Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22967 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22967 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 499/19 resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sez. staccata di Taranto, depositata in data 26 febbraio 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con apposito avviso notificato il 6 dicembre 2007 l’Agenzia accertava a carico della società allora in bonis RAGIONE_SOCIALE maggior reddito a seguito dell’applicazione dei c.d. ‘studi di settore’ di cui al d.l. n. 331/1993.
La CTP accoglieva il ricorso della contribuente e l’Agenzia proponeva gravame.
FALLIMENTO E RIPRESA PROCESSO TRIBUTARIO
Il 7 agosto 2015, in corso di giudizio d’appello, il Tribunale di Taranto dichiarava il fallimento della società contribuente, e quindi il 29 settembre 2016 la curatela chiedeva l’interruzione del processo, pronunciata dalla CTR con ordinanza 7 dicembre 2016. Il 22 febbraio 2017 l’Agenzia instava per la trattazione ai sensi
dell’art. 43 d.lgs. n. 546/1992.
Con la sentenza qui impugnata la CTR rilevava la tardività dell’istanza suddetta e , dunque, dichiarava l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 45 d.lgs. n. 546/1992, rigettando contestualmente l’appello per sua inammissibilità , pur ritenendosi ‘per i fatti suesposti di confermare la sentenza di primo grado ‘ .
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione affidato a due motivi, mentre la curatela ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Con il primo mezzo l’Agenzia denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 41 e 43, d.lgs. n. 546/1992; 43, l. fall. (R.D. n. 267 del 1942) e 305 cod. proc. civ.
1.1. Va premesso che mentre l’art. 305 cod. proc. civ. disciplina in via generale l’interruzione del processo (la quale viene a determinarsi a seconda dei casi o con l’evento, come nel caso in cui esso intervenga anteriormente alla costituzione della parte colpita; oppure dalla relativa dichiarazione a cura della parte interessata), l’art. 43 l.fall., applicabile alla fattispecie ratione temporis, disciplina, invece, l’interruzione a causa dell’intervenuto fallimento di una parte, e in particolare di quella che si configura ove addirittura il fallimento non determini l’improcedibilità del processo stesso in virtù dell’apertura del concorso, cui infatti consegue la competenza esclusiva del giudice delegato ai sensi dell’art. 52 l. fall.
Nella specie, trattandosi di controversia avente ad oggetto un debito tributario, la controversia era appunto oggetto di mera interruzione, ma con effetto automatico come stabilito dall’art. 43 l. fall. (cfr., in proposito, Cass. n. 2658/2019), il quale letteralmente statuisce ‘L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo’.
Orbene se per la generalità delle controversie che possono essere riassunte a seguito dell’interruzione determinata dal fallimento vale il principio per cui il relativo termine decorre, attesa la segnalata natura automatica dell’effetto dell’apertura della procedura concorsuale sul processo -senza, dunque, che occorra un’apposita dichiarazione dell’evento stesso da parte del soggetto interessato -dalla data in cui la parte ne abbia avuto conoscenza come stabilito da Corte Cost. n. 17 del 2010, così non è per il caso dell’interruzione prodottasi nel processo tributario.
Invero l’art. 43, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, stabilisce che il termine della riassunzione decorra ‘da quando è stata dichiarata l’interruzione’.
La norma, quindi, è di generale applicazione per tutte le controversie tributarie, non interferisce sulla natura automatica o meno della causa d’interruzione (e dunque, ad esempio, con gli effetti di cui all’art. 298 cod. proc. civ.), né in particolare con quanto stabilito in proposito dalla legge fallimentare, ma semplicemente detta una regola, essa sì speciale per il processo in esame, che disciplina il dies a quo del termine per riassumere.
Disciplina che senz’altro impone in ogni caso al giudice tributario di rilevare con espresso provvedimento l’intervenuta interruzione del processo a seguito del fallimento (fermi restando, si ripete, gli effetti fin dalla data del verificarsi dell’evento).
In tal senso possono richiamarsi due precedenti di questa Corte, ed in particolare Cass. n. 22857/2018 che applica implicitamente al ‘nuovo rito’ fallimentare (introdotto con d.lgs. n. 5/2006, che ha
modificato nel senso sopra illustrato l’art. 43 della l. fall.) la giurisprudenza formatasi sotto la pregressa disciplina fallimentare (cfr. Cass. n. 21108/2011). Altresì può annoverarsi Cass. n. 24242/20, pur resa in fattispecie non sovrapponibile e comunque sempre con richiamo relativo alla disciplina anteriore alla riforma fallimentare del 2006.
Deve allora affermarsi il seguente principio di diritto
‘Ferma restando la disciplina contenuta nell’art. 43, l. fall., in tema di automatica produzione dell’effetto interruttivo della dichiarazione di fallimento, ai fini dell’individuazione del dies a quo del decorso del termine per riassunzione del processo tributario interrotto a seguito di fallimento, deve aversi riguardo al provvedimento del giudice che prende atto dell’evento interruttivo, richiesto a tal fine necessariamente dal disposto di cui all’art. 43, comma 2, d.lgs. n. 546/1992’.
1.2. Nella specie, dunque, essendo stata dichiarata l’interruzione in data 7 dicembre 2016 ed essendo stata fatta istanza per la riassunzione da parte dell’Agenzia con atto del successivo 22 febbraio 2017, il termine semestrale di cui all’indicato art. 43, d.lgs. n. 546/1992, nel testo applicabile ratione temporis, si sarebbe dovuto ritenere rispettato (restando irrilevante, a tal fine e per quanto detto, che l’Agenzia delle entrate avesse ricevuto la comunicazione della sopravvenuta dichiarazione di fallimento il 7 agosto 2015).
Il motivo deve essere, pertanto, accolto.
Col secondo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza con riferimento alla statuizione inerente al rigetto dell’appello.
2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, poiché la statuizione di rigetto (peraltro correlata ad ‘inammissibilità’) è stata resa in difetto di potestas iudicandi, essendosi già di questa spogliato il giudice d’appello a mezzo della precedente pronuncia di estinzione del giudizio.
Il ricorso va, in definitiva, accolto con riferimento al primo motivo, mentre è inammissibile il secondo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura ritenuta fondata ed il derivante della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia -sez. Taranto, che, oltre ad uniformarsi al su enunciato principio di diritto, provvederà a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. staccata di Taranto che, in diversa composizione, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2025