Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9148 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21924/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. LECCE n. 461/2016 depositata il 25/02/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso o, in subordine, per la sospensione del giudizio e rinvio alla Corte costituzionale della questione dedotta nella requisitoria scritta. Sentito l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. COGNOME per i controricorrenti.
FATTI DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e i suoi soci NOME e NOME COGNOME hanno proposto separati ricorsi avverso l’avviso di accertamento per il 2005 con il quale erano stati accertati per la società maggiori redditi e determinati minori costi relativi a fatture fittizie per operazioni inesistenti, notificato anche ai soci per trasparenza ex art. 5 d.P.R. n. 916/1986. In particolare, era risultata la contabilizzazione di debiti verso fornitori in misura superiore rispetto a quanto dichiarato da costoro e tale maggior debito doveva riferirsi a ricavi ‘in nero’; inoltre, con riferimento ai rapporti con la fornitrice RAGIONE_SOCIALE, a sua volta verificata, erano state contestate operazioni oggettivamente inesistenti.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Brindisi accoglieva i ricorsi riuniti mentre la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Puglia rigettava il ricorso erariale e quello incidentale dei contribuenti sul capo relativo alle spese.
I giudici d’appello ritenevano condivisibili le considerazioni che avevano condotto i giudici di prime cure a disattendere la ricostruzione dell’Ufficio, evidenziando altresì che nelle more era intervenuta sentenza penale di assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’ nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in relazione ai medesimi fatti oggetto dell’avviso di accertamento impugnato.
Avverso questa pronunzia ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che si è affidata a due motivi.
5, Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE e i due soci, che hanno depositato memorie. In particolare, alla memoria depositata il 31.12.2024 i ricorrenti hanno allegato copia della sentenza penale n. 387 del 4.2.2015 del Tribunale di Brindisi, con attestazione di irrevocabilità in data 3.6.2015.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza di riunione alla presente causa di quelle pendenti al R.G. nn. 4864/2018 e 85/2019, chiamate alla medesima udienza pubblica e aventi ad oggetto distinte sentenze relative ad avvisi di accertamento riguardanti diversi anni di imposta nei confronti della stessa società. Invero, la riunione delle impugnazioni è obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c. ove abbiano ad oggetto la stessa sentenza, mentre può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia, ovvero ove si ravvisino in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass., n. 27550 del 2018; Cass., sez. un., n. 1521 del 2013; Cass., sez. un. n. 18050 del 2010). In questo caso, non appare opportuna la riunione, ricorrendo differenti situazioni processuali e non essendo la trattazione disgiunta ostativa all’applicazione dei medesimi principi di diritto.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., perché la CTR aveva basato la propria decisione esclusivamente sulle conclusioni del giudice penale senza alcun esame critico di tali risultanze.
2.1. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 39
comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 in quanto la CTR aveva errato nel ritenere che l’accertamento si fondava su mere presunzioni, basandosi invece sulle risposte rese dai fornitori al questionario inviato e sulla contabilità di costoro che non corrispondevano ai dati dichiarati dalla società ricorrente; tali dichiarazioni di terzi hanno valore probatorio, addirittura hanno natura confessoria quando si dichiarano fatti a sé sfavorevoli, e vanno considerate alla luce degli ulteriori elementi acquisiti in sede di accertamento, tra cui spicca la notevole entità della discrepanza (euro 323.462,81), mentre in relazione ai rapporti con il fornitore RAGIONE_SOCIALE emergevano una serie di incongruenze che facevano ritenere l’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate e, quindi, la contabilizzazione di costi inesistenti che celavano maggiori ricavi non dichiarati.
I due motivi possono esaminati congiuntamente per comodità espositiva, il primo deve essere disatteso mentre il secondo va accolto.
Va osservato che il Tribunale di Brindisi ha pronunciato sentenza n. 387 del 4.2.2015, con la quale NOME COGNOME, socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE è stato assolto dal reato di cui agli artt. 2 e 4, d.lgs. 10.3.2000, n. 74 (utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione infedele), relativo ai medesimi fatti posti a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato, con la formula il fatto non sussiste, sentenza passata in giudicato il 3.6.2015.
Il decreto legislativo n. 87 del 2024 (in esecuzione della delega conferita al Governo dall’art. 20 della legge n. 111 del 2023), pubblicato sulla G.U. n. 150 del 28/6/2024 ed entrato in vigore il 29/6/2024, il cui art. 1, comma 1, lett. m) ha introdotto, nel corpo del d.lgs. n. 74 del 2000, il nuovo art. 21 -bis, rubricato « Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione », che così dispone: « 1. La sentenza
irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio . 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati. ».
5.1. Secondo questa Corte la norma è applicabile, quale ius superveniens , anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) (Cass. n. 936 del 2025; Cass. n. 30814 del 2024; Cass. n. 23570 del 2024). ,
Orbene, in disparte le recenti sentenze di questa Corte emesse nella stessa udienza, secondo cui l’art. 21 -bis cit. si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non riguarda l’imposta, ossia la decisione del giudice tributario sulla pretesa impositiva (Cass. n. 3800 del 2025; Cass. n. 4935 del 2025; Cass. n. 4924 del 2025; Cass. n. 4921 del 2025; Cass. n.
4916 del 2025; Cass. n. 4904 del 2025), ad avviso di questo Collegio, il giudicato in questione comunque non rileva ai sensi del citato art. 21-bis, come affermato invece dai controricorrenti, cosicché è anche superfluo esaminare la questione di legittimità costituzionale della norma sollevata dal Pubblico Ministero. Infatti, sebbene il COGNOME sia stato assolto « visto l’art. 530 c.p.p. ….perché il fatto non sussiste » manca l’indicazione della fattispecie assolutoria (primo o secondo comma dell’art. 530 c.p.p.) e la motivazione della sentenza non contiene alcun accertamento positivo dell’insussistenza dei fatti contestati: quanto ai maggiori ricavi desunti dall’Ufficio dalla discrepanza tra debiti verso fornitori risultanti dalla contabilità della contribuente e dichiarazioni rese dai terzi fornitori, il giudice penale ha osservato che « questa conclusione, in realtà non può essere condivisa basandosi sui dati probatori assolutamente incerti »; quanto ai rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE ha rilevato che « l’accertamento non può dirsi essere giunto ad un approdo sicuro sul quale fondare una pronuncia di condanna ».
6.1. Se n el giudizio penale la prova positiva dell’innocenza dell’imputato (art. 530, comma 1) e la prova negativa della sua responsabilità (art. 530, comma 2) hanno pari valore, la giurisprudenza civile, nell’interpretare gli artt. 651 – 654 c.p.p., ha distinto le due situazioni, attribuendo differente valore alle ipotesi di assoluzione pronunciate a norma del primo comma rispetto a quelle pronunciate a norma del secondo comma. Si tratta di orientamento consolidato da tempo e che ha trovato il suo riconoscimento anche da parte delle Sezioni Unite (Cass. sez. un. n. 1768 del 2011, che, con riguardo all’art. 652, ma anche rispetto agli artt. 651, 653 e 654 c.p.p., ha affermato che « la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento
circa l’insussistenza del fatto »). In particolare, si è rilevato che il principio generale è quello « dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, sicché il carattere di eccezione a tale principio che si rinviene in quanto previsto dalla norma dell’art. 652 c.p.p. (e analogamente è da dirsi per le ipotesi contemplate dagli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice) impedisce non solo di poter fare applicazione analogica della citata disposizione oltre i casi espressamente previsti, ma impone di perimetrarne anche in senso restrittivo l’operatività, tenuto conto dei limiti costituzionali del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, richiamati dalla stessa legge delega (tra le altre, Cass., 2 agosto 2004, n. 14770; Cass., 8 marzo 2013, n. 5898; Cass., 29 agosto 2013, n. 19863; Cass., 18 novembre 2014, n. 24475; Cass., 5 aprile 2016, n. 6541; Cass., 22 giugno 2017, n. 15470; Cass., 13 giugno 2018, n. 15392; Cass., 3 luglio 2018, n. 17316 )». Inoltre, si è evidenziato che « l’efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione è tale, però, soltanto se il giudicato stesso contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p. » (v. tra le molte, Cass. n. 19863/2013; Cass., 25 settembre 2014, n. 20252 e Cass., 11 marzo 2016, n. 4764; Cass. 12 settembre 2022, n. 26811; da ultimo v. anche Cass. n. 4201/2024, secondo cui « in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza di assoluzione ha effetto preclusivo nel processo civile (sia ex. art. 652 c.p.p. che ex art. 654 c.p.p.) solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato, e non anche nell’ipotesi in cui sia stata pronunciata a norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p., per
inesistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all’imputato »).
6.2. Nel caso in esame la motivazione della sentenza restituisce un risultato probatorio ‘negativo’, in quanto ‘mancante’, ‘insufficiente’ o ‘contraddittorio’ in ordine agli elementi strutturali del reato, ma non contiene alcun accertamento (che si potrebbe di converso definire ‘positivo’) in ordine all’insussistenza dei suddetti elementi strutturali. In mancanza dell’accertamento che « il fatto sussiste che l’imputato lo ha commesso », il contribuente è stato assolto in sede penale, ai sensi dell’art. 530, comma 2, non comma 1, c.p.p., e la formula dell’art. 530, comma 2, c.p.p. esclude l’attitudine al giudicato della sentenza agli effetti dell’art. 21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000 (nello stesso senso, Cass. n. 4921 del 2025).
Resta applicabile, quindi, il consolidato principio in materia di rapporti tra giudizio penale e giudizio tributario, secondo cui le prove raccolte in giudizio penale definito con sentenza irrevocabile costituiscono fonte di prova che il giudice tributario è tenuto ad esaminare e da cui può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge (Cass. n. 6532 del 2020; Cass. n. 17258 del 2019). Il giudice tributario, pur potendo trarre elementi di convincimento dai fatti materiali accertati nel giudizio penale, è tenuto sempre ad operare una valutazione critica di dette circostanze fattuali in relazione al complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio tributario: « nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia
di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare » (così, testualmente, Cass. n. 3105 del 2014; v. anche Cass. n. 27814 del 2020; Cass. n. 28174 del 2017; Cass. n. 16262 del 2017; Cass. n. 8129 del 2012).
7.1. In questo caso la CTR ha riportato per esteso la motivazione del giudice penale: – con riferimento alle discrepanze tra la situazione debitoria esposta dalla società e quella risultante dalle risposte dei fornitori ai questionari inviati, si è rilevata la mancanza di spiegazioni sul perché si fossero ritenute maggiormente attendibili le dichiarazioni dei fornitori; inoltre, in tre casi presi a campione il dato indicato dai fornitori era risultato errato; ancora, le dichiarazioni dei fornitori non erano accompagnate da schede contabili ma erano stati fornito solo i saldi; infine, le dichiarazioni erano intervenute a distanza di circa cinque anni dall’epoca dei fatti; – in relazione ai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, si è osservato che l’irregolarità della contabilità di questa non poteva porsi a carico della RAGIONE_SOCIALE, che era provato il pagamento tracciato delle forniture e, soprattutto, era emerso che merce fornita dalla RAGIONE_SOCIALE era stata venduta dalla RAGIONE_SOCIALE a terzi.
7.2. La CTR ha altresì rilevato che le conclusioni del giudice penale « poggiano sul medesimo quadro probatorio valutato dal giudice tributario di prime cure e si pongono in completa assonanza con le conformi considerazione da egli svolte nella impugnata sentenza ».
Quindi, vi è stata una adesione consapevole alle conclusioni del giudice penale con esplicita argomentazione sulle ragioni che hanno condotto a condividere quell’ apparato motivazionale; il
punto è che quella motivazione non è conforme alle regole in materia tributaria e, in particolare, a quelle in tema di accertamento analitico induttivo di cui all’art. 39 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 600/1972. Invero, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. n. 35713 del 2022); in questo caso l’inattendibilità derivava proprio dalla discrepanza tra i debiti risultanti in contabilità e quelli dichiarati dai fornitori per un importo rilevante (euro 323.462,81).
8.1. Inoltre, « l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati » possono risultare « dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32 », tra i quali le risposte ai « questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati » (art. 32 comma 1 n. 4 d.P.R. n. 600/1973), non richiedendosi che tali risposte siano accompagnate da giustificazioni documentali e contabili.
8.2. E’ pacifica l’ammissibilità delle dichiarazioni o informazioni di terzi acquisite dall’ufficio – purché inserite nel processo verbale di constatazione, o trascritte essenzialmente nella relativa
motivazione, ovvero allegate all’avviso di rettifica notificato – nel giudizio tributario, ove trovano ingresso come elementi indiziari, liberamente valutabili dal giudice del merito (Cass., n. 3104 del 2014, n. 21812 del 2012, n. 20032 del 2011, n. 11785 del 2011, n. 21317 del 2010), potendo la loro efficacia probatoria essere contestata anche attraverso controdichiarazioni di analoga natura, parimenti soggette al prudente apprezzamento del giudice tributario (cfr. Corte Cost., sent. n. 18 del 2000).
8.3. Quanto ai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, la contestazione di operazioni inesistenti si fondava su una pluralità di discrepanze nel confronto tra le due contabilità (v. pag. 25 del ricorso), non solo sui dati della contabilità della fornitrice; secondo i principi in materia l’onere della prova è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021).
8.4. Alcune affermazioni contenute nella sentenza penale contrastano palesemente con le regole in materia tributaria (per esempio, laddove si dà rilievo probatorio ai pagamenti tracciati); complessivamente, poi, quella motivazione è ispirata a regole di giudizio ben diverse da quelle applicabili in materia tributaria, poiché si è posto l’onere probatorio integralmente a carico della parte pubblica.
Conclusivamente, accolto il secondo motivo di ricorso e rigettato il primo, la sentenza deve essere cassata di conseguenza con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che in diversa composizione provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Roma, 15 gennaio 2025