Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24881 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24881 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
Oggetto: riqualificazione d’ufficio operazione economica -permuta -assoggettamento a IVA – processo tributario — limiti – principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8689/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME (PEC: EMAILpec.ordineavvocatitorino.it) e dall’Avv. NOME COGNOME (EMAIL.ordineavvocatitorinoEMAILit), con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 1576/3/2018 depositata il 22/11/2018 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 1576/3/2018 veniva parzialmente accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Savona n. 442/5/2016 con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dal l’RAGIONE_SOCIALE contro due avvisi di accertamento per II.DD., IVA e sanzioni per gli anni di imposta 2010 e 2011, basato su p.v.c. adottato a seguito di verifiche fiscali nei confronti della società.
Si legge in sentenza che con l’atto impositivo veniva contestata in primo luogo l’indebita deduzione di costi, perché inesistenti, non di pertinenza e non di competenza in violazione dell’art.109 TUIR, inclusi costi per i servizi prestati dalla società RAGIONE_SOCIALE In secondo luogo, veniva contestata l’omessa contabilizzazione di ricavi discendente
dall’incongruità dei prezzi di vendita delle unità immobiliari compravendute. I ricavi derivavano dalla c.d. operazione COGNOME, che prevedeva la permuta di aree destinate al recupero edilizio e costruzione in cambio del 25% della cubatura realizzata, oltre ad un acconto in contanti. Inoltre, la sentenza riporta che erano contestate anche la fatturazione di operazioni con applicazione di errata aliquota IVA e ulteriori riprese minori.
Il giudice d’appello preliminarmente confermava la natura di permuta della c.d. operazione COGNOME e stabiliva che le riprese relative ai maggior ricavi accertati non erano fondate, in quanto basate solo sui valori OMI, facendo cadere la ripresa. Inoltre, per quanto qui ancora interessa, riteneva indimostrata anche la fondatezza della ripresa per costi e confermava il rilievo per aliquota IVA erroneamente applicata ai servizi resi agli acquirenti degli immobili.
Avverso la sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi, cui replica la contribuente con controricorso, che illustra con memoria ex art.380-bis 1. cod. proc. civ.,.
Considerato che:
Con il primo motivo del ricorso l’Agenzia prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omissione di pronuncia su uno specifico motivo di gravame con cui aveva censurato la decisione di primo grado per non aver tenuto conto che il criterio estimativo degli immobili ceduti dalla società, ai fini della rideterminazione dei ricavi, non era basato esclusivamente sui valori OMI.
Il motivo è infondato, in quanto il giudice ha espressamente preso in esame la questione del l’omessa contabilizzazione di ricavi discen-
dente dall’incongruità dei prezzi di vendita delle unità immobiliari compravendute e, dunque, del relativo motivo di appello che ha posto la questione alla sua attenzione, ma l’ha risolta in senso sfavorevole all’Agenzia.
Il secondo motivo, con il quale la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in via subordinata al primo, la falsa applicazione degli artt. 39, comma primo, lett. d), d.P.R. n.600/1973, 54 d.P.R. n.633/1972 e 2729 cod. civ. da parte del giudice quanto al l’omessa contabilizzazione di ricavi, pari ad euro 244.674, per cessioni di immobili a terzi escludendo le cessioni al Bottero, è fondato.
3.1. La Corte rammenta che in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, è stata eliminata la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (Cass. Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017). È stato così ripristinato il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta « anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti » . L’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (v. Cass. Sez. 5, n. 2155 del 25/01/2019).
3.2. Si è quindi stabilito che -ferma la legittimit à̀ del criterio di stima sintetico-comparativo –
la rettifica del valore di un bene immobile non basarsi esclusivamente sugli indici dell’Osservatorio dei valori medi di mercato di immobili similari siti nella medesima zona di quello considerato (OMI). Infatti, tali indici hanno una valenza puramente orien- pu ò̀ tativa e di larga massima
, cos ì da necessitare di adeguati riscontri probatori mirati su evenienze estimative di tipo non generale e statistico, ma concreto e specificamente concernente l’immobile oggetto di rettifica (da ultimo, v. Cass., Sez. 5, n.3202 del 5/2/2024).
3.3. Orbene, i pertinenti passaggi del p.v.c. richiamati nella censura evidenziano che la ripresa in questione, oltre al confronto dei prezzi delle compravendite dichiarati con i valori OMI, è radicata sul raffronto dei prezzi di vendita con quelli al metro quadro degli immobili nella medesima zona, nonché sul confronto con immobili simili per caratteristiche venduti dalla società a prezzi dichiaratamente diversi, e sulla presenza di vendite sottocosto emergenti dai prospetti presentati dalla società sul dettaglio delle rimanenze. Si tratta di elementi tutti potenzialmente decisivi perché astrattamente idonei a confermare le incongruenze evidenziate dai valori OMI e che dalla sentenza impugnata non risulta siano stati presi in considerazione dal giudice, con conseguente falsa applicazione delle disposizioni oggetto della censura.
4. Con il terzo motivo di ricorso si censura, ai fini dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la falsa applicazione degli artt. 11 e 13 d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 9 del TUIR, con riferimento alla c.d. operazione Bottero, laddove il giudice ha qualificato il contratto intercorso tra le parti come permuta, omettendo di valutare se la qualificazione
data privasse o meno di fondatezza l’accertamento dei maggiori ricavi in relazione agli immobili acquistati dal Bottero.
4.1. Si dà atto che nel controricorso viene, tra l’altro, eccepita l’inammissibilità del motivo per c.d. doppia conforme, eccezione ulteriormente rielaborata nella memoria illustrativa; non solo con riferimento all’accertamento della qualificazione del contratto nel senso di una permuta ci sarebbe una statuizione doppia conforme in primo e secondo grado, ma il giudice d’appello non avrebbe affatto applicato le disposizioni a base del gravame e, in ultima analisi, l’Agenzia cercherebbe di mutare l’oggetto del giudizio, come definito dall’avviso di accertamento e nei due gradi di merito ( mutatio libelli ). Secondo la società, con l’avviso di accertamento e poi nei gradi di merito, l’Agenzia delle entrate avrebbe infatti sempre e solo sostenuto che, nel contesto della c.d. operazione ‘RAGIONE_SOCIALE‘, il COGNOME avesse pagato ‘in nero’ euro 1.992.443,04 alla società RAGIONE_SOCIALE (cfr. p.25 controricorso). Per la prima volta in Cassazione, l’Agenzia delle entrate lamenterebbe (i) l’omesso assoggettamento ad IVA separatamente delle due componenti dell’operazione permutativa intercorsa tra il COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE e (ii) l’omessa determinazione al valore normale della corrispondente base imponibile IVA e IRES da parte della RAGIONE_SOCIALE, richiamandosi a fatti e norme non invocati nell’avviso di accertamento, né negli atti delle parti di primo e secondo grado, né nelle sentenze di primo e secondo grado (cfr. pp.1-2 memoria illustrativa). L’eccezione preliminare va scrutinata unitamente alla disamina della censura.
Il motivo non può trovare ingresso.
5.1. L’Amministrazione finanziaria prospetta che, in conseguenza della qualificazione del contratto da parte del giudice nel senso di permuta,
qualificazione operata in senso conforme dal giudice in primo e in secondo grado, trova applicazione la connessa disciplina ai fini IVA.
Con riferimento alle conseguenze di tale qualificazione del fatto da parte del giudice, la Corte ha già chiarito, proprio in tema di IVA, che la permuta -a differenza di quanto ritiene la contribuente – non dev’essere considerata come un’unica operazione, bensì come una pluralità di operazioni tra loro indipendenti, autonome ai fini della tassazione (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 1605 del 19/01/2023; conforme a Cass. n.28723 del 2017, in recepimento della giurisprudenza unionale ivi citata).
5.2. A ciò consegue, ragiona ancora l’Amministrazione finanziaria, l’ applicazione della relativa disciplina, secondo il principio iura novit curia , in merito alla sussistenza dei presupposti di assoggettamento all’imposta ed in ordine alla determinazione della base imponibile e d ell’ aliquota. Ai detti fini, l’art. 11 del d.P.R. n. 633 del 1972 amplia la nozione di permuta rispetto a quella civilistica, contenuta nell’art. 1552 cod. civ., estendendola anche alle ipotesi di permute tra beni e servizi, come nel caso di specie, e di servizi con altri servizi.
In particolare, nel caso di permute di cessione di beni con prestazioni di servizi, il ricevimento del servizio, relativo a lavori edili di abbattimento di manufatti e ricostruzione di immobili, equivale in parte qua al pagamento del corrispettivo ed è in tale momento che l’operazione si considera effettuata e sorge l’obbligo di emissione della fattura ai fini IVA. In altri termini, la qualificazione non solo non precluderebbe la configurabilità dell’operazione imponibile IVA, ravvisabile nel fatto oggettivo del sinallagma accertato in modo conforme dal giudice in primo e in secondo grado, ma imporrebbe di considerare utilmente l’emergente imponibile IVA già nel presente processo.
5.3. Replica la difesa di parte contribuente che la richiesta di immediato assoggettamento ad IVA dell’operazione economica permutativa nel senso sopra ricostruito sulla base della giurisprudenza unionale e della Corte, per quanto basata sulla qualificazione del fatto operata dal giudice e non più contestata in giudizio, costituirebbe una indebita mutatio libelli rispetto all’iniziale rilievo contenuto nell’avviso di accertamento che non lo ha mai previsto.
Sarebbe perciò da rigettare la prospettazione dell’Agenzia , per quanto consequenziale alla qualificazione operata dal giudice non più contestata da alcuna delle parti, non potendo per la prima volta nel presente giudizio, anche al di fuori del perimetro degli atti impositivi impugnati, considerare le singole prestazioni che compongono la complessiva operazione permutativa come imponibili ai fini IVA.
6. Il Collegio osserva che, con riferimento all’eccezione di mutatio libelli avanzata dalla controricorrente, non v’è dubbio sul fatto che le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo non possono essere mutate nella successiva sede contenziosa provocata dall’impugnativa del contribuente, e ciò a presidio del diritto di difesa di quest’ultimo. Infatti, una tale modifica o l’ estensione della motivazione violerebbe innanzitutto l’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212 (così, fra le altre, Cass. n. 20933/2022; Cass. n. 2382/2018; Cass. n. 4327/2016; Cass. n. 22003/2014, giurisprudenza della Corte citata dalla contribuente nella memoria illustrativa).
6.1. È senz’altro condivisibile, inoltre, l’affermazione (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 12-4-2024, n. 10035) secondo cui le ragioni poste a base di un atto impositivo non possono essere oggetto di modifica e/o di integrazione durante la fase contenziosa, in quanto la difesa del ricorrente si concentra su quanto illustrato nella motivazione. L’obbligo di idonea e completa motivazione dell’atto mira, infatti, proprio a garantire al
contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive nella fase del giudizio di impugnazione, le quali, se non correttamente esplicitate, non possono essere successivamente integrate, atteso che in tal modo risulterebbe illegittimamente compromesso il diritto di difesa (v. anche Cass. n. 12251 del 2017 e Cass. n. 11623 del 2017).
Nel caso di specie, l’applicazione della disciplina ai fini IVA conseguente alla qualificazione dell’operazione complessiva come permutativa comporta un nuovo assoggettamento a imposizione delle singole prestazioni che la compongono e, così, l’esercizio di un nuovo potere impositivo, al di fuori del perimetro dell’atto impositivo.
6.2. Condivisibilmente, Cass. civ., Sez. trib., 11-1-2024, n. 1126, citata nella memoria illustrativa, evidenzia che ciò che importa è che la sentenza impugnata si sia fondata su una piattaforma argomentativa di riferimento che coincide con i presupposti di fatto – e le correlate ragioni in diritto – che hanno costituito il fondamento dell’atto impositivo impugnato. Se si accogliesse la suggestiva prospettazione dell’Agenzia, per quanto in conseguenza della qualificazione giudiziale non più contestata da alcuna delle parti, è vero che i presupposti di fatto rimarrebbero intatti, ma non sarebbe semplicemente mutata la qualificazione dell’operazione economica, bensì muterebbe in parte lo stesso il petitum e la relativa causa petendi .
Per effetto della qualificazione come permuta dell’operazione economica complessiva ai fini IVA le singole prestazioni divengono autonome ai fini della tassazione e, dunque, anche gli importi dovuti dalla contribuente all’erario e lo stesso oggetto dell’ obbligazione tributaria, conseguenti all’applicazione dell’IVA , diventerebbero necessariamente diversi e non coincidenti con quelli contenuti negli avvisi impugnati, tra l’altro , con determinazione al valore normale della corrispondente base imponibile IVA e IRES.
6.3. E allora, al di là del profilo della violazione del principio della mutatio libelli , invocato dalla difesa di parte contribuente, il vero limite all’accoglimento della interessante ma non condivisibile tesi erariale, diventa la natura stessa del processo tributario, che non è mai di mero accertamento dell’obbligazione, ma di impugnazione-merito.
Le Sezioni unite di questa Corte, sia pure con decisioni un po’ risalenti (cfr. Cass., sez. un., n. 24011/07 e giurisprudenza ivi citata), ma che meritano di essere reiterate per la loro preservata attualità, hanno affermato che la domanda di accertamento negativo intesa ad ottenere in via anticipata la declaratoria di insussistenza della pretesa erariale, qualora la volontà impositiva dell’Amministrazione nei confronti di un determinato soggetto d’imposta non emerga mediante un atto concreto e giuridicamente efficace di esercizio della pretesa tributaria, dà luogo all’improponibilità della domanda.
6.4. Tale giurisprudenza è stata del resto la chiave di volta della recente interpretazione delle Sezioni unite sulla non impugnabilità dell’estratto di ruolo (cfr. Cass. Sez. U, sentenza n. 26283 del 2022), secondo cui: « proprio perché nei casi in cui si contestino il ruolo e/o la cartella o l’intimazione di pagamento non notificate o invalidamente notificate, conosciute perché risultanti dall’estratto di ruolo, l’esercizio della pretesa tributaria non emerge da alcun atto giuridicamente efficace, l’azione è da qualificare di accertamento negativo (in termini, da ultimo, Cass. n. 3990/20, punto 2.6). E, in quanto tale, essa, in considerazione della struttura impugnatoria del giudizio tributario, è improponibile (Cass., sez. un., n. 24011/07; sez. un., n. 21890/09) » .
7. In altri termini, la natura di impugnazione-merito del giudizio tributario, reca con sé il principio che è l’atto che determina la materia impugnabile, come confermato proprio dal fatto che non è proponibile
un’azione di mero accertamento dell’ an circa la sussistenza dell’obbligazione tributaria.
Si tratta di una precisa scelta dell’ordinamento giuridico interno e questo esclude anche che possa esservi spazio per un doppio regime IVAimposte dirette, poiché la materia armonizzata riguarda i presupposti dell’imposta, ma non è armonizzato il processo né il procedimento di applicazione del tributo su cui la Corte di giustizia UE ha sempre fatto salva l’autonomia degli Stati membri
7.1. Dev’essere così conclusivamente affermato in diritto che:
« In tema di IVA, la permuta non deve essere considerata come un’unica operazione ma più operazioni tra loro indipendenti, autonome ai fini della tassazione e alle quali va applicata la relativa disciplina, ma la natura di impugnazione-merito del giudizio tributario impedisce che, per effetto della riqualificazione operata dal giudice di un’operazione economica come permutativa, l’Amministrazione finanziaria possa per la prima volta in Cassazione assoggettare ad IVA separatamente le due prestazioni dell’operazione permutativa e determinare al valore normale la corrispondente base imponibile IVA e IRES. ».
8. Con il quarto motivo, l’Agenzia ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la falsa applicazione degli artt. 21, d.P.R. n.633/1972, 109 TUIR, 2697 cod. civ., con riferimento alla contestazione concernente i servizi prestati dalla RAGIONE_SOCIALE a favore della RAGIONE_SOCIALE
Viene impugnato il capo della sentenza ove il giudice ha stabilito che « la parte ha dimostrato l’esistenza di un regolare contratto, in vigore per più anni, fra la Vico INDIRIZZO e la Soluzioni indicando anche le operazioni compiute da quest’ultima -pubblicità, assistenza clienti ecc. in
assenza di personale dipendente alla INDIRIZZO che avrebbe potuto occuparsi di quanto sopra (…) tale documentazione integrativa (…) porta a sanare una descrizione in fattura troppo generica, risultando quanto fornito idoneo a superare la prova dell’inerenz a del costo. Tutto quanto sopra considerato si ritiene confermabile l’inerenza del costo dichiarato e la sua deducibilità. » . Secondo l’Agenzia non sarebbe ammissibile la documentazione integrativa dell’indicazione dell’oggetto della fattura e, comunque, avrebbe errato il giudice a ritenere la documentazione in concreto idonea a tal fine.
9. La doglianza è infondata. Va reiterato che, con riferimento all’IVA, la Corte di giustizia UE (tra le tante, v. sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis RAGIONE_SOCIALE e giurisprudenza ivi citata), seguita dalla Corte di cassazione (Cass. n. 23384 del 2017, n. 10211 e n. 13882 del 2018; Cass. n. 29290 del 2018; Cass. n. 18208 del 2021; Cass. n. 20719 del 2024; Cass. n. 32483 del 2024), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (v. art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (cfr. art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi. Ciò è previsto al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva.
L’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o
messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta.
È dunque infondata la prospettazione dell’Agenzia secondo cui sarebbe inammissibile la possibilità di integrare con documentazione prodotta in giudizio carenze formali delle fatture, al fine di dimostrare la presenza dei requisiti sostanziali per l’esercizio del diritto di detrazione.
La censura è poi inammissibile, come correttamente eccepito dalla controricorrente, nella parte in cui si chiede al giudice di legittimità di sovvertire l’apprezzamento fattuale operato dal giudice di merito sulla base di una argomentazione logica, oltretutto senza neppure riprodurre le fatture in questione e la documentazione integrativa prodotta nei precedenti gradi di giudizio.
10 . La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo evidenziato nel secondo motivo, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025