Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24485 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24485 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19459/2022 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO; -ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE azienda speciale del Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata alla
memoria depositata nel corso del giudizio di legittimità, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 802/2022 della Commissione Tributaria Regionale della Campania – Napoli, depositata in data 20/1/2022; udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME
Napolitano nella pubblica udienza del 5 giugno 2025;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale;
uditi l’ Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate e l’Avvocato NOME COGNOME per la contribuente;
Fatti di causa
Con ricorso del 14/2/2020, RAGIONE_SOCIALE, azienda speciale del Comune di Napoli (d’ora in poi, anche ‘la contribuente’ ), sorta dalla scissione parziale dell’azienda speciale idrica napoletana RAGIONE_SOCIALE che diede vita alla RAGIONE_SOCIALE, impugnò l’avviso di accertamento per il 2014, notificatole il 17/12/2019 per maggiore Ires di euro 1.898.641, oltre sanzioni e interessi.
L’avviso di accertamento recuperò a tassazione l’utilizzazione, per l’anno d’imposta 2014, del fondo contenzioso con riferimento ai costi per risarcimento determinati in una sentenza di primo grado del 2009, che per ragioni di competenza non avrebbero potuto essere dedotti dal reddito prodotto nel 2014, anno nel quale potevano, invece, essere dedotti i costi (da risarcimento) determinati nella sentenza d’appello pronunciata, appunto, in detto anno.
Recuperò, inoltre, a tassazione le somme, utilizzate nel periodo d’imposta, del fondo pensioni costituito al tempo della scissione parziale, sul presupposto che quel fondo era da considerarsi già dedotto, non già tassato.
La C.T.P. di Napoli accolse in parte il ricorso, annullando la ripresa dell’utilizzo del fondo pensioni e confermando quella dei costi da risarcimento determinati nella sentenza del 2009.
La C.T.R. della Campania, su appello principale dell’Agenzia delle Entrate e su appello incidentale della contribuente, confermò la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la contribuente, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi.
Il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME ha depositato una requisitoria scritta.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione. In particolare, deduce che la C.T.R., quanto alla ripresa annullata, ha aderito passivamente alla ricostruzione dei fatti di causa operata dalla contribuente.
1.1. Il motivo è infondato.
La C.T.R., nella sentenza impugnata, ha bene spiegato i motivi per i quali legittimamente la società contribuente aveva portato in deduzione dalla base imponibile l’utilizzazione del fondo pensioni e del fondo contenzioso, affermando, in sostanza, che questi due fondi erano fondi ‘tassati’, avendo la contribuente su di essi pagato le imposte dovute, con la conseguenza che per essa rimaneva salva la
possibilità di dedurre a valle, dalla base imponibile, i singoli utilizzi di tali fondi.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 Tuel e dell’art. 173 Tuir (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata deducendo che l’art. 115 del d.lgs. n. 267 del 2000 prevedrebbe un trattamento fiscale derogatorio rispetto alle disposizioni normative dettate dagli artt. 170-176 Tuir in tema di operazioni straordinarie.
In particolare, ai fini fiscali, l’art. 115, comma 6, Tuel prevede che ‘il conferimento e l’assegnazione dei beni degli enti locali e delle aziende speciali alle società di cui al comma 1 sono esenti da imposizioni fiscali, dirette e indirette, statali e regionali’ .
Questa disposizione prevedrebbe un’esenzione da un’imposizione fiscale della plusvalenza formatasi in capo al dante causa, rendendo possibile l’iscrizione dei beni assegnati nel bilancio della società beneficiaria, entro il limite dei valori di perizia, con piena rilevanza fiscale degli stessi e senza che il soggetto assegnante abbia subito alcuna tassazione diretta e indiretta sull’eventuale plusvalenza realizzata. Secondo l’Agenzia, l’operazione di scissione parziale sarebbe stata tale solo da un punto di vista giuridico-formale, ma nella sostanza sarebbe stata un’operazione di conferimento, come dimostrerebbe anche il successivo accollo dei debiti dell’azienda speciale da parte dell’odierna contribuente.
L’assimilazione dell’operazione di scissione parziale posta in essere ad un ordinario conferimento di beni in una società determinerebbe la natura fiscalmente rilevante del fondo pensioni e del fondo contenzioso.
2.1. Il motivo è infondato.
L’ impostazione ermeneutica dalla quale muove l’Agenzia delle Entrate ai fini della ripresa di cui si controverte non può essere seguita.
Il comma 6, letto in combinato disposto con il successivo comma 7, dell’art. 115 Tuel ha, come scopo, non quello di evidenziare che la scissione dell’azienda speciale produce plusvalenze che sono eccezionalmente esentate dall’imposizione fiscale diretta e indiretta, bensì quello di rafforzare quanto già, in tema di scissione, prevede l’art. 173 Tuir, che al primo comma dispone che la scissione di una società in altre di nuova costituzione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento (cfr. anche l’art. 174 Tuir, che estende la riferita disposizione anche alla fusione e alla scissione di enti diversi dalle società).
Ne consegue, allora, che non si può nemmeno parlare, in caso di scissione, di plusvalenze, e dunque le poste di bilancio create dalla società beneficiaria della scissione non possono essere considerate ‘fiscalmente rilevanti’ in base ad una petizione di pr incipio, ma si deve valutare in concreto come siano state trattate fiscalmente dalla società beneficiaria della scissione.
Orbene, nel caso di specie, quest’ultima, come accertato dal giudice di merito, ha dimostrato che i fondi in contestazione non erano stati dedotti dalla base imponibile ai fini del pagamento delle imposte dirette, con la conseguenza che la pretesa dell’erario che ne supponeva la loro natura asseritamente dedotta non ha fondamento.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 109, comma 1 e 99, comma 1, Tuir, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (sul primo rilievo)’ , la contribuente censura la sentenza impugnata per aver considerato indeducibili nell’anno d’imposta 2014 , in seguito ad una sentenza di condanna di secondo grado che l’aveva vista soccombente in un giudizio di responsabilità civile, i costi sostenuti in base alla precedente sentenza di primo grado pronunciata nel 2009; e per non aver contabilizzato nell’attivo del 2014 le somme corrispondenti alla
liquidazione dei danni indiretti, sui quali era ancora aperto il contenzioso.
In particolare, deduce la contribuente che nel 2009 era stata condannata dal Tribunale di Napoli alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle controparti nel giudizio per il risarcimento del danno subito da Napoli Bingo a causa dell’allagamento causato dalla rottura di una conduttura idrica, nonché al pagamento della quota parte del risarcimento dovuto, corrispondente alla franchigia prevista dalla polizza assicurativa.
Nel 2014 (in seguito alla sentenza di secondo grado), la contribuente ha dedotto la parte del costo relativo alle spese processuali liquidata dal difensore della controparte e l’intero ammontare dovuto in ragione della sentenza d’appello n. 2344/2014.
L’Agenzia, invece, ha ripreso a tassazione il costo relativo alle spese processuali e la quota di danni, corrispondente alla franchigia, liquidati dalla sentenza di primo grado del 2009, ritenendo che tali costi, di competenza dell’anno 2009, non potessero più essere dedotti nel 2014.
Allo stesso modo, nel 2014 la contribuente ha escluso dalla contabilizzazione tra le poste attive la quota di risarcimento ottenuta dalla sentenza di secondo grado, relativa ai danni indiretti, sui quali la controparte aveva ragioni non pretestuose per proseguire il contenzioso , mentre secondo l’Agenzia avrebbe dovuto contabilizzare l’intero importo dovuto dalla controparte (una compagnia assicurativa), comprensivo anche dei danni indiretti, nonostante la non definitività della sentenza di secondo grado e la presenza di dubbi non manifestamente infondati circa la spettanza dei danni indiretti in capo alla contribuente.
Rassegnate tali precisazioni in punto di fatto, la contribuente censura la sentenza impugnata che, ritenendo la sentenza di condanna di primo grado del 2009 ‘provvisoriamente esecutiva’, ha stabilito che i costi portati in quella sentenza avrebbero dovuto essere dedotti inderogabilmente nel 2009 e, pur senza esprimersi, ha avallato di
fatto il comportamento dell’ufficio che ha ritenuto che gli elementi attivi costituiti dalle somme cui la società assicuratrice era tenuta a titolo di danni indiretti avrebbero dovuto essere contabilizzati non oltre la determinazione di dette somme da parte della sentenza di secondo grado.
3.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha recentemente statuito che in tema di imposte sul reddito di impresa, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza al quale vanno temporalmente imputati i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi del reddito, ai sensi dell’art.109 del d.P.R. n. 917 del 1986, deve tenersi conto del momento in cui si verificano le due condizioni della “certezza” in ordine alla sussistenza e della “determinabilità” in ordine all’ammontare, della cui prova è onerata l’amministrazione finanziaria con riguardo ai componenti positivi, e il contribuente con riguardo ai componenti negativi; pertanto, nell’ipotesi di debito litigioso, che rientra tra le cd. “passività potenziali”, il costo non può essere dedotto dal reddito dell’anno in cui la lite ha avuto inizio ma da quello dell’anno in cui essa si è conclusa (Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 19166 del 06/07/2021, Rv. 661810 -01; Cass., Sez. 5-, Sentenza n. 15320 del 06/06/2019, Rv. 654152 – 01).
Ai fini della decisione del motivo in esame, viene in rilievo la seconda parte del primo comma dell’art. 109 Tuir, a norma del quale ‘i ricavi , le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni ‘ .
Il primo e il secondo periodo della disposizione normativa sono legati da una congiunzione concessiva, ‘tuttavia’, che ‘corregge’ e mitiga l’asso lutezza della regola di imputazione fondata sul principio di competenza.
Ne consegue che è vero che i costi e i ricavi (e in genere i componenti negativi e positivi che concorrono a formare il reddito d’impresa)
devono essere imputati all’esercizio in cui sono sorti i rispettivi elementi costitutivi; ma è anche vero che se quegli elementi sono incerti nell’ an o nel quantum , essi debbono essere imputati all’esercizio nel quale si manifestano nella loro oggettiva certezza, sia quanto all’ an che con riferimento al quantum .
Fatte queste precisazioni, deve allora dirsi che erra il giudice di appello quando afferma che la contribuente avrebbe dovuto imputare i costi portati nella sentenza del 2009 del Tribunale di Napoli all’esercizio del 2009, essendo la sentenza di primo grado esecutiva.
Innanzitutto, come ha dedotto e documentato la contribuente, la provvisoria esecutività della sentenza del 2009 del Tribunale di Napoli era stata sospesa con ordinanza della Corte d’Appello in data 13/1/2010, che successivamente riformò la sentenza di primo grado. In secondo luogo, occorre rilevare che l’esecutività è un’attribuzione processuale della pronuncia di condanna, anche non definitiva, ed essa non deve essere confusa con il requisito della ‘certezza’ del costo, che invece si ha nel momento in cui quell’ele mento passivo acquisisce una fisionomia definitiva, sia con riferimento ai suoi elementi costitutivi, sia con riferimento alla sua dimensione quantitativa.
Orbene, nell’ambito di un complesso giudizio contenzioso di risarcimento del danno che vedeva coinvolte anche contrapposte compagnie assicurative, i costi posti a carico della contribuente nella sentenza di primo grado del 2009 non possedevano un grado di certezza tale da far ritenere che essi dovessero essere necessariamente imputati all’esercizio del 2009: essi, al contrario, sono diventati ragionevolmente certi solo in seguito alla sentenza di secondo grado, pronunciata nel 2014, con la conseguenza che n essuna violazione dell’art. 109 Tuir può essere imputata alla contribuente che ha dedotto nell’esercizio del 2014 (epoca della sentenza di appello) anche i costi rappresentati nella sentenza del 2009, oggetto di appello.
Discorso analogo vale per gli elementi attivi: la spettanza in capo alla contribuente dell’indennità assicurativa relativa ai danni indiretti , pure stabilita dalla sentenza di appello, era affatto contestata, in maniera non manifestamente infondata, dalla società debitrice, che riteneva che tale tipologia di danni non rientrasse nella copertura della polizza.
Ne deriva che correttamente dalla contabilizzazione degli elementi attivi nell’anno 2014 sono state escluse le somme determinate nella sentenza d’appello a titolo di indennizzo per danni indiretti posti a carico della contribuente.
Deve, dunque, essere enunciato il seguente principio di diritto: ‘ quando gli elementi attivi e passivi che concorrono a formare il reddito sono portati da un provvedimento emesso in seguito ad un giudizio di cui sia parte il contribuente, quest ‘ ultimo non è tenuto a contabilizzarli se essi sono messi in discussione mediante la proposizione di mezzi di impugnazione ammissibili e non manifestamente infondati, dovendo la contabilizzazione essere effettuata solo quando quegli elementi siano divenuti ragionevolmente certi si a nell’ an che nel quantum ‘.
In conclusione, il ricorso principale dell’Agenzia è infondato .
Il primo motivo del ricorso incidentale della contribuente è fondato, con assorbimento dei restanti.
Non essendovi bisogno di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato in prime cure.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese dei giudizi di merito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale della contribuente, assorbiti i restanti.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, annulla l’avviso di accertamento impugnato in prime cure.
Compensa le spese dei giudizi di merito.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della contribuente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro ventiquattromila per compensi, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge, ed oltre ad euro duecento per spese vive.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, il 5 giugno 2025.