Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1017 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1017 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 18147/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE -, con sede in Roma, alla INDIRIZZO (C.F.: 01680600929), rappresentata dall’amministratore unico e legale rappresentante Dott. NOME COGNOME nato a Roma il 10 maggio 1966 (C.F.: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO; pec:
EMAIL), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
-ricorrente – contro
Avviso liquidazione imposta di registro -Lodo arbitrale -Principio alternatività IVA
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 123/2016 emessa dalla CTR Lazio in data 15/01/2016 e non notificata;
udite le conclusioni orali rassegnate dal P.G. dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’ accoglimento del primo motivo del ricorso, con assorbimento dei restanti;
udito il difensore dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso un avviso di liquidazione dell’imposta di registro per l’anno 2010 con riferimento ad un lodo arbitrale con cui il collegio aveva accolto parzialmente le pretese da essa avanzate, condannando il consorzio convenuto al pagamento della somma complessiva di euro 523.317,67.
La CTP rigettava il ricorso, evidenziando che, allorquando il lodo prevedeva la condanna al pagamento di una somma di denaro, era corretta l’applicazione dell’aliquota del 3%.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR Lazio rigettava il gravame, affermando che le doglianze dell’appellante erano del tutto generiche, non indicando in modo preciso e dettagliato quale altro criterio i giudici di primo grado avrebbero dovuto applicare.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato in diritto
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 dPR 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per non aver la CTR statuito in ordine alla circostanza che le somme assunte a riferimento in ordine alla determinazione dell’imposta di registro fossero assoggettate ad imposta sul valore aggiunto, con conseguente applicabilità del principio di alternatività.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 dPR 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non aver la CTR considerato che le somme oggetto del lodo erano soggette ad Iva e, dunque, per il principio di alternatività, escluse dall’applicazione dell’imposta di registro nella
misura proporzionale del 3%.
I due motivi, da trattare congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono fondati.
Va premesso che la CTR affermando che le doglianze della contribuente erano del tutto generiche, ha implicitamente rigettato la censura con la quale la stessa aveva invocato l’applicazione del principio di alternatività tra Iva ed imposta di registro.
Ciò debitamente premesso, alla luce delle doglianze specificamente reiterate con l’atto d’appello e debitamente trascritte, in osservanza del principio di autosufficienza, alle pagine da 6 a 11 (avuto particolare riguardo alle pagine 9-10) del ricorso, la motivazione resa sul punto (assoggettabilità delle somme di cui al lodo arbitrale ad IVA, con conseguente applicabilità del principio di alternatività rispetto all’imposta di registro) dai giudici di secondo grado si rivela meramente apparente (vizio espressamente denunciato a pagina 18 del ricorso).
Con il secondo motivo la resistente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 l. 3 agosto 1990, n. 241, e 7 l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per non aver la CTR statuito alcunchè in ordine al denunciato vizio di assoluta carenza di motivazione dell’atto impositivo.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, a ben vedere, la ricorrente lamenta una omissione di pronuncia con riferimento ad una doglianza che avrebbe denunciato sin dal primo grado
di giudizio e reiterato in sede di appello.
Orbene, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Inoltre, premesso che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di specialità (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n.
26774 del 22/12/2016 e, di recente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023).
Inoltre, l’affermazione della CTR, secondo cui la contribuente non aveva indicato in modo preciso e dettagliato quale altro criterio i giudici di primo grado avrebbero dovuto applicare, non determina di per sé un’inversione dell’onere della prova, ponendol o a carico della stessa, ma si limita ad evidenziare che, a fronte dei parametri (peraltro applicati dal giudice) utilizzati in primo grado, la società non li aveva contestati in modo analitico. 5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR affermato che avrebbe dovuto essere la contribuente ad indicare, all’esito della propria eccezione di illegittimità dell’atto per mancanza di idonea, pertinente e sufficiente motivazione, il diverso criterio che i giudici di primo grado avrebbero dovuto seguire.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, in primo luogo, l’Ufficio non avrebbe potuto integrare l’originaria motivazione lacunosa dell’avviso di liquidazione impugnato, alla luce del consolidato principio secondo cui, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione deve contenere ab origine la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente l’esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di talché eventuali lacune non possono essere colmate dall’amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa nel corso del giudizio di impugnazione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11284 del 07/04/2022).
In secondo luogo, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo
per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Orbene, nel caso di specie, la CTR non ha posto a carico della contribuente l’onere di provare la pretesa impositiva, ma, una volta ritenuto evidentemente assolto siffatto onere da parte dell’Agenzia, ha affermato, limitatamente al quantum , che la società non aveva indicato un criterio alternativo che si sarebbe dovuto applicare.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita di essere accolto con riferimento al primo e al terzo motivo. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso, dichiara inammissibili il secondo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della