Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 929 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 929 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
Oggetto: Estinzione dell’obbligazione tributaria -Onere della prova -Principio di non contestazione -Ambito di applicazione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7346/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
PALERMO CARMELA E PETRASSI RINALDO
– intimati – avverso la sentenza della C.t.r. di Catanzaro n. 2269/2016, depositata il 19.9.2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza, i coniugi COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME (quest’ultimo quale coobbligato in solido per la presentazione della dichiarazione dei redditi in forma congiunta) impugnavano la cartella di pagamento, avente ad oggetto omessi versamenti Irpef per l’anno 1993 e sanzioni per tardivo versamento di contributi al Servizio sanitario nazionale. I contribuenti eccepivano l’intervenuta estinzione dell’obbligazione tributaria, sostenendo di aver effett uato il pagamento di tutte le somme dovute a titolo di Irpef per l’anno 1993, ma di non poter fornire la prova documentale dell’adempimento, poiché le relative ricevute erano contenute in una borsetta della signora COGNOME che, in data 1.2.1997, era stata rubata da ignoti ed era stata, poi, ritrovata priva dei documenti.
In primo grado, l’impugnazione veniva rigettata, attesa la mancata prova documentale del pagamento dei tributi.
Proposto appello dai contribuenti, la decisione di primo grado veniva parzialmente riformata dalla C.t.r., la quale riteneva che il dedotto pagamento dell’Irpef, non avendo formato oggetto di specifica contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate, costituitasi in primo grado, e risultando confortato dalla produzione di copia della denuncia della rapina, recante l’ espresso riferimento alla ricevuta di versamento dell’Irpef relativa all’anno 1993, e del verbale di restituzione della borsa priva dei documenti, doveva considerarsi incontestato e pacifico tra le parti, ciò comportando l’estinzione del credito tributario. Veniva, invece, confermata la decisione di primo grado, con riferimento alle sanzioni per il tardivo pagamento del contributo al Servizio sanitario nazionale.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’ Agenzia delle entrate, sulla base di due motivi. Rimanevano intimati i contribuenti.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, l ‘Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché la C.t.r., erroneamente applicando il principio della non contestazione, aveva ritenuto pacifico l’avvenuto pagamento del tributo e, conseguentemente, estinta l’obbligazione tributaria, quando, invece, la non contestazione poteva formarsi solo con riferimento ai fatti affermati dai contribuenti (quali, nel caso di specie, il furto della borsetta ed il mancato rinvenimento delle ricevute di pagamento) e no n all’effetto giuridico che da essi i contribuenti pretendevano di trarne (ossia l’avvenuto pagamento) , implicante un’attività di giudizio.
Con il secondo motivo di doglianza, l ‘Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., poiché la C.t.r., erroneamente applicando il principio dell’onere della prova, aveva in sostanza onerato l’Ufficio d i dimostrare un fatto negativo, e cioè che nella borsa non vi fossero le ricevute dei versamenti in contestazione, anziché pretendere che fosse il debitore a dare prova dell’adempimento.
I due motivi di doglianza, involgendo sostanzialmente le stesse questioni ed apparendo intimamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Il processo tributario ha una struttura necessariamente impugnatoria, scaturendo dalla proposizione di un ricorso avverso un atto adottato dall’amministrazione finanziaria. Tale struttura si ripercuote sui principi generali, anche in ordine alla ripartizione dell’onere della prova, che, dettati nell’ambito del processo civile, trovano applicazione anche in sede tributaria, ma che in tale ottica vanno riletti.
Nel processo tributario, l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi devono
essere già allegati. Essa ha, innanzitutto, un obbligo di motivazione e di prova dei presupposti dei suoi provvedimenti, ma è il ricorso che attualizza, nel processo, l’onere di prova. I presupposti di fatto dell’atto impugnato, contestati nel ricorso, sono fatti controversi, che hanno bisogno di prova; i fatti non contestati non hanno bisogno di prova. Tuttavia, non sussiste, per l’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo.
Il ricorso può contenere anche l’allegazione di fatti impeditivi, estintivi o modificativi, il cui onere della prova è a carico del ricorrente. In tal caso l’onere di contestazione è a carico dell’amministrazione che, nel costituirsi, deve prendere posizione sui motivi del ricorso. La mancata contestazione opera come relevatio ab onere probandi per il ricorrente.
Sicché, da un lato, i fatti e i profili non contestati con il ricorso e, dall’altro, i fatti impeditivi o estintivi ivi dedotti (o anche i fatti secondari), non contestati dall’ufficio in sede di controdeduzioni, divengono pacifici e non possono costituire oggetto di negazione.
Nei processi di rimborso, i ruoli sono invertiti. È il contribuente che deve allegare il fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio ed è onerato della prova. La mancata contestazione (da parte dell’amministrazione) rende pacifici i fatti costitutivi non contestati e solleva il ricorrente dall’onere di provarli.
Tali principi sono stati costantemente affermati dalla Suprema Corte, secondo cui, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. n. 16984/2023, Rv. 66825801). Ciò in quanto, nel processo tributario, il principio di non
contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non può restringere il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda, né può aggirare il principio di sindacabilità limitata degli atti sottostanti adottati dall’Amministrazione finanziaria, autonomamente e obbligatoriamente impugnabili davanti al giudice tributario entro il termine di 60 giorni ex artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 22616/2024, Rv. 67225601).
7. Quanto, poi, in particolare all’ambito di applicazione del principio di non contestazione, sulla base del dato testuale dell ‘art. 115, così come novellato dalla l. n.69 del 2009, può dirsi che: lo stesso non opera nelle cause contumaciali (riferendosi alla ‘parte costituita’); non può essere aggirato da una contestazione generica, essendo invece necessaria una contestazione circostanziata che introduca elementi fattuali idonei a contrastare nel merito quanto asserito da controparte (riferendosi a fatti ‘ non specificamente contestati’); riguarda non solo l’attore, ma anche il convenuto ed i terzi (riferendosi alla ‘parte’); è esteso non solo ai fatti principali, ma anche ai fatti secondari (non essendovi nella norma traccia della distinzione); non si applica con riferimento ai comportamenti tenuti nella fase pregiudiziale; non si applica, infine, ai contratti in cui e richiesta la prova scritta ad substantiam , mentre si applica nel caso di prova scritta ad probationem , relativamente ai quali è infatti anche ammesso il giuramento decisorio ex art. 2739 c.c..
Questa Corte di legittimità ha affermato che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. deve avere ad oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. n. 6172/2020, Rv. 65715401), né la risoluzione di questioni di diritto (Cass. n. 2844/2024, Rv. 67007601); inoltre esso è applicabile soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte
(Cass. n. 4681/2023, Rv. 66680801), trovando applicazione solo ai fatti od alle situazioni riferibili alla parte destinataria dell’allegazione in quanto riferibili alla sua sfera di controllo e conoscenza, e non invece ai fatti non conosciuti da controparte.
Nel caso in esame, la C.t.r. non ha fatto corretta applicazione ai suesposti principi, poiché, nel ritenere pacifico, in quanto incontestato, il fatto dedotto dai contribuenti dell’avvenuto pagamento dell’Irpef, ha imposto dell’ amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato.
Inoltre, ha applicato il principio della non contestazione anche con riferimento a fatti storici non noti all’ amministrazione finanziaria ed a conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione dei documenti. Ed invero, come osservato nel ricorso, i contribuenti non hanno dato diretta dimostrazione dell’avvenuto pagamento del tributo, avendo dedotto di non essere più in possesso delle relative ricevute, poiché queste erano contenute in una borsetta, rubata da ignoti e poi ritrovata priva dei documenti.
Orbene, tali circostanze, ed in particolare la presenza delle ricevute del pagamento all’interno della borsa oggetto di furto, non costituiscono fatti storici noti e, comunque, nella disponibilità conoscitiva all’ amministrazione finanziaria. Su tali fatti, pertanto, non può ritenersi applicabile il principio di non contestazione.
Quanto, poi, alla idoneità di tali circostanze di dare prova, indirettamente, del fatto storico del pagamento del debito tributario, ciò attiene alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione dei documenti, anch’esse estranee all’ambito di applicazione del principio di non contestazione.
I motivi di doglianza vanno, pertanto, accolti e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per l’ulteriore esame dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di Catanzaro, in diversa composizione, per l’ ulteriore esame dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, secondo quanto esposto in parte motiva, e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione