Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14262 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14262 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17801/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM. TRIB. REG. SICILIA n. 2454/2015, depositata il 9 giugno 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Cons. COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. RJP0302013752007 l’Agenzia delle Entrate contestava la violazione del principio di competenza di cui all’allora vigente art. 75 TUIR (ora trasposto nell’art. 109) in relazione a varie operazioni come premi, sconti, abbuoni e resi di competenza del periodo di imposta 2001, considerate tuttavia dalla contribuente di competenza dell’esercizio successivo.
L’atto impositivo era impugnato dalla parte privata dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, che -con sentenza n. 266/2011 -annullava, in parziale accoglimento del ricorso, l’avviso di accertamento limitatamente all’irrogazione delle sanzioni, confermando nel resto la pretesa tributaria.
Avverso tale decisione la parte contribuente opponeva gravame e l’Agenzia delle Entrate proponeva appello incidentale. La Commissione tributaria regionale della Sicilia -con sentenza n. 2454/2015 accoglieva l’appello del la contribuente e respingeva il gravame incidentale della difesa erariale, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la suddetta sentenza di appello, affidandolo ad un unico motivo.
Ha spiegato controricorso la contribuente socRAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO
Con l’unico motivo di ricorso proposto l’Agenzia delle Entrate deduce ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 TUIR (d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), vigente ratione temporis (ora art. 109), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.’.
Con la formulata censura la difesa e rariale lamenta l’erronea interpretazione della norma di cui al citato art. 75 d.P.R. n. 917/1986 fornita dai giudici del gravame. In particolare, questi ultimi avrebbero ritenuto illegittimamente che alla data di chiusura
dell’esercizio di competenza (2001) non si fossero verificati in modo certo e obiettivo gli elementi necessari alla quantificazione dei ricavi in contestazione (essendo liquidati dal fornitore solo nell’anno successivo). Nella prospettazione del la ricorrente, quindi, sarebbe necessario che i requisiti previsti dalla norma in discorso (certezza e obiettiva determinabilità) si verifichino entro il termine dell’esercizio, pur potendo, tuttavia, essere conosciuti in un momento successivo.
Il motivo non è fondato e deve, perciò, essere respinto.
Parte ricorrente, infatti, pur avendo formalmente sottoposto al vaglio di legittimità la sentenza di secondo grado in relazione al motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. (violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro), richiede in realtà un nuovo giudizio sul merito della controversia, non consentito in questa sede.
L’interpretazione fornita dal giudice di merito dell’art. 75 TUIR ( ratione temporis vigente ) , difatti, pur potendo non essere condivisa dalla parte, risulta priva di margini di censura apprezzabili e conforme all’orientamento espresso in materia da questa Corte di legittimità, che, nell’ipotesi di rilievo alla base dell’accertamento consistente nello scostamento solo formale dalla normativa applicabile, come nel caso di specie, ha già affermato che, non comportando tale fattispecie alcuna sottrazione di materia imponibile, non dà luogo a violazione del principio di competenza (cfr. Cass. n. 2892/2002).
Più in generale, infatti, costituisce principio acquisito – che merita qui di essere confermato l’assunto per cui in tema di reddito d’impresa, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza al quale vanno temporalmente imputati i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi del reddito, l’attuale art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 – secondo cui i ricavi, i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito dell’esercizio di
competenza a condizione che la loro esistenza o il loro ammontare sia determinabile in modo oggettivo – mira a contemperare la necessità di computare tutte le componenti dell’esercizio di competenza con l’esigenza di non addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare, sicché tale regola va interpretata nel senso che il dovere di conteggiare dette componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi e a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione (cfr., di recente, Cass. n. 36600/2021).
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.400,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, quantificati in €. 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025.