Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14718 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14718 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
Oggetto: intimazione di pagamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12041/2021 proposto da COGNOME NOME rappresentato e difeso in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME de la Grance (PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
AGENZIA ENTRATE -RISCOSSIONE in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa dall’avv ocatura dello Stato cme per legge (PEC: EMAIL)
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3175/16/20 depositata in data 26/10/2020; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–COGNOME NOME impugnava l’intimazione di pagamento notificatagli a seguito di svariate cartelle di pagamento, specificamente dolendosi della mancata notifica della cartella ad essa sottesa, n. NUMERO_CARTA;
-la CTP accoglieva il ricorso;
-appellava il Riscossore; il contribuente proponeva appello incidentale quanto alla statuizione di primo grado riguardante le spese di lite;
-con la sentenza qui impugnata la CTR ha accolto l’impugnazione principale del Riscossore e rigettato l’appello incidentale di COGNOME;
-ricorre a questa Corte il ridetto con atto affidato a cinque motivi di censura illustrati da memoria;
-Agenzia delle Entrate -Riscossione resiste con controricorso;
Considerato che:
-il primo motivo di impugnazione deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di appello erroneamente ritenuto provata la notifica degli atti del procedimento di riscossione interruttivi della prescrizione, in forza della sola produzione di copia delle relate di notificazione in copia non autenticata; tale documentazione secondo il ricorrente non può provare di quali atti notificati si sia trattato e neanche che gli stessi avessero i requisiti di atti interruttivi della prescrizione;
-il motivo è infondato sia quanto ai vizi di notifica delle cartelle, sia quanto ai vizi di notifica della intimazione di pagamento;
-con riguardo all’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA, trova applicazione il disposto di cui all’art. 156 c. 3 c.p.c., che prevede la sanatoria dei vizi di notifica ove il procedimento notificatorio abbia consentito
all’atto di raggiugere il suo scopo, per esser stato lo stesso conosciuto dal destinatario;
-nel presente caso, come ha accertato la CTR, l’intimazione NUMERO_CARTA risulta notificata in data 4 ottobre 2017 ed è ‘proprio l’atto impugnato dal contribuente con il ricorso deciso in primo grado, per cui risulta per tabulas la conoscenza dell’atto in questione e il raggiungimento dello scopo’ (pag. ultima, primo periodo, punto 6.3 della sentenza impugnata);
-con riguardo alle cartelle sottese, trova pure applicazione il ridetto principio;
-secondo la giurisprudenza di legittimità, va premesso che la natura sostanziale e non processuale degli atti impositivi, quale l’avviso di accertamento, non osta a che ad essi sia applicabile il regime di sanatoria della nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto previsto per gli atti processuali dagli artt.156 e 160 c.p.c., considerato anche l’espresso richiamo alle norme sulla notificazioni dettate dal codice di procedura civile contenuto nell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n. 2272 del 2011); ciò posto, a maggior ragione la regola della sanatoria della nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto è applicabile alla cartella di pagamento, atto della riscossione avente la duplice natura di comunicazione dell’estratto del ruolo e di intimazione ad adempiere (art. 25 comma 2 del d.P.R. n. 602 del 1973), peraltro avente contenuto corrispondente al titolo esecutivo e all’atto di precetto del processo di esecuzione disciplinati dal codice di rito (Cass. n. 4018 del 2007, che ha ritenuto proprio l’applicabilità della sanatoria ex art. 156 c.p.c. alla nullità della notifica della cartella di pagamento);
-è escluso, dunque, che si possa discorrere di inesistenza della notificazione, ove anche si volesse ipotizzare la sussistenza di un vizio comportante la nullità della medesima, quest’ultima come correttamente affermato dalla C.T.R. -dovrebbe considerarsi comunque sanata ex art. 156 c.p.c.;
-in riferimento poi alla documentazione idonea a provare la regolarità della notifica, si è chiarito come «…qualora la parte destinataria di una cartella di pagamento contesti esclusivamente di averne ricevuto la notificazione e l’agente per la riscossione dia prova della regolare esecuzione della stessa …, non sussiste un onere, in capo all’agente, di produrre in giudizio la copia integrale della cartella stessa.» (Cass. Sez. 3, n. 10326 del 13/05/2014; ma anche n. Cass. 2018/25292 e Cass. n.2012/17313);
-infatti, (in argomento si veda tra molte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16121 del 14/06/2019), va qui ribadito come in materia di riscossione delle imposte, al fine di provare la notificazione della cartella di pagamento, quale atto idoneo ad interrompere la prescrizione del credito tributario, è sufficiente la produzione della relata compilata secondo l’apposito modello ministeriale, non sussistendo un onere di produzione della cartella, il cui unico originale è consegnato al contribuente; la relata, infatti, dimostra la specifica identità dell’atto impugnato, indicando non solo il numero identificativo dell’intimazione riportato sull’originale, ma anche il suo contenuto, consistente in un'”intimazione di pagamento”, come precisato nell’esordio della relata medesima;
-di qui l’infondatezza della censura;
-il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 56, 57, 58 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione ai principi
generali del processo civile ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata violato il principio del divieto di ius novorum in grado di appello consentendo la produzione della documentazione atta a provare, secondo il riscossore, la regolarità delle notifiche contestate dal contribuente;
-il motivo è infondato;
-è costante e convincente la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che “nel processo tributario, la produzione di nuovi documenti in appello è generalmente ammessa ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d. Lgs. n. 546 del 1992: tale principio opera anche nell’ipotesi di deposito in sede di gravame dell’atto impositivo notificato, trattandosi di mera difesa, volta a contrastare le ragioni poste a fondamento del ricorso originario, e non di eccezione in senso stretto, per la quale opera la preclusione di cui all’art. 57 del detto decreto” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8.313 del 04/04/2018; Cass. sent. n. 27774/2017). La chiara lettera dell’art. 58, d. Lgs. n. 546 del 1992, consente invero la produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna, sottoponendo a restrizione solo l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova (Cass. n. 22776/2015);
-a conferma di quanto sopra va annoverata anche la recente pronuncia della Corte Cost. n. 36 del 2025, la quale ha affrontato la questione di l egittimità costituzionale dell’ art. 58 del d.Lgs. n. 546 del 1992, rubricato «nuove prove in appello», che è stato radicalmente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera bb), del d. Lgs. n. 220 del 2023, mediante la riscrittura dei commi 1 e 2 e l’aggiunta del comma 3;
-il comma 1 riformato prevede che «on sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di
non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile». Il nuovo comma 2 stabilisce, invece, che «ossono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati». Infine, a norma del comma 3, inserito ex novo nel corpo dell’art. 58, «on è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo 14 comma 6-bis»;
-secondo la Consulta, è costituzionalmente illegittimo -violando il limite della ragionevolezza – l’art. 4, comma 2, del d. Lgs. n. 220 del 2023 che dispone l’immediata applicazione del nuovo art. 58 del d. Lgs. n. 546 del 1992 (segnatamente delle disposizioni «di cui all’articolo 1, comma 1, letter bb)» del d. Lgs. n. 220 del 2023, che hanno riscritto in senso più restrittivo la disciplina dei nova istruttori in appello dettata dal previgente art. 58) ai processi di primo e secondo grado e di cassazione incardinati a far data dal giorno successivo all’entrata in vigore (prevista per il 4 gennaio 2024) del medesimo d. Lgs. n. 220 del 2023;
-illustra il giudice delle Leggi che la ridetta previsione transitoria ‘oblitera la circostanza che nei processi iniziati in grado di appello dopo tale data, il cui primo grado sia stato incardinato nel vigore della precedente disciplina, le parti, confidando sulla facoltà, loro riconosciuta dal previgente art. 58, comma 2 ridetto di depositare documenti anche nell’eventuale processo di gravame, potrebbero averne
omesso la produzione in prime cure. Infatti, nei casi in cui, al momento dell’entrata in vigore della novella, i termini per le deduzioni istruttorie ex art. 32 del d. Lgs. n. 546 del 1992 siano già spirati, le parti non hanno la possibilità di prevenire le conseguenze dei sopravvenuti divieti probatori e in special modo di quello assoluto ex art. 58, comma 3 mediante un tempestivo deposito nel giudizio di primo grado’.
-in questo modo, chiarisce la Corte costituzionale, lo ius superveniens , ‘sebbene formalmente operi per il futuro, nella sostanza incide sugli effetti giuridici di situazioni processuali verificatesi nei giudizi iniziati nel vigore della precedente normativa e ancora in corso. Esso, infatti, finisce per riconsiderare, sanzionandola ex post , la mancata produzione di documenti in primo grado, senza considerare che la disciplina previgente ne consentiva ampiamente il differimento in appello, come confermato dalla ricordata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la producibilità di nuovi documenti nel giudizio di secondo grado era da escludere per i soli documenti diretti a dimostrare la fondatezza delle domande e delle eccezioni precluse dall’art. 57 del d. Lgs. n. 546 del 1992 ‘;
-anche quindi l’esame della disposizione in argomento operato nel sistema tributario inteso nel suo complesso, nella sua evoluzione, e posto a confronto con le previsioni costituzionali, conferma la correttezza dell’interpretazione offerta da tempo da questa Corte di legittimità;
-il terzo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c. ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia di merito erroneamente ritenuto prova della regolarità della notifica il contenuto della schermata informatica riportante le
risultanze degli archivi informatici dell’Agenzia delle Entrate riscossione, con conseguente illegittima dispensa della P.A. dall’onere della prova;
-il motivo è inammissibile;
-invero, la CTR ha ritenuto provata la regolarità della notifica in argomento non solo sulla base del contenuto della schermata informatica, ma -soprattutto -sul contenuto della ‘…ricevuta di ritorno della racc. n. 67007740267 -2 …’ (così pag. 2 della sentenza impugnata, punto n. 3 primo capoverso), il contenuto della quale è stato riepilogato nella forma informatica;
-nell’appuntarsi quindi sulla valenza probatoria di tale scheda, il motivo risulta nel concreto privo di collegamento con la ratio decidendi della sentenza impugnata e va dichiarato inammissibile;
-secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo d’impugnazione è rappresentato dal l’ enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi
nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’ inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, tutte citate in motivazione da Cass. n. 8755/2018);
-il quarto motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 72 del d. Lgs. n. 507 del 1993 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. , per avere la CTR mancato di esaminare l’ulteriore motivo di gravame proposto dal contribuente riferito alla tardiva iscrizione a ruolo;
-il quinto motivo si incentra sull’omesso esame e la violazione dell’art. 112 c.p.c., della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, per avere la pronuncia di appello mancato di pronunciarsi sul motivo di impugnazione relativo alla mancanza di elementi essenziali nell’intimazione di pagamento e nella cartella sottesa;
-i motivi, suscettibili di trattazione congiunta in quanto strettamente connessi tra loro sia sotto il profilo logico, sia sotto il profilo giuridico, sono infondati;
-in disparte il profilo di inammissibilità che si pone, non avendo parte ricorrente né trascritto né prodotto gli atti del giudizio di appello dai quali dovevasi evincere la riproposizione della questione in tale grado del processo, dalla lettura della sentenza impugnata si evince come la questione sia stata oggetto di implicito rigetto da parte della CTR;
-secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità dalla quale non vi è motivo di discostarsi ‘ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico – giuridica della pronuncia’ (Cass. 20311/2011, 24155/2017; Cass. 7927/2021);
-deve quindi ribadirsi che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (cfr. Cass., 18 giugno 2018, n. 15936; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191);
-nella fattispecie, dall’articolata e completa motivazione della CTR si evince come la statuizione ivi presa fondi la sua impostazione e illustrazione su un insieme di accertamenti in fatto e considerazioni in diritto all’esito dei quali, sia pure implicitamente, si è esclusa la sussistenza dei vizi il cui esame si sostiene in ricorso esser stato pretermesso;
-infatti, dall’avvenuta verifica della regolare notifica della cartella di pagamento sottesa all’intimazione qui impugnata derivava in ogni caso la preclusione dell’esame di ogni vizio relativo alla tempestività dell’iscrizione a ruolo e alla motivazione di tale atto poiché tali vizi, in quanto propri della cartella di pagamento, dovevano essere eccepiti nel giudizio avente per oggetto detta cartella (per tutte, si vedano Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13102 del 24/05/2017 ma anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12759 del 23/05/2018; e in ultimo -tra le più recenti -anche da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32062 del 12/12/2024 );
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 4.300,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, con onere a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2025.