Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25757 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25757 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
IRES, IRAP, RICAVI PRINCIPIO DI COMPETENZA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19174/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione e concordato preventivo, in persona del liquidatore e RAGIONE_SOCIALE rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO in virtù di mandato in calce al controricorso, elettivamente domiciliato presso lo RAGIONE_SOCIALE Piper in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della Toscana n. 64/29/2016 depositata il 25/01/2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
delll’11 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con l’atto di accertamento NUMERO_DOCUMENTO notificato alla RAGIONE_SOCIALE in relazione all’anno di imposta 2006 l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE recuperava a tassazione un maggior reddito di impresa per euro 182.281,36 con conseguente maggiore Ires per
euro 60.153,00 maggiore Irap di euro 7.747,00 e irrogava le sanzioni collegate. In particolare l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contestava alla società che per l’anno in questione le voci di bilancio risultavano sovrastimate relativamente al valore della produzione patrimonializzato, non definite circa il valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze RAGIONE_SOCIALE opere in corso di lavorazione, sottostimate nella determinazione dei ricavi e tanto perché una serie di contratti, qualificati come cessioni ovvero vendite di beni mobili (si trattava di macchinari per il taglio dei marmi prodotti dalla società), erano da qualificarsi piuttosto come appalti di servizi e i relativi ricavi dovevano essere imputati all’anno in cui la prestazione di fare oggetto principale del contratto era stata completata, ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. b), d.P.R. 22/12/1986, n. 917, e comunque al momento della effettiva consegna e non al momento in cui la società assumeva di avere messo a disposizione degli acquirenti i macchinari ma senza averli trasportati e montati e senza avere ancora fatturato il corrispettivo della cessione.
RAGIONE_SOCIALE impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara contestando gli addebiti mossi dall’Ufficio circa la regolare tenuta della contabilità, ribadendo che si trattava di vendita di beni mobili e non di contratti di appalto e che la prestazione principale si era concretizzata nel medesimo anno al quale erano stati imputati i ricavi, con legittima applicazione dell’art. 109, comma 2, lett. a), d.P.R. 917/1986.
2.1. La CTP di Massa Carrara, con la sentenza n. 250/02/12 del 04/07/2012, accoglieva il ricorso annullando l’accertamento e compensando le spese tra le parti. Il giudice di primo grado qualificava la prestazione principale dei contratti in questione come un dare piuttosto che come un facere e riteneva che la consegna si fosse concretizzata al momento della messa a disposizione dei beni
agli acquirenti, con conseguente legittimità della imputazione operata dalla società contribuente.
L’RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza innanzi alla CTR della Toscana, insistendo nella legittimità dell’accertamento e criticando la sentenza impugnata con riguardo alla qualificazione dei contratti, con riguardo al momento di perfezionamento della consegna e ai criteri applicati per la imputazione dei ricavi; la RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
3.1. La CTR della Toscana, con la sentenza n. 64/29/2016 depositata il 25/01/2016 ha respinto l’impugnazione e ha compensato le spese di giudizio.
Avverso la pronuncia della CTR della Toscana l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione e concordato preventivo, si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione e, di seguito, ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis 1, cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio dell’11/09/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso l’RAGIONE_SOCIALE deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31/12/1992 n. 546 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.. Secondo l’Ufficio ricorrente la sentenza non avrebbe valutato se le modalità attuate per la riferita consegna dalla RAGIONE_SOCIALE, con la messa a disposizione del bene degli acquirenti presso un magazzino della stessa società ricorrente, valessero ad operare il passaggio di disponibilità ai sensi dell’art. 109 TUIR, tanto più che solo nell’anno successivo la società aveva fatturato i relativi ricavi e, per questa via, la sentenza impugnata non avrebbe valutato la
documentazione offerta a supporto RAGIONE_SOCIALE contrapposte prospettazioni.
1.1. Il motivo è infondato. La motivazione della sentenza riferisce RAGIONE_SOCIALE posizioni contrapposte RAGIONE_SOCIALE parti, individua la rilevanza di ciascuna ai fini della corretta contabilizzazione dei ricavi e prende specifica posizione sia in ordine alla qualificazione attribuita ai contratti conclusi dalla società contribuente con gli acquirenti dei macchinari, ritenendo trattarsi di cessioni di beni mobili, sia in ordine alla disposizione normativa ritenuta applicabile, ritenendo di rilievo l’articolo 109, comma 2, lett. a), TUIR, e, infine, individua il momento della consegna -rilevante per l’imputazione dei ricavi -nella messa a disposizione dei beni presso i magazzini della società venditrice e, così, conclude per l’accoglimento della tesi della odierna controricorrente. Non si tratta, allora, di una motivazione apparente ma di una motivazione che risponde ai canoni che, per la giurisprudenza di questa Corte, valgono ad escludere il dedotto vizio di nullità della pronuncia. In tal senso assume rilievo il consolidato orientamento secondo il quale: «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..» (Cass. 25.9.2018, n. 22598).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 92, 93 comma 6, e 109 comma 2, lettere a) e b), d.P.R. 917/1986 e la violazione del principio di competenza in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Secondo l’RAGIONE_SOCIALE la sentenza impugnata avrebbe errato nel qualificare i contratti all’origine dell’accertamento quali mere cessioni di beni, trattandosi invece di prestazioni di servizi o comunque contratti con causa mista nei quali sarebbe prevalente la prestazione di facere (e quindi la realizzazione e il montaggio del macchinario presso la sede dell’acquirente), e così avrebbe applicato l’art. 109, comma 2, lett. a), TUIR quanto alla imputazione dei ricavi in luogo della norma applicabile e cioè dell’art. 109, comma 2, lett. b) TUIR.
2.1. Il motivo è infondato. La motivazione della sentenza, anche previo rinvio alla prospettazione della società contribuente e alle argomentazioni spese dalla pronuncia di primo grado, fa discendere la qualificazione del contratto quale cessione di bene mobile dalla prevalenza della prestazione di dare, esplicatasi in ordine a macchinari che, pur dotati di specificità, rappresentano un prodotto seriale. Secondo la motivazione il prezzo della cessione era stabilito essenzialmente in ragione del valore del bene prodotto e le prestazioni successive, di trasporto e montaggio, costituiscono prestazioni accessorie a quella principale. Le circostanze valorizzate dalla motivazione consentono di qualificare i contratti in questione come vendite di beni mobili piuttosto che come appalti di servizi e, sul punto, la sentenza è coerente con i principi affermati in materia da questa Corte. In proposito vale citare Cass. 12/03/2018, n. 5935: «ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l’appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o
meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l’effettiva finalità del contratto (vendita)» e la più risalente, ma del tutto pertinente, pronuncia Cass. ss. uu. 17/02/1983, n. 1196: «con riguardo al contratto avente ad oggetto la costruzione ed installazione di un impianto, la configurabilità di una vendita di cosa futura, anziché di un appalto, ove le parti abbiano considerato l’attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire, va riconosciuta non soltanto quando detto impianto configuri un prodotto strettamente di serie del venditore, ma anche quando, pur rientrando nella sua normale attività e non richiedendo modifiche della sua organizzazione imprenditoriale, debba presentare caratteristiche e qualità specifiche, con riguardo al compratore, ed espressamente promesse dal venditore medesimo, sì da giustificare, in caso di mancanza, la risoluzione a norma dell’art. 1497 cod. civ.». Dalla applicazione di questi principi discende che la sentenza impugnata non ha errato nel qualificare i contratti come vendita di cose mobili e nel ritenere non applicabile l’art. 109, comma 2, lett. b), Tuir per definire i criteri di imputazione dei ricavi.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 109, comma 2, lettera a), del d.P.R. 917/1986 e la violazione del principio di competenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Secondo l’Amministrazione ricorrente, anche accedendosi a una qualificazione dei contratti all’origine dell’accertamento quali vendite di cose mobili e anche nell’ipotesi di applicazione dell’art. 109, comma 2, lettera a), TUIR, la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che la consegna
dei macchinari si fosse concretizzata nell’anno di imposta indicato dalla società contribuente con la mera messa a disposizione dei beni e prima che del trasporto e del montaggio degli stessi presso gli acquirenti.
3.1. Il motivo è fondato. Una volta qualificati i contratti in questione come vendite di beni mobili, o comunque contratti con causa mista nei quali assume rilievo del tutto prevalente la prestazione di dare, la regola applicabile per determinare i criteri temporali di imputazione dei ricavi è dettata dall’art. 109, comma 2, lett. a), TUIR, disposizione che recita: «ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza: a) i corrispettivi RAGIONE_SOCIALE cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale». Il momento decisivo per determinare l’esercizio al quale vanno imputati i ricavi e cioè i corrispettivi della vendita di beni mobili è, dunque, quello in cui i beni mobili sono consegnati o spediti. La sentenza impugnata ha inteso quale momento della consegna quello in cui, come da verbali allegati in atti e comunque descritti in modo conforme dalle parti, la parte venditrice avvisava la parte acquirente della avvenuta produzione del macchinario e della sua messa a disposizione presso un magazzino della RAGIONE_SOCIALE, e invitava la controparte ad organizzare il ritiro della merce nei primi mesi dell’anno successivo. Ebbene, la motivazione della sentenza nel qualificare quale consegna la descritta attività ha errato perché la consegna, ai fini della applicazione dell’art. 109, comma 2, lett. a), TUIR, andava rettamente individuata nel momento in cui i beni uscivano dalla materiale disponibilità del venditore e venivano trasportati e montati presso la sede dell’acquirente in ragione di prestazioni a
carico del venditore. La disposizione tributaria intende quale consegna il trasferimento della disponibilità materiale dei beni e ad esso collega la prescrizione circa l’imputazione dei ricavi, anche nell’ipotesi in cui questa trasmissione sia successiva rispetto al trasferimento della proprietà dei beni eventualmente intervenuta in ragione del principio del consenso traslativo. In proposito vale citare la sentenza di questa Corte Cass. 11/09/2001, n. 11604 che afferma il principio di diritto secondo il quale «in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il valore dei beni mobili venduti nel corso del periodo di imposta considerato, ma consegnati all’acquirente nell’anno successivo, deve essere incluso, ai sensi dell’art. 75, comma secondo, lett. a) d.P.R. n. 917 del 1986, tra le rimanenze finali del venditore» e che nella motivazione chiarisce come ai fini della imputazione dei ricavi rilevi il momento della consegna quale materiale trasmissione della disponibilità della cosa e come la regola dettata dalla disposizione tributaria sia derogatoria e prevalente sulla alternativa costituita dalla generale e indiscriminata applicazione del principio consensualistico della vendita. Ad avviso del RAGIONE_SOCIALE la motivazione della sentenza impugnata è, pertanto, incorsa in errore nell’annullare l’accertamento sul presupposto che la consegna dei beni si fosse concretizzata nell’anno indicato dalla società contribuente piuttosto che in quello rettamente individuato dall’Ufficio impositore.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato quanto al primo motivo e al secondo motivo e va accolto quanto al terzo motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti così definiti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria competente, in diversa composizione cui va demandata anche la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al terzo motivo e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 settembre