Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7704 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3820/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente – contro
AVVISO DI ACCERTAMENTO
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Sentenza n. 6447/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Campania, Sezione 11^, pronunciata il 13.10.2023, depositata il 20.11.2023; Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME
Napolitano nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025;
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Napoli, in data 22/02/2021 notificò alla ricorrente società (d’ora in poi, anche ‘la contribuente’ ) l’Avviso di accertamento n. TF503AB00455/2021, avente ad oggetto IRES, IRAP e IVA per l’anno d’imposta 2016.
L’accertamento fa ceva richiamo, a sua volta, al Processo Verbale di Constatazione redatto in data 14/03/2019 da funzionari del medesimo ufficio, a conclusione di una verifica fiscale generale per l’anno di imposta 2016.
Detto processo verbale contestava l’omessa fatturazione e contabilizzazione di ricavi per € 202.999,13 (oltre IVA), scaturenti da pretese accertate differenze tra i quantitativi di merce in uscita dal magazzino ed i quantitativi di merce fatturata e venduta.
In sostanza, secondo il p.v.c. ‘le differenze dei quantitativi in uscita, che non trovano riscontro nelle fatture emesse, devono intendersi venduti in omissione di fatturazione’ , atteso che la parte non avrebbe giustificato tali differenze con episodi di furti, ammanchi, danneggiamenti, etc.
Tali argomentazioni contenute nel p.v.c. vennero pedissequamente richiamate nell’avviso di accertamento, con il quale, pertanto, l’Ufficio recuperò a tassazione l’importo di € 202.999,13, sia ai fini IRES, sia ai fini IRAP, sia ai fini IVA per € 31.771,75.
Per altro verso, il medesimo p.v.c. riportò l’esito degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza su uno dei fornitori, la ‘RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione’, dai quali sarebbe emerso un fenomeno fraudolento di falsa fatturazione. Sarebbe stato accertato, infatti, che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe utilizzato fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dal suddetto fornitore, sempre nell’annualità 2016. Sotto tale profilo, il p.v.c. contestava n. 5 fatture riferite a cessione di birra a marchio RAGIONE_SOCIALE per un imponibile complessivo di € 94.818,24 oltre IVA.
Il p.v.c. imputava alla suddetta società fornitrice i caratteri tipici di un ‘missing trade’ , identificabili in una serie di irregolarità contabili (omessa conservazione dei libri e scritture contabili, omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e bilanci), amministrative (mancanza di autorizzazioni, di sede legale e operativa) o strutturali (mancanza di personale, di depositi o locali).
Per effetto di tali accertamenti contenuti nel p.v.c., l’avviso di accertamento disconobbe la deducibilità dei componenti negativi conseguenti alle suddette fatture di acquisto, per un totale di € 94.818,00 oltre IVA.
Per effetto delle suddette due contestazioni mosse nel p.v.c. e richiamate nell’avviso di accertamento, l’Ufficio accert ò per l’annualità 2016 un maggior reddito d’impresa pari a complessivi € 297.817,00, con determinazione di maggiori imposte per € 81.900,00 (per IRES, IRAP e IVA) e sanzioni per € 85.443,00.
Impugnato l’avviso di accertamento in primo grado, la C.G.T. di primo grado di Napoli respinse il ricorso, con sentenza confermata in appello.
Avverso la sentenza d’appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Ricevuta la proposta di decisione accelerata, la contribuente ha chiesto la decisione del giudizio nelle forme ordinarie.
La causa è stata chiamata all’odierna adunanza camerale, in vista della quale la contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con l’unico motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 110, comma 8, Tuir’ , la contribuente si duole che con un precedente avviso di accertamento l’Ufficio aveva proceduto a recuperare a tassazione maggiori ricavi per euro 160.867,64 sulla base di una presunta sottovalutazione delle scorte di magazzino al 31/12/2015 e di una errata applicazione dell’iva per l’anno d’imposta 2015, rideterminando così le rimanenze finali per il 2015 in euro 405.867,64 (245.000 dichiarati + 160.867,64 recuperati).
Tale importo avrebbe dovuto costituire il valore delle giacenze iniziali dell’esercizio 2016 , in applicazione del principio di continuità dei valori di bilancio , di cui all’art. 110, comma 8, Tuir.
Senonché, il valore delle rimanenze finali di magazzino accertato dai verificatori al 31/12/2015 non sarebbe stato coincidente con quello delle giacenze iniziali di magazzino all’1/1/2016 considerato nell’avviso di accertamento per cui è causa.
Secondo la contribuente, il mancato rispetto del principio di continuità da parte dell’avviso di accertamento impugnato in prime cure sarebbe stato sostanzialmente ammesso dall’Agenzia, che sia nelle difese di
primo grado che in quelle di appello aveva controdedotto che non era tenuta ad appostare come giacenze iniziali del 2016 lo stesso valore stimato delle rimanenze del 2015 perché l’avviso di accertamento per il 2015 era stato oggetto di impugnazione ed era ancora sub iudice . Orbene, al motivo di appello che aveva dedotto la violazione del principio di continuità dei valori del magazzino rettificati dall’ amministrazione, la C.G.T. avrebbe dato una risposta in violazione dell’art. 110, comma 8, Tuir, e comunque priva di qualsiasi connessione logica e giuridica con le deduzioni delle parti, oltre che ‘del tutto incomprensibile’ .
1.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha affermato il principio secondo il quale in tema di determinazione del reddito d’impresa, trova applicazione il principio della cd. continuità di bilancio sancito dall’art. 92 del d.P.R. n. 917 del 1986, con la conseguenza che le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali di quello successivo, fermo restando, peraltro, il potere dell’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di rideterminare il valore delle rimanenze medesime (Cass., Sez. T, Ordinanza n. 22932 del 26/09/2018, Rv. 650685 – 01). Il principio di continuità riguarda anche gli accertamenti dell’amministrazione, che qualora proceda alla rettifica dei valori di magazzino per due consecutivi periodi d’imposta, deve attribuire alle rimanenze finali di un’annualità gli stessi valori delle giacenze iniziali del periodo successivo.
Orbene, dal testo della sentenza impugnata non si comprende se e come tale principio, con riferimento ai valori di magazzino, sia stato rispettato.
Il passo trascritto della sentenza d’appello , in cui questa motiva il rigetto del motivo d’appello fondato sulla violazione del principio di
continuità con riferimento ai valori del magazzino, è obiettivamente incomprensibile.
Si impone, pertanto, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, affinché, in diversa composizione, questa verifichi se l’Agenzia delle Entrate, rettificando i redditi imponibili della società degli anni 2015 e 2016, abbia attribuito alle rimanenze di magazzino alla data del 31/12/2015 lo stesso valore delle giacenze iniziali di magazzino alla data dell’1/1/2016.
2.Il giudice del rinvio provvederà a regolare anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025.