Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13027 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13027 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8199/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL VENETO n. 654/2019 depositata il 06/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 23.11.2016 e 2.12.2016 l’Agenzia delle Entrate Ufficio Controlli della Direzione Provinciale di Vicenza notificava gli avvisi di accertamento n. T6502RM03720/2016, T6501RM04115/2016 e T6502RM04119/2016 rispettivamente alla RAGIONE_SOCIALE e ai soci della medesima, NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME. Mediante tali atti procedeva al recupero a tassazione di maggiori imposte IRPEF pari ad € 15.786,00 imputato ai soci ex art. 5 TUIR per il cinquanta per cento, IRAP pari ad € 1.994,00 e IVA pari ad € 12.019,00.
Con distinti ricorsi, i soci e la società impugnavano dinanzi alla CTP di Vicenza gli atti di accertamento indicati.
La CTP di Vicenza con sentenza n. 797/04/2017 del 20.11.2017 depositata in data 12.12.2017, previa riunione dei ricorsi, li rigettava confermando gli atti di accertamento impugnati.
Con distinti ricorsi, i soci e la società impugnavano dinanzi alla CTR del Veneto la sentenza di primo grado.
La CTR del Veneto con sentenza n. 654/05/2019 del 19/06/2019 e depositata il 6/08/2019, previa riunione degli atti di appello, confermava nella sostanza la sentenza di primo grado, rigettando gli appelli proposti dalla società e dai soci. In parziale riforma della sentenza di prime cure, riconosceva la tempestività dei gravami e li riteneva infondati nel merito.
I soci propongono ora ricorso per cassazione affidato a sette motivi Resiste l’Agenzia con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, primo comma DPR 600/1973 in relazione all’art. 360
comma 3 c.p.c., per non aver la CTR ritenuto illegittimi gli atti impositivi anche se sottoscritti da funzionario privo del potere di firma in quanto non titolare di valida delega a sottoscrivere.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione del principio del contraddittorio ai sensi dell’art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, dell’art. 24 legge n. 4/29 e art. 6 comma 3, D.lgs. 218/1997 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per non aver la CTR accertato la violazione del principio del contraddittorio preventivo dipendente dalla condotta dell’Agenzia
Con il terzo motivo si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 DPR 600/1973, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., laddove la CTR si è limitata a constatare la verifica di una condizione per l’applicazione dell’art. 39, comma 2, DPR 600/1973 senza applicare il consolidato principio di diritto in base al quale ‘l’esistenza di circostanze per cui la legge consente l’emissione di un accertamento fondato su presunzioni cd. supersemplici non autorizza l’Ufficio ad emettere accertamenti astratti e incompatibili con la realtà’.
Con il quarto motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, in relazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., laddove la CTR ha sostenuto ‘l’Ufficio ha correttamente applicato il principio di cassa, trattandosi di somme versate nel corso del 2010, indipendentemente dal fatto che essere potessero avere riguardo ad un esercizio di diversa competenza’ , violando in tal modo il principio di competenza.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 DPR 633/1973, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., laddove la CTR ha ritenuto di non accogliere l’applicazione dell’IVA in misura ridotta per talune fatture, perché ‘non risultano in contabilità, né dalla dichiarazione dei redditi della società’.
Con il sesto motivo si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.,
per aver la CTR omesso di valutare se gli avvisi di accertamento fossero carenti in punto di motivazione ai sensi dell’art. 42, comma 2, DPR 600/1973.
Con il settimo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, per aver la CTR omesso di argomentare in ordine alla detrazione dell’IVA indicata nelle fatture di acquisto presentate in data 15/04/2014 e ‘ confermate dallo spesometro spedito dai fornitori per il principio di neutralità dell’IVA ‘.
Il primo motivo è infondato.
Consta un accertamento in fatto della CTR in punto di legittimità e completezza della delega di firma. A tale accertamento la parte ricorrente contrappone argomentazioni tese, non tanto a denunciare una divaricazione dal paradigma normativo, quanto ad invocare una rivisitazione di una valutazione di merito già compiuta nella sede giurisdizionale idonea.
Giova considerare che a tenore dell’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 la delega di firma, ossia la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante. Ne consegue che, diversamente da quanto opinato dalla parte ricorrente, non è onere dell’Amministrazione dar conto di peculiari ragioni utili a giustificare la scelta del decentramento assunto nell’ambito dell’organizzazione interna dell’uffici. In particolare, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità neppure di indicazione nominativa o di enucleare precisi motivi, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (in tema v. Cass. n. 11013 del 2019; Cass. n. 28850 del
2019). Occorre, d’altronde, tenere distinta l’ipotesi disciplinata nell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 rispetto alla delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1 -bis, d.lgs. n. 165 del 2001. Il decentramento operativo attuato ai sensi del richiamato art. 42 costituisce una decisione discrezionale interna, rispetto alla quale le contestazioni odierne della parte contribuente non colgono nel segno.
Il secondo motivo è infondato.
Anche in questo caso viene in evidenza un accertamento della CTR in punto di avvenuta attivazione del contraddittorio ‘ fin dal 2014 ‘ e di omesso riscontro -lato contribuente -degli inviti a interloquire, in ben due occasioni. In tal senso, si adombra come deficit di contraddittorio l’esito della deliberata inerzia da parte del contribuente, che non ha ritenuto di interfacciarsi con l’Amministrazione nelle due occasioni nelle quali è stato appurato essere stata sollecitata a farlo.
Il terzo motivo è infondato.
La CTR ha posto come premessa la mancata presentazione della dichiarazione, quindi ha valorizzato testualmente una ‘ pluralità di elementi e di dati ‘, testualmente segnalati come segue: ‘ la parte della documentazione richiesta con l’invito del 2014 e prodotta dal contribuente il 15 ottobre 2014, i redditi percepiti dalla Società ed erogati dai clienti, i componenti positivi acquisiti dalla società cliente della ricorrente ‘RAGIONE_SOCIALE in considerazione delle risultanze emerse in sede di utilizzo della procedura cosiddetta spesometro ‘.
In quest’ottica, il giudice d’appello si è posto sul crinale nomofilattico, bastando al riguardo richiamare il principio alla luce del quale ‘ In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, il potere dovere dell’Amministrazione è disciplinato non già dell’art. 39, bensì dall’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale,
sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo; a tal fine, esso può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e può fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cd. supersemplici – cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. citato -, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante dalla somma algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio’ (Cass. n. 14930 del 2017; Cass. n. 15167 del 2020).
Il quarto motivo è fondato e va accolto.
La sentenza impugnata contiene l’affermazione secondo cui ‘ l’Ufficio ha correttamente applicato il principio di cassa, trattandosi di somme versate nel corso del 2010, indipendentemente dal fatto che esse potessero avere riguardo ad un esercizio di diversa competenza’ .
L’affermazione è vistosamente erronea. La CTR ha incongruamente applicato il principio di cassa, anziché quello di competenza.
Vi è un’evidente violazione dell’art. 109 del d.P.R. 917/1986, in ordine al principio di competenza. Detta norma, invero, prevede che ” i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni “.
Con la menzione dei requisiti della “certezza” e della “determinabilità” il legislatore ha voluto escludere dalla formazione del reddito i solo componenti ancora “stimati”, imponendo di tener
conto di tutti gli elementi reddituali caratterizzati da un sufficiente grado di attendibilità.
La certezza va intesa non in senso materiale, ma giuridico, con esclusione di componenti di redditi meramente presunti.
La determinabilità attiene, invece, al quantum del componente di reddito, desumibile da elementi oggettivi, quindi con esclusione di quello basato su mere congetture soggettive o fondato su calcoli probabilistici.
Le regole sulla imputazione temporale delle componenti di reddito -palesemente disattese dal giudice regionale -sono inderogabili, sia per i contribuenti, ai quali è precluso ogni spostamento dei ricavi e delle spese da un periodo all’altro, sia per l’amministrazione finanziaria (Cass. n. 26650 del 2020; Cass. n. 25218 del 2010).
Tale inderogabilità non risponde ad una logica sanzionatoria, ma origina dalla circostanza che l’eventuale rilevazione in un periodo successivo del componente sarebbe priva di giustificazione in senso economico, in quanto l’evento di gestione si è già completamente esaurito in precedenza.
Il legislatore considera come “esercizio di competenza” -l’individuazione del quale in concreto involge accertamenti di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, il cui apprezzamento può essere censurato in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale – quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte del ricavo o del costo.
Nel caso di specie, ad avviso del giudice d’appello, viceversa, la circostanza che il ricavo riguardasse un anno anteriore al 2010 diviene irrilevante, importando esclusivamente la collocazione cronologica dell”incasso’, avvenuto appunto nel 2010.
Il quinto motivo è inammissibile.
Il mezzo, oltre a difettare di specificità -non essendo dato cogliere l’identità delle fatture cui la censura è correlata -, tende ad ottenere una diversa valutazione del merito della controversia,
sollecitando un sindacato precluso nella presente sede. In tal guisa, esso trascende il recinto del vizio invocato per stimolare inammissibilmente un nuovo e più appagante accertamento di fatto.
Il sesto motivo è inammissibile.
Il mezzo in parola, oltre a difettare di specificità -non essendo riportato il contenuto dell’avviso di cui si stigmatizza la carenza motivazionale -, tende ad ottenere una diversa valutazione di merito sulla completezza della motivazione dell’atto impositivo, sollecitando un sindacato precluso nella presente sede su profili istruttori già apprezzati.
Il settimo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La censura pecca di specificità e autosufficienza, restando criptica sia in ordine alle fatture i cui importi ambirebbe a detrarre, sia in ordine al corredo contabile e documentale che suffragherebbe detta aspirazione.
In tema di detrazione del credito IVA, maturato con riferimento ad un anno di imposta in cui il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione, la prova dei relativi requisiti sostanziali del diritto deve essere fornita dal contribuente stesso mediante la produzione delle fatture o di altra documentazione contabile.
Ha chiarito a suo tempo questa Corte a Sezioni Unite (Sez. Un, n. 17757 del 2016) che ” La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale
automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili “. Il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché essa risulti dalle dichiarazioni periodiche e siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione. Nella specie, ancora nell’odierna sede, non è ben chiaro a quali fatture la parte contribuente faccia riferimento, men che meno attraverso quali dati contabili e documentali intenda dar conto dell’esistenza dei presupposti sostanziali alla base dell’invocata detrazione.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto con riferimento al quarto motivo, respinti gli altri. La sentenza va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale di Secondo Grado in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso, respinte tutte le altre censure; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale di Secondo Grado del Veneto in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13/03/2025.