Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19576 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19576 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso n. 20852-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cf. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentate p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4806/11/2019 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 28.11.2019;
udita la relazione della causa svolta nell’ udienza pubblica del l’11 febbraio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Iva – Operazioni esenti – Detraibilità – Pro-rata
sentito il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Sentite le conclusioni delle parti presenti
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dal ricorso si evince che l’Agenzia delle entrate notificò alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno d’imposta 2001, l’ufficio pretese il pagamento del complessivo importo di € 624.081,61, di cui € 251.829,55 a titolo di IVA, oltre sanzioni e interessi. La pretesa erariale trovava causa nelle detrazioni iva, dichiarate nel modello Unico Iva 2002 per l’anno 2001, relative ad operazioni passive afferenti l’acquisto di un terreno edificabile (per atto notarile dell ‘8 ottobre 2001 ed al prezzo di vecchie £ 3.558.250.000 € 1.837.682,76 -) con Iva pari ad € 251.829,55, e di un connesso contratto di appalto, finalizzato alla realizzazione di un complesso edilizio nel Comune di Corbetta.
L’Agenzia delle entrate , al contrario, con l’atto impositivo aveva contestato l’imponibilità delle operazioni poiché, nell’annualità considerata (e fino al mese di ottobre 2001) come in quelle precedenti, la società aveva posto in essere solo operazioni esenti di finanziamento di società controllate, erroneamente valutandole come occasionali, per cui, in applicazione del principio del pro-rata, la percentuale di detraibilità doveva considerarsi pari a zero.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Milano accolse il ricorso della società con sentenza n. 296/05/2007. L’appello dell’Ufficio fu respinto con sentenza n. 104/13/2009. Avverso quest’ultima pronuncia l ‘Agenzia delle entrate ricorse alla Corte di legittimità, che con sentenza n. 9670 del 19 aprile 2018 cassò la decisione, rinviando al giudice d’appello l’esame della controversia alla luce dei principi di diritto enunciati.
La Commissione regionale lombarda, con sentenza n. 4806/11/2019, ora al vaglio di questa Corte, ha accolto l’appello dell’ufficio, confermando dunque l’atto impositivo . Nella pronuncia, sulla base dei principi evincibili dalla sentenza rescindente, ha rilevato che la società contribuente per un decennio (cioè dalla sua costituzione al 2001) aveva nel concreto svolto esclusivamente attività finanziaria, effettuando solo operazioni esenti, tra quelle previste nell’art. 10, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,
RGN 20852/2020
percependo nella specie interessi per finanziamenti fruttiferi verso società controllate, comunicando per esse un presunto regime di occasionalità nel quadro VG. Nessuna attività edilizia era stata posta in essere, che invece per statuto avrebbe dovuto costituire attività prevalente.
Il collegio regionale, richiamando la decisione di rinvio e consolidata giurisprudenza di legittimità, ha quindi affermato che per il calcolo della percentuale detraibile, in relazione ad operazioni esenti (cd. pro-rata), doveva tenersi in considerazione il volume d’affari del contribuente con riferimento all’attività concretamente esercitata dall’impresa . Rispetto a questa, infatti, l’eventuale diversa attività prevista in via principale dallo statuto o dall’atto costitutivo era da considerarsi recessiva . Nel conformarsi a tale principio, il giudice regionale ha pertanto riconosciuto la correttezza delle contestazioni erariali, che avevano evidenziato come, in ragione della considerazione delle attività concretamente svolte dalla società -operazioni di finanziamento rientranti tra quelle esenti ex art. 10 cit., l’ammontare del denominatore ai fini del calcolo del pro-rata corrispondeva a zero, così che alcuna detrazione poteva spettare alla contribuente per l’anno d’imposta 2001.
La società ha censurato la decisione con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, chiedendone la cassazione, cui l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
All’esito della pubblica udienza dell’11 febbraio 2025 la causa è stata riservata per la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Il collegio regionale non avrebbe tenuto conto dell’effettivo intervento immobiliare nel periodo d’imposta 2001 e dunque dell’effettiva attività svolta dalla società nell’anno d’imposta oggetto d’accertamento .
Il motivo è inammissibile.
RGN 20852/2020 Innanzitutto, la ragione per la quale si invoca il vizio di motivazione esula dai ristretti limiti entro i quali la disciplina introdotta con l’art. 54 , comma 1, lett. b) del d.l. n. 83 del 2012, ha ricondotto il parametro di critica previsto dall’art. 360, primo comma , n. 5 c.p.c. La censura, infatti non denuncia
l’omesso esame di un fatto, che alla luce dei limiti del vizio motivazionale deve intendersi come ‘fatto storico’ . In realtà con essa si vorrebbe stimolare una reinterpretazione della tipologia dell’attività svolta ‘nel concreto’ dalla società. Ciò aveva già costituito l’oggetto dell a ricostruzione giuridica operata dalla prima sentenza del giudice regionale, puntualmente criticata in sede di legittimità, che con la sentenza rescindente n. 9670/2018 ha quindi accolto le censure della difesa erariale.
Nella decisione del giudice del rinvio la medesima questione ha costituito oggetto d’accertamento in fatto , il cui esito è consistito nel riconoscere il carattere prevalente se non esclusivo dell’attività di finanziamento , esercitata per un decennio dalla contribuente, laddove per il medesimo periodo è risultato che mai fosse stata esercitata l’ attività di realizzazione e vendita di beni immobili, pur costituente per statuto e atto costitutivo la principale attività della RAGIONE_SOCIALE
Peraltro, è proprio dalla lettura della sentenza di legittimità che si evince come l’attività di finanziamento -e non quella ediliziafosse stata riconosciuta per quella concretamente svolta anche nel 2021.
In realtà il primo motivo sottende il tentativo di rivalutare i fatti, ciò che risulta inammissibile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’ art. 19-bis, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. Il giudice regionale non avrebbe tenuto conto della deroga al regime del pro-rata, derivante alternativamente da operazioni non formanti oggetto dell’attività propria dell’impresa, o accessorie a quelle imponibili.
La difesa della contribuente, criticando la pronuncia impugnata sotto il parametro della violazione di legge, e richiamando quello che, secondo la propria interpretazione, sarebbe il significato attribuibile alla prima sentenza d’appello -cassata in sede di legittimità-, insiste nell’affermare l’assenza dei presupposti richiesti dall’art. 19 bis, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, per escludere dal calcolo della percentuale di detrazione di cui all’art. 19, comma 1 della medesima disciplina (cd. calcolo del pro-rata), le operazioni esenti di finanziamento di società controllate , di cui all’art. 10, nn. 1 e 4, del medesimo d.P.R. Sostiene che esse troverebbero collocazione tra quelle
menzionate nell’ultima parte del comma 2 dell’art. 19 bis, ossia tra le operazioni occasionali o tra quelle accessorie alle operazioni imponibili.
Insiste, a tal fine, nella qualificazione delle stesse quali operazioni non rientranti nell’attività propria dell’impresa, sostenendo che «ancorché la formulazione sintattico/espositiva potesse non essere considerata chiarissima, la prima sentenza della CTR aveva inteso evidentemente non applicare la deroga al pro rata in ragione della accessorietà degli interessi attivi ad altre operazioni imponibili, avendo, al contrario, la CTR applicato tale deroga in considerazione del fatto che gli interessi attivi da finanziamento soci non potessero rientrare per una impresa, come la RAGIONE_SOCIALE, esercente concretamente l’attività di costruzione e vendita di unità immobiliari, nell’attività propria della stessa».
La difesa, evidentemente, intende dare una interpretazione ‘autentica’ della prima sentenza d’appello, proponendone una lettura secondo cui l’elemento scriminante per l’esclusione di tali operazioni dal calcolo del pro rata fosse da ricercare nella estraneità di quelle operazioni dall’attività propria della società. Pertanto, le colloca di fatto tra quelle occasionali, evidenziando che l’attività sociale fosse comunque quella edilizia. A maggior conforto invoca anche pronunce della CGUE, come ad es. la pronuncia 14 dicembre 2016, C-378/2015 (Mercedes-Benz).
Sennonché, così impostando le ragioni del motivo, esso è palesemente infondato, quando non inammissibile.
L ‘interpretazione della prima sentenza del giudice regionale è quella data dalla Corte di legittimità, che ha cassato la pronuncia, rinviando poi la decisione al giudice della fase rescissoria. Nella pronuncia di legittimità, dopo una disamina chiara sulla disciplina, si è ritenuto che la Commissione tributaria regionale avesse erroneamente applicato i principi in materia per aver «attribuito risalto alla mera congruenza tra attività, oggetto sociale ed emergenze statutarie invece che all’attività in concreto svolta, pure svalutando senza alcuna giustificazione il decennale esclusivo svolgimento del solo finanziamento (proseguito in via parimenti esclusiva anche per la quasi intera annualità del 2001) da parte della società; ha negato la rilevanza alla suddetta attività perché non “principale o prevalente rispetto a quella edilizia”, così valorizzando un elemento estraneo al dettato normativo; ha inoltre indicato, come ragione di esclusione ai fini del computo
pro-rata, la circostanza che le operazioni di finanziamento “non possono considerarsi accessorie alle operazioni imponibili”, condizione che, al contrario, impone, ai sensi dell’art. 19 bis, secondo comma, d.P.R. n. 633 cit., l’inclusione di simili operazioni nel denominatore della frazione per la determinazione del pro-rata».
Si tratta di un accertamento che non può in alcun modo essere messo in discussione con una diversa interpretazione della decisione ormai cassata. La sentenza rescindente ha censurato proprio il nocciolo del discorso su cui la contribuente insiste, evidenziando la circostanza che l’attività sociale concretamente svolta in via esclusiva per un decennio, e quasi per tutto il 2021, non fosse stata quella edilizia, ma, nel concreto, quella di finanziamento della società controllata (la RAGIONE_SOCIALE).
La sentenza ora al vaglio della Corte, si è attenuta ai principi enucleabili dalla decisione della Corte di cassazione, e pertanto del tutto prive di pregio risultano le difese articolate dalla ricorrente.
Peraltro, in punto di diritto, va ribadito che l’art. 17 della Sesta Direttiva (n. 388 del 1977), vigente ratione temporis, prevedeva che «5. Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a deduzione di cui ai paragrafi 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la deduzione è ammessa soltanto per il prorata dell’imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni. Detto prorata è determinato ai sensi dell’articolo 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo. Tuttavia, gli Stati membri possono: a) autorizzare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attività se vengono tenute contabilità distinte per ciascun settore; b) obbligare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attività ed a tenere contabilità distinte per ciascuno di questi settori; c) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione in base all’utilizzazione delle totalità o di una parte dei beni e servizi; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la deduzione secondo la norma di cui al primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dell’imposta sul valore aggiunto che non può essere dedotta dal soggetto passivo quando essa sia insignificante».
Il contenuto è stato poi sostanzialmente rifuso nell’art. 173 della Direttiva 2006/112/CE, che infatti prevede che «1. Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione di cui agli articoli 168, 169 e 170, sia per operazioni che non danno tale diritto, la detrazione è ammessa soltanto per il prorata dell’IVA relativo alla prima categoria di operazioni. Il prorata di detrazione è determinato, conformemente agli articoli 174 e 175, per il complesso delle operazioni effettuate dal soggetto passivo. 2. Gli Stati membri possono adottare le misure seguenti: a) ; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione secondo la norma di cui al paragrafo 1, primo comma, relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dell’IVA che non può essere detratta dal soggetto passivo quando essa sia insignificante».
Quanto alla disciplina interna, l’art. 19, d.P.R. 633, cit., nella formulazione già vigente ratione temporis prevedeva che «4. Per i beni ed i servizi in parte utilizzati per operazioni non soggette all’imposta la detrazione non è ammessa per la quota imputabile a tali utilizzazioni e l’ammontare indetraibile è determinato secondo criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati. Gli stessi criteri si applicano per determinare la quota di imposta indetraibile relativa ai beni e servizi in parte utilizzati per fini privati o comunque estranei all ‘ esercizio dell’impresa, arte e professione. 5. Ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo a operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all’art. 19 -bis. Nel corso dell’anno la detrazione provvisoriamente operata con l’applicazione della percentuale di detrazione dell’anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell’anno. ».
Ebbene, dalla disciplina si evince che l’art. 19, comma 5, d.P.R. n. 633/1972 prevede che ai contribuenti che esercitino tanto attività, le cui operazioni danno diritto a detrazione, quanto attività con operazioni esenti, il diritto alla detrazione dell’iva è applicabile in misura percentuale alla prima categoria di operazioni. Essa si calcola a termini dell’art. 19-bis, comma 1,
d.P.R. n. 633/1972, in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni detraibili (da allocarsi al numeratore) nel periodo di imposta e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti del medesimo periodo (da allocarsi al denominatore). Nel calcolo della percentuale di detrazione non si tiene tuttavia conto delle operazioni di cui all’art. 19 bis, comma 2, d.P.R. cit. Tra esse, come già accennato, quelle che non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo (occasionali) e quelle accessorie (o strumentali) alle operazioni imponibili.
A tal fine si è affermato che, per verificare se una determinata operazione attiva rientri, o meno, nell’attività propria di una società e debba essere inclusa nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto ‘ pro rata’), occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svol ta dall’impresa, atteso che, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate, e, quindi, l’attività in concreto esercitata , come già evidenziato dalla prima sentenza di legittimità pronunciata nella presente controversia (cfr. inoltre, Cass., 12 marzo 2008, n. 6574; 9 marzo 2016, n. 4613; 24 marzo 2017, n. 7654; 16 marzo 2018, n. 6486; 29 marzo 2019, n. 8813).
È altrettanto utile riportare il testo dell’art. 3 6 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale, in tema di esercizio di più attività, e per quanto qui d’interesse, prevede che «Nei confronti dei soggetti che esercitano più attività l’imposta si applica unitariamente e cumulativamente per tutte le attività, con riferimento al volume di affari complessivo, salvo quanto stabilito nei successivi commi. Se il soggetto esercita contemporaneamente imprese e arti o professioni l’imposta si applica separatamente per l’esercizio di imprese e per l’esercizio di arti o professioni, secondo le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume d’affari. I soggetti che esercitano più imprese o più attività nell’ambito della stessa impresa, ovvero più arti o professioni, hanno facoltà di optare per l’applicazione separata dell’imposta relativamente ad alcune delle attività esercitate, dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione relativa all’anno precedente o nella dichiarazione di inizio dell’attività. In tal caso la detrazione di cui all’art.
19 spetta a condizione che l’attività sia gestita con contabilità separata ed è esclusa, in deroga a quanto stabilito nell’ultimo comma, per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente. L’opzione ha effetto fino a quando non sia revocata e in ogni caso per almeno un triennio. Se nel corso di un anno sono acquistati beni ammortizzabili la revoca non è ammessa fino al termine del periodo di rettifica della detrazione di cui all’art. 19-bis. La revoca deve essere comunicata all’ufficio nella dichiarazione annuale ed ha effetto dall’anno in corso. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai soggetti che effettuano sia locazioni, esenti da imposta, di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’articolo 19, comma 5, e dell’articolo 19-bis, sia locazioni di altri fabbricati o di altri immobili, con riferimento a ciascuno di tali settori di attivit à. » .
Elementi utili alla ricostruzione del sistema possono inoltre mutuarsi dalla giurisprudenza unionale. Intanto nella giurisprudenza di legittimità (Cass., 24 marzo 2017, n. 7654) è stato opportunamente evidenziato che, secondo quanto chiarito dalla Corte di Giustizia -Sentenza 14 dicembre 2016, causa C-378/15, NOME COGNOME– che «in relazione a pregiudiziale italiana, , là dove si riferisce alla cifra d’affari, la disposizione ha riguardo al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano ad effettuare sia le operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia quelle che non lo conferiscono: ed è qui che sta la deroga rispetto alla regola generale sopra esposta. 2.3.Quella Corte era in precedenza pervenuta a diversa conclusione, allorquando aveva escluso dal calcolo del pro rata attività consistenti nella mera vendita di azioni e di altri titoli, come le partecipazioni in fondi di investimento, perché non costituenti attività economiche ai fini dell’art. 4, n. 2 della sesta direttiva, nonché la concessione annua, da parte di una holding, di prestiti onerosi alle società partecipate e gli investimenti della medesima in depositi bancari oppure in titoli, quali buoni del tesoro o certificati di deposito, perché considerati attività accessorie, qualora implichino un uso estremamente limitato di beni o di servizi per i quali l’iva è dovuta (Corte giust. 29 aprile 2004, causa C-77/01, RAGIONE_SOCIALE; si veda anche Corte giust. 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne SA):
ma, in quei casi, era applicabile la regola generale e non già la deroga. In
base, invece, al regime derogatorio dinanzi illustrato, secondo il quale non occorre che i beni ed i servizi siano utilizzati dal soggetto passivo per il compimento sia delle operazioni che conferiscono il diritto di detrazione, sia di quelle che non lo conferiscono, diviene decisiva, ai fini del calcolo della percentuale di detraibilità dell’iva sugli acquisti, la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo: a tal fine si deve tener conto del rapporto tra le operazioni accessorie e le attività imponibili di tale soggetto passivo e soltanto eventualmente dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’iva è dovuta (Corte giust. in causa C- 378/15, punto 49). 3.-Ne esce confermata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o non nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti, occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa, in quanto, ai fini dell’imposta, rileva il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi compiute, e, quindi, l’attività in concreto esercitata (Cass. 9 marzo 2016, n. 4613; 14 marzo 2014, n. 5970; 13 novembre 2013, n. 25475)».
Ed infatti, nel testo della pronuncia unionale richiamata, si afferma (paragrafi 46/50) che « 46. A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, della sesta direttiva, per stabilire il prorata di cui al paragrafo 1 di tale articolo, non si deve tener conto dell’importo della cifra d’affari relativa alle ‘ operazioni accessorie, immobiliari o finanziarie ‘. Orbene, quest’ultima nozione non è definita dalla sesta direttiva. 47. Tuttavia, la Corte ha già precisato che, se è pur vero che l’entità dei redditi provenienti dalle operazioni finanziarie ricomprese nella sfera di applicazione della sesta direttiva può costituire un indizio del fatto che tali operazioni non debbano essere considerate accessorie, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, di tale direttiva, la circostanza che redditi superiori a quelli prodotti dall’attività indicata come principale dall’impresa interessata provengano da tali operazioni non può, di per sé, escludere la qualificazione di queste ultime quali «operazioni accessorie» ai sensi della disposizione medesima (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2004,
EDM,C-77/01, EU:C:2004:243, punto 77). 48. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che un’attività economica deve essere qualificata come «accessoria», ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, della sesta direttiva qualora essa non costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessa rio dell’attività imponibile dell’impresa e non implichi un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’IVA è dovuta (v., in tal senso, sentenze dell’11 luglio 1996, Régie dauphinoise,C-306/94, EU:C:1996:290, punto 22; del 29 aprile 2004, EDM,C-77/01, EU:C:2004:243, punto 76, e del 29 ottobre 2009, NCC RAGIONE_SOCIALE, C-174/08, EU:C:2009:669, punto 31). 49. Pertanto, si deve constatare che la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come «accessorie», ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, seconda frase, della sesta direttiva, ma che si deve altresì tener conto, a tal fine, del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’IVA è dovuta. 50. Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’artic olo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera d), e l’articolo 19 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa e a una prassi nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: – di applicare alla totalità dei beni e dei servizi da esso acquistati un prorata di detrazione basato sulla cifra d’affari, senza prevedere un metodo di calcolo che sia fondato sulla natura e sulla destinazione effettiva di ciascun bene e servizio acquistato e che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese sostenute a ciascuna delle attività tassate e non tassate; e -di riferirsi alla composizione della sua cifra d’affari per l’individuazione delle operazioni qualificabili come «accessorie», a condizione che la valutazione condotta a tal fine tenga conto altresì del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’IVA è dovuta».
Le conclusioni sono utili, soprattutto con riguardo alla casistica che ha generato maggiori tensioni interpretative, ossia quella in materia di attività
finanziarie o immobiliari e sulla collocabilità delle stesse tra le operazioni accessorie e occasionali, per le quali la interpretazione erariale, ad esempio, ha ritenuto di individuare il discrimen tra abitualità ed occasionalità nella esistenza o meno di una organizzazione specifica e complessa finalizzata a gestire un impegno finanziario rilevante (cfr. Risoluzione n. 305/E del 21 luglio 2008; Risoluzione 41/E del 5 aprile 2011).
La giurisprudenza di legittimità invece, assume una maggiore coerenza, in tal senso confortata proprio dalla giurisprudenza unionale, laddove richiama, quale fil rouge delle sue decisioni, l’attività concretamente svolta, ciò che, ai fini della inclusione delle operazioni nel calcolo del pro rata generale, può manifestarsi nella organizzazione e negli ingenti ricavi conseguiti dall’attività di finanziamento (Cass. 29 marzo 2019, n. 8813); oppure, nel dichiarare non occasionale le operazioni di cessioni relative ad azioni o partecipazioni in una società, qualora accertata la loro inclusione nell’ambito di un’attività commerciale di acquisizione di titoli per realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione della società di cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni o che costituiscono il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile, avendo sempre riguardo all ‘ attività effettivamente svolta e non a quella previamente definita dall’atto costitutivo (Cass., 25 febbraio 2021, n. 5156). La elezione dell’attività effettivamente svolta dall’impresa, quale discrimen della esclusione dal prorata generale delle operazioni esenti è ribadita costantemente dalla giurisprudenza di legittimità (27 giugno 2022, n. 20558; cfr. anche 30 agosto 2022, n. 25485).
Ebbene, riallacciando ora le fila del discorso, e tornando all’esame della fattispecie ora al vaglio di questo Collegio, la circostanza, obiettiva e accertata anche in sede di legittimità, che per un decennio l’attività di finanziamento e prestiti eseguiti nei confronti della società controllata RAGIONE_SOCIALE abbia costituito in via esclusiva l’attività concretamente esercitata dalla ricorrente, non può mettere in discussione che quelle operazioni, esenti ai sensi dell’art. 10, n. 1 e 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, pur sterilizzate ai fini Iva, dovessero comunque concorrere al calcolo del pro rata generale, con l’effetto che, corrispondendo a zero l’ammontare del denominatore ai
fini del calcolo del pro-rata, alcuna detrazione poteva spettare alla contribuente per l’anno d’imposta 2001
Il ricorso va in conclusione rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 14.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 11 febbraio 2025