinio dell’avvocato del libero foro benché non ne avesse verificato (e/o avesse potuto verificare) lo ius postulandi in mancanza della produzione in giudizio della Convenzione dalla sola quale avrebbero potuto/dovuto rilevare la natura della controversia de qua e, per l’effetto, l’abilitazione dell’Ader alla difesa “privata’ piuttosto che attraverso l’Avvocatura dello Stato.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per violazione delle regole processuali e segnatamente degli artt. 32, comma primo, e 58 D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha fondato la propria decisione su documentazione nuova prodotta dall’appellante ADER solo nel giudizio di secondo grado.
Pregiudizialmente, nonostante l’Agenzia delle Entrate abbia richiamato l’art. 3 commi 1, 5 e 6 del d.l. n. 119/2018, perché, relativamente alla cartella di pagamento contrassegnata con il numero 071/2016/0051812875/000, la contribuente avrebbe proposto istanza di adesione alla definizione agevolata ai sensi
dell’art. 16 bis del d.l. n. 34/2019, invero, dagli atti del fascicolo d’ufficio, si evince l’esistenza di un carteggio afferente all’intenzione di avvalersi della definizione agevolata citata ma non vengono rinvenute le quietanze di pagamento, ma soltanto dei bollettini postali (non pagati) delle rate indicate dall’ente erariale.
Pertanto, non può affermarsi, giusta richiesta dell’amministrazione erariale, che sia venuto meno l’interesse di parte contribuente ad agire di cui all’art. 100 cod. proc. civ..
Procedendo alla disamina dei motivi di ricorso, il primo motivo è infondato.
L’art. 51 del d.lgs n. 546/1992 prescrive che il termine per impugnare la sentenza della C.t.r. è di 60 gg, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte; diversamente, si applica il termine lungo di sei mesi previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. richiamato per il processo tributario dall’art. 38, terzo comma, del d.lgs. cit.
Tuttavia, nella specie, i termini per l’impugnazione erano sospesi ex art.6 co.11 dl. 119/2018 per cui l’appello è comunque tempestivo essendo l’impugnazione ammissibile durante il corso della sospensione.
Si è, invero, sostenuto, con un autorevole arresto (Cass. 05/08/2021, n. 22337), che la sospensione dei termini prevista dal d.l. n. 98/2011, così come ogni altra ipotesi di sospensione dei termini processuali, non comporta l’inammissibilità della proposizione dei relativi atti di causa nel periodo di sospensione, ma semplicemente la proroga dei termini per lo svolgimento di attività processuali, per il tempo stabilito dalla sospensione stessa; durante il termine di sospensione, dunque, non risulta inibita l’attività delle parti, ma, semplicemente, i termini per lo svolgimento di tali attività sono sospesi e riprendono a decorrere alla scadenza del periodo di sospensione stessa, con conseguente loro proroga; il che non impedisce, come avvenuto nel caso di specie, che una delle parti del giudizio notifichi l’atto di appello
durante il periodo di sospensione, lasciando alla scelta della contribuente decidere se proporre o meno domanda di definizione della lite pendente ex d.l. n. 98/2011.
3.1. Quanto alle modalità di notifica della decisione ai fini del decorso del termine breve termine breve di cui all’art. 51 d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 13/09/2023, n. 26416) quello secondo cui nel processo tributario, la notificazione della sentenza di primo grado, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, effettuata dall’ufficiale giudiziario presso la sede a mani dell’impiegato addetto, è idonea ai fini della decorrenza del termine breve per appellare, di cui all’art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, pur in presenza di elezione di domicilio presso il procuratore del libero foro, in quanto l’art. 17 del medesimo decreto fa comunque salva, anche in caso di elezione di domicilio, la validità della consegna a mani proprie. Ancora si è ritenuto che, nel processo tributario, la notifica della sentenza di appello, effettuata ai sensi dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, è idonea a far decorrere il termine breve di sessanta giorni, di cui all’art. 51 del citato d.lgs., coincidente con quello previsto dall’art. 325, comma 2, c.p.c. per il giudizio di cassazione.; Cass. 26428/2023
3.2. Tale più recente interpretazione ha superato quella secondo cui, a garanzia del diritto di difesa della parte destinataria della notifica in ragione della competenza tecnica del destinatario nella valutazione dell’opportunità della condotta processuale più conveniente da porre in essere ed in relazione agli effetti decadenziali derivanti dall’inosservanza del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza finalizzata alla decorrenza di quest’ultimo, ove la legge non ne fissi la decorrenza diversamente o solo dalla comunicazione a cura della cancelleria, deve essere in modo univoco rivolta a tale fine acceleratorio e
percepibile come tale dal destinatario, sicché essa va eseguita nei confronti del procuratore della parte o della parte presso il suo procuratore, nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata; di conseguenza, la notifica alla parte, senza espressa menzione – nella relata di notificazione – del suo procuratore quale destinatario anche solo presso il quale quella è eseguita, non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, neppure se eseguita in luogo che sia al contempo sede di una pubblica amministrazione, sede della sua avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio, non potendo surrogarsi l’omessa indicazione della direzione della notifica al difensore con la circostanza che il suo nominativo risulti dall’epigrafe della sentenza notificata, per il carattere neutro o non significativo di tale sola circostanza (Cass. SS.UU. 30/09/2020, n. 20866).
Nella specie, a fronte della notifica della sentenza di primo grado, avvenuta il 17/12/2018, risulta tempestivo il ricorso in appello notificato il 6 giugno 2019, poiché l’originario termine di scadenza rientrava nel periodo di sospensione di cui all’art.6, comma 11, d.l. n.119/2018.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
Con un recente arresto (Cass. 31/10/2024, n. 28199) si è affermato che ‘In tema di difesa e rappresentanza in giudizio, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione si avvalgono dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalle convenzioni con quest’ultima stipulate, fatte salve le ipotesi di conflitto, quali le condizioni di cui art. 43, comma 4, del R.d. n. 1611 del 1933 oppure l’indisponibilità dell’Avvocatura; ne consegue che non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcun’altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro quando la convenzione non riserva all’Avvocatura erariale la difesa, come nel contenzioso tributario, per il quale la convenzione esime le predette Agenzie dal ricorso
alla difesa erariale per i giudizi innanzi alle corti di giustizia tributaria, prevedendola espressamente, invece, per quello di legittimità, rispetto al quale, dunque, in difetto delle condizioni ricordate (conflitto, indisponibilità o apposita delibera) la procura conferita ad un legale del libero foro deve ritenersi affetta da invalidità, con conseguente inammissibilità del ricorso ‘ .
4.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico argomentativo, ha deciso in conformità con l’orientamento citato.
In considerazione delle suesposte considerazioni, alcuna nullità della motivazione è riscontrabile nella sentenza impugnata.
Infine, anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Con un noto arresto (Cass. n. 17921 del 23/06/2021), preceduta da altre di eguale tenore, questa Corte ha più volte precisato che l’art.58 del d.lgs.546/92 concreta norma speciale per il processo tributario, come tale, prevalente sull’art. 345 cod. proc. civ., che consente la produzione, per la prima volta in appello, di prove documentali ancorché preesistenti al giudizio di primo grado (Cass. 11/04/2018, n. 8927; Cass. 22/11/2017, n. 27774) ed anche alla parte rimasta in primo grado contumace (Cass. 16/11/2018, n. 29568).
5.1. In tal senso si è espresso un costante indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. 17/11/2020, n. 26115; 127122023, n. 34756) secondo cui, nel processo tributario, è riconosciuta la possibilità di produrre documenti in appello, avuto riguardo alla specifica disposizione dettata, in deroga all’art. 345 cod. proc. civ., dall’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992. La produzione di documenti in appello va, tuttavia, esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24,
comma 1, avendo tale termine, anche in assenza di espressa previsione di legge, natura perentoria, in ragione dello scopo che persegue e della funzione che adempie (Cass., sez. 5, 30/01/2007, n. 1915; Cass., sez. 5, 16/11/2012, n. 20109; Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 655; Cass., sez. 5, 24/02/2015, n. 3661).
Questa Corte ha, al riguardo, affermato il principio secondo cui il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle forme previste dall’art. 87 disp. att. cod. proc. civ. (o, nel processo tributario, dell’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 9 1992); tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – anche se le modalità della produzione non corrispondono a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass., sez. 5, 15/10/2010, n. 21309; Cass., sez. 5, 24/02/2015, n. 3661; Cass., sez. 5, 30/11/2016, n. 24398; Cass., sez. 6-5, 19/12/2017, n. 30537; Cass, sez. 5, 7/03/2018, n. 5429; Cass., sez. 6-5, 25/06/2018, n. 16652). Ciò comporta che i documenti tardivamente depositati nel giudizio di primo grado devono essere esaminati nel giudizio di appello, ove acquisiti al fascicolo processuale, dovendosi ritenere comunque prodotti in grado di appello ed esaminabili da tale giudice purché depositati entro il termine perentorio sancito dall’art. 32, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile anche al giudizio di appello, come ribadito anche da Cass. n. 5429 del 7 marzo 2018.
5.2. La decisione impugnata si pone in linea con i superiori principi richiamati, in quanto la C.t.r. correttamente ha rilevato l’ammissibilità della produzione di nuova documentazione in appello.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate Riscossione le spese processuali che si liquidano in € 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 21 gennaio 2025.