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Principio di competenza: quando dedurre i costi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito importanti aspetti fiscali per le imprese. Il caso riguardava un avviso di accertamento notificato a una società di servizi. La Corte ha stabilito che, in base al principio di competenza, il costo per una prestazione professionale è deducibile nell’anno in cui la prestazione è ultimata, non quando viene pagata. Ha inoltre confermato che la perdita su un credito verso un’azienda fallita è deducibile dall’anno della dichiarazione di fallimento. Altri motivi di ricorso, relativi a svalutazioni e deduzioni IRAP, sono stati respinti.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Principio di competenza: la Cassazione definisce la deducibilità dei costi

Il principio di competenza è una colonna portante della fiscalità d’impresa. Stabilire il corretto anno fiscale in cui imputare un costo è fondamentale per una corretta dichiarazione dei redditi e per evitare contenziosi con l’Agenzia delle Entrate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali su questo tema, analizzando la deducibilità dei costi per servizi professionali e le perdite su crediti. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I fatti di causa

A seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento a una società consortile che gestiva servizi, contestando diverse irregolarità nella dichiarazione dei redditi di un determinato anno. Le contestazioni riguardavano principalmente la svalutazione di alcuni beni strumentali, la deduzione di costi ai fini IRAP, la deducibilità di una perdita su crediti verso un’azienda fallita e, infine, la deduzione di fatture per prestazioni professionali.

La società aveva impugnato l’atto, ottenendo un accoglimento parziale in primo grado. L’appello dell’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione, affidandosi a cinque distinti motivi.

L’analisi della Corte sui motivi di ricorso

La Corte di Cassazione ha esaminato i cinque motivi, accogliendone solo uno e fornendo importanti principi su ciascuno.

Svalutazioni, IRAP e IVA: i motivi inammissibili

Tre dei motivi presentati dall’Agenzia sono stati dichiarati inammissibili. Questi riguardavano:
1. Svalutazione di immobilizzazioni: La Corte ha ritenuto il motivo troppo generico e mirato a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.
2. Deduzioni IRAP: L’Agenzia sosteneva che il rapporto tra la società e un ente non fosse un appalto ma una concessione, con conseguenze sulla deducibilità. La Cassazione ha ribadito che l’interpretazione di un contratto è compito del giudice di merito e non può essere rivista in terza istanza.
3. IVA su cessioni a enti pubblici: La Corte ha giudicato il motivo inammissibile perché non affrontava la specifica ratio decidendi della sentenza d’appello, la quale aveva correttamente applicato il principio secondo cui l’IVA su prestazioni verso enti pubblici diventa esigibile solo al momento del pagamento.

Perdite su crediti e il fallimento del debitore

Un motivo di ricorso, giudicato infondato, riguardava la deducibilità di una perdita su un credito vantato verso una società terza, dichiarata fallita. L’Agenzia sosteneva che la perdita non fosse definitiva. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che, ai sensi dell’art. 101, comma 5, del TUIR, le perdite su crediti sono deducibili quando il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Per il contribuente, è sufficiente provare l’avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore per dedurre fiscalmente la perdita in quell’anno fiscale.

Il principio di competenza e la deducibilità dei costi per servizi

Il quarto motivo di ricorso è stato invece accolto, rappresentando il fulcro della decisione. L’Agenzia contestava la deduzione, nell’anno 2009, di costi per prestazioni professionali ultimate in anni precedenti.

Le motivazioni della Corte sul principio di competenza

La Cassazione ha evidenziato la fondamentale distinzione tra il regime fiscale dei professionisti e quello delle imprese. Mentre per i primi vige il “principio di cassa” (i compensi sono tassati e i costi dedotti quando vengono incassati o pagati), per le imprese si applica il principio di competenza economica.

In base all’art. 109, comma 2, lett. b) del TUIR, i costi per prestazioni di servizi si considerano sostenuti, e quindi diventano deducibili, alla data in cui le prestazioni sono state ultimate. Nel caso di specie, il giudice d’appello aveva errato nel ritenere legittima la deduzione nel 2009 di costi per servizi completati prima. La spesa andava imputata all’anno di conclusione della prestazione, non a quello del pagamento.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio cardine della fiscalità d’impresa. Per le aziende, il momento rilevante per la deducibilità di un costo relativo a un servizio non è la data della fattura o del pagamento, ma la data in cui la prestazione può considerarsi conclusa. Questa decisione impone alle imprese una gestione contabile attenta, che allinei la competenza economica con quella fiscale per evitare rettifiche. Inoltre, la pronuncia conferma la regola sulla deducibilità delle perdite su crediti in caso di fallimento, semplificando l’onere probatorio per il creditore. La sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo principio.

Quando può un’impresa dedurre fiscalmente il costo per una prestazione di servizi?
Un’impresa può dedurre il costo nell’anno fiscale in cui la prestazione di servizi è stata ultimata, in base al principio di competenza, indipendentemente dalla data di pagamento o di emissione della fattura.

In quale momento diventa deducibile una perdita su un credito verso un’azienda fallita?
La perdita su un credito verso un debitore è deducibile a partire dalla data della dichiarazione di fallimento del debitore stesso. Il contribuente deve solo provare che il debitore è stato assoggettato a una procedura concorsuale.

Può la Corte di Cassazione riesaminare nel merito l’interpretazione di un contratto fatta da un giudice di grado inferiore?
No, l’interpretazione di un contratto è considerata un’indagine di fatto riservata al giudice di merito (primo e secondo grado). La Corte di Cassazione può censurare tale interpretazione solo se viola specifiche regole legali di ermeneutica contrattuale, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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