Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12468 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12468 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6980/2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
P.E.C.: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– controricorrente –
e nei confronti di
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della SICILIA, n. 7953/2023, pubblicata in data 2 ottobre 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 17197 del 26 giugno 2019, ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado avente ad oggetto la cartella n. NUMERO_CARTA ruoli ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per Iva ed altre imposte, relative all’anno d’imposta 2008.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto l’appello ammissibile ed hanno affermato che:
-) anche se i giudici di primo grado avevano erroneamente qualificato l’avviso bonario per il recupero delle pretese imposte come avviso di accertamento, lo stesso era comunque stato presentato nei termini di legge e, pertanto, non era possibile ravvisare la decadenza o la prescrizione dell’azionata pretesa;
-) la censura relativa al difetto di motivazione era infondata in quanto il giudice di primo grado aveva motivato la decisione sulla base di quanto dedotto dall’Ufficio nella memoria illustrativa depositata;
-) era infondata la censura relativa all’illegittimità della cartella per avere incluso l’attività di intermediazione finanziaria svolta nell’anno 2007 nel calcolo della percentuale detraibile in relazione al compimento
di operazioni esenti (cosiddetto «pro rata») in quanto non era stata provata, neanche con la produzione delle relative fatture, l’asserita natura occasionale di tale attività ed, inoltre, tale natura occasionale risultava smentita dal dato relativo al volume d’affari prodotto, che non era stato contestato dal contribuente;
-) l ‘avviso bonario per il recupero delle pretese imposte non era stato impugnato dal contribuente, che aveva prestato acquiescenza alla pretesa dell’Ufficio domandando la rateazione dell’imposta .
NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Con proposta ex art. 380 bis , comma 1, cod. proc. civ., debitamente comunicata, il consigliere delegato ha concluso per la manifesta inammissibilità del ricorso e il ricorrente ha tempestivamente presentato rituale istanza di decisione del ricorso corredata da nuova procura speciale, ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c.
NOME COGNOME ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 5, e 19bis del d.P.R. n. 633/1972, in tema di pro-rata di detraibilità. Il giudice di rinvio aveva erroneamente applicato le norme indicate anche alla luce dei principi di diritto dettati sia dalla Corte di Cassazione, che dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Difatti il medesimo giudicante, in ragione dell’unico elemento costituito dal volume d’affari del contribuente, aveva ritenuto applicabile al caso in esame il calcolo del prorata di detraibilità attesa la natura non occasionale dell’attività di intermediazione finanziaria svolta dal Rapisarda nell’anno 200 7.
1.1 Il motivo, diversamente da quanto opinato dalla difesa della parte ricorrente e conformemente alla proposta ex art. 380 bis cod. proc.
civ., è inammissibile perché, oltre a censurare un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata (pag. 4), laddove i giudici di secondo grado hanno affermato che « Nel caso di specie, pertanto, il ricorrente, avrebbe dovuto provare, com’era suo onere, ma non ha provato, anche con la produzione delle relative fatture, che, nell’anno 2007, l’attività di intermediazione finanziaria che dice meramente ‘occasionale’ e l’attività di mediazione immobiliare asseritamente ‘principale’ , si erano prestate per gli stessi soggetti e, per ciascun soggetto, in relazione alla medesima operazione, prova che non si è data, neppure con riferimento alle tre diverse operazioni che nel ricorso introduttivo si dicono di rilevante entità e per le quali si afferma che alla attività di mediazione, si era accompagnata anche quella di intermediazione finanziaria. La asserita natura occasionale dell’attività di intermediazione finanziaria, è, peraltro, smentita dal dato relativo volume d’affari prodotto ed infatti, nell’anno 2007, come documentato in atti e non contestato, il COGNOME ebbe a produrre un volume d’af fari di complessivi di € 45.649,00, di cui € 5.149,00 da imputare alle operazioni di mediazione immobiliare e, per il resto, di € 40.999,00, alle anzidette operazioni di intermediazione finanziaria, volume d’affari, ques to, che, pari ad otto volte circa quello prodotto dall’attività di mediazione, fa apparire, semmai, quale attività principale, quella di intermediazione finanziaria e non quella di mediazione immobiliare » e che sostanzialmente il contribuente non aveva dato la prova, il cui onere era a suo carico, del collegamento tra le prestazioni di intermediazione finanziaria e le prestazioni di intermediazione immobiliare, collegamento che poteva farle qualificare come accessorie ove le stesse fossero state qualificate e provate come svolte nell’interesse del medesimo cliente; ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che, in tema, richiamando la risoluzione ministeriale n. 230/E del 15 luglio 2002 ( che ha precisato che affinché
si delinei un rapporto di accessorietà tra due prestazioni non è sufficiente una generica utilità della prestazione accessoria all’attività principale, unitariamente considerata, ma la prestazione accessoria deve formare un tutt’uno con l’operazione principale e che sono considerate accessorie solo le operazioni poste in essere dal medesimo soggetto in necessaria connessione con l’operazione principale alla quale, quindi, accedono e che hanno, di norma, la funzione di integrare, completare o rendere possibile la detta prestazione o cessione principale ), ha ritenuto tale interpretazione conforme al principio generale previsto dall’art. 2, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui ciascuna operazione in tema di IVA deve essere considerata come autonoma e indipendente, con la sola eccezione delle operazioni accessorie, caratterizzate dalla concomitanza di operazioni diverse, ma accomunate da un rapporto di dipendenza dell’una rispetto all’altra (cfr. Cass., 20 dicembre 2021, n. 40725, in motivazione).
1.2 Sul punto è bene precisare che l’art. 19, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che ai contribuenti che esercitino sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione, sia attività con operazioni esenti, il diritto alla detrazione dell’imposta è applicabile in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni. La percentuale di detrazione si calcola a termini dell’art. 19 bis , comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione nel periodo di imposta e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti del medesimo periodo. Nel calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma precedente non si tiene, invece, conto delle operazioni di cui all’art. 19 bis , comma 2, d.P.R. citato, tra le quali vi sono le operazioni «accessorie alle operazioni imponibili», il cui ammontare viene sterilizzato (e non computato) ai fini del calcolo della suddetta percentuale.
A questo riguardo, come già detto, si ritiene che costituiscano proventi di un’attività strumentale ed accessoria, tale da non concorrere al calcolo della percentuale di detraibilità IVA pro rata, quelli derivanti da una attività svolta in modo assolutamente occasionale e, quindi, estranea a quella propria di impresa del contribuente, caratterizzate, altresì, dalla concomitanza di operazioni diverse, ma accomunate da un rapporto di dipendenza dell’una rispetto all’altra (Cass., 20 dicembre 2021, n. 40725, in motivazione), la cui occasionalità va accertata in concreto e non sulla base delle mere previsioni statuarie (Cass., 14 marzo 2013, n. 5970), secondo parametri di regolarità causale rispetto al fine produttivo (Cass., 13 novembre 2013, n. 25475; Cass., 7 maggio 2008, n. 11085; Cass., 28 maggio 2001, n. 7214).
La natura dell’attività (occasionale o caratteristica) va, poi, stabilita, ai fini della ricomprensione nel calcolo del «pro rata», avuto riguardo all’attività svolta in modo prevalente dall’impresa, con particolare riguardo all’ammontare complessivo dei ricavi derivanti dall’una, rispetto a quelli provenienti dall’altra attività (Cass., 29 marzo 2019, n. 8813; Cass., 16 marzo 2018, n. 6486; Cass., 31 gennaio 2019, n. 2902; Cass, 24 marzo 2017, n. 7654; Cass., 9 marzo 2016, n. 4613; Cass., 12 marzo 2008, n. 6574).
Come già precisato da questa Corte « In tema di IVA, costituiscono proventi di un’attività strumentale ed accessoria, tale da non concorrere al calcolo della percentuale di detraibilità dell’IVA “pro rata”, quelli derivanti da un’attività assolutamente episodica e, quindi, estranea a quella propria dell’impresa contribuente, dovendosi accertare detta occasionalità in concreto e non in base alle mere previsioni statuarie, avuto riguardo all’attività svolta in via prevalente dall’impresa, con particolare riferimento all’ammontare complessivo dei ricavi derivanti dall’una rispetto a quelli provenienti dall’altra attività » (Cass., 25 giugno 2020, n. 12689).
1.3 Di talché, i giudici di secondo grado hanno ritenuto, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede e conformemente ai principi suesposti, che, nel caso in esame, il contribuente non aveva dato la prova del collegamento tra le prestazioni di intermediazione finanziaria e le prestazioni di intermediazione immobiliare e della natura accessoria delle prime prestazioni rispetto alle seconde, tenuto conto anche (ma non solo) del dato quantitativo costituito dal volume di affari delle prestazioni di intermediazione finanziaria rispetto a quelle di intermediazione immobiliare.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’o messo esame della circostanza, emersa sin dal primo grado di giudizio, relativa allo svolgimento dell’attività di intermediazione finanziaria da parte del Sig. COGNOME solo nell’anno 2007, non avendo mai costituito tale attività finanziaria l’oggetto della sua professione principale.
2.1 Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, infatti, lo svolgimento dell’attività di intermediazione finanziaria (sia pure svolta solo nell’anno 2007) è stata presa in considerazione dai giudici di secondo grado, sicché non sussiste il denunciato omesso esame.
Inoltre, in relazione al denunciato vizio di omesso esame di fatto decisivo osta alla sua proposizione il principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ., non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 20 marzo 2024, n. 7442; Cass., 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di lite, liquidate come da dispositivo; inoltre, per effetto di quanto previsto dal novellato art. 380 bis, comma 3, c.p.c., stante la conformità tra la proposta (opposta) e la presente decisione, il ricorrente va condannato al pagamento , in favore dell’Agenzia delle Entrate, di un ulteriore importo, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c .p.c. e in favore della cassa delle ammende, di un ulteriore importo, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. (cfr. anche Cass., Sez. U, 27 settembre 2023, n. n. 27433).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente , al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 5.800,00 per compenso professionale, oltre le spese prenotate a debito e dell’ulteriore importo di euro 2.900,00, ex art. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, dell’importo di euro 1.450,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.