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Prezzo simulato: no vantaggi fiscali da condotta elusiva

Una contribuente ha dichiarato un prezzo di acquisto immobiliare inferiore al reale (prezzo simulato) per ridurre l’imposta di registro, tentando poi di usare il prezzo effettivo per abbattere la plusvalenza tassabile al momento della vendita. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che non si possono trarre vantaggi fiscali da una precedente condotta elusiva e illecita. Il principio antielusivo generale impedisce di opporre al Fisco l’accordo reale (dissimulato) per ottenere un secondo, indebito, risparmio d’imposta.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Prezzo Simulato e Plusvalenza: la Cassazione Nega Vantaggi da Condotte Elusive

Con l’ordinanza n. 14674 del 27 maggio 2024, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia fiscale: l’impossibilità per un contribuente di ottenere un vantaggio fiscale (minor plusvalenza) avvalendosi di un prezzo simulato dichiarato in un precedente atto di acquisto per fini elusivi. Questa decisione ribadisce la coerenza dell’ordinamento tributario e il divieto di trarre beneficio da proprie condotte illecite.

I Fatti del Caso: Una Doppia Strategia Fiscale

Una contribuente acquistava un immobile dichiarando nell’atto pubblico di compravendita un prezzo inferiore a quello realmente pagato. Questa pratica, purtroppo diffusa in passato, mirava a versare un’imposta di registro più bassa, sfruttando il meccanismo del ‘prezzo-valore’ che legava l’imponibile al valore catastale. Anni dopo, al momento di rivendere lo stesso immobile, la contribuente cercava di utilizzare il prezzo di acquisto reale e più alto (documentato solo in un preliminare non registrato) per calcolare la plusvalenza, così da ridurre l’IRPEF dovuta.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, rettificava la plusvalenza dichiarata, basando il calcolo sul costo di acquisto ufficialmente dichiarato nell’atto pubblico. Ne scaturiva un contenzioso che, dopo due gradi di giudizio sfavorevoli alla contribuente, giungeva dinanzi alla Suprema Corte.

La Questione Giuridica: Può il Prezzo Simulato Essere Usato a Proprio Vantaggio?

Il quesito centrale posto alla Corte era se il Fisco dovesse accettare come costo di acquisto il prezzo reale (contenuto nel contratto dissimulato) o se dovesse invece fare riferimento al prezzo simulato dichiarato nell’atto pubblico. La contribuente sosteneva l’opponibilità del prezzo reale, provato tramite un accordo privato e mezzi di pagamento tracciabili.

La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, ha fornito una risposta netta, fondata su principi cardine del diritto tributario, tra cui il divieto di abuso del diritto.

Le Motivazioni della Decisione della Cassazione

La Corte ha smontato la tesi della ricorrente attraverso quattro argomenti principali.

Innanzitutto, ha chiarito che le norme agevolative valide per l’imposta di registro (come il sistema prezzo-valore) non si estendono automaticamente alle imposte dirette, come l’IRPEF sulla plusvalenza. Si tratta di tributi con presupposti e logiche differenti.

In secondo luogo, la legge ha sempre imposto l’obbligo di dichiarare il corrispettivo effettivamente pattuito. L’occultamento, anche parziale, del prezzo reale costituisce una violazione sanzionata, non una scelta lecita. Pertanto, la condotta iniziale della contribuente era già di per sé illegittima.

Il punto cruciale della motivazione risiede però nel richiamo al principio generale antielusivo, desumibile dall’articolo 53 della Costituzione. Secondo la Corte, il contribuente non può invocare e trarre beneficio da una precedente condotta “dichiaratamente elusiva ed illecita”. L’operazione posta in essere (preliminare con prezzo reale e atto pubblico con prezzo simulato) era una combinazione mirata a conseguire un beneficio fiscale indebito (sull’imposta di registro). Permettere ora alla stessa contribuente di usare il contratto dissimulato per ottenere un secondo vantaggio fiscale (sulla plusvalenza) sarebbe contrario alla logica e alla coerenza dell’ordinamento.

Infine, la Corte ha stabilito che gli effetti di un negozio posto in essere con finalità abusive non sono opponibili all’Amministrazione Finanziaria. La contribuente, avendo scelto di simulare un prezzo più basso per eludere un’imposta, non può successivamente “svelare” l’accordo reale per eluderne un’altra.

Le Conclusioni: Coerenza e Divieto di Abuso del Diritto

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale: non è possibile “giocare” con le regole fiscali a proprio piacimento, scegliendo la versione dei fatti più conveniente a seconda del tributo da pagare. La condotta del contribuente deve essere improntata a coerenza e legalità. Chi mette in atto una strategia elusiva per ottenere un risparmio d’imposta non può, in un secondo momento, rinnegare quella stessa strategia per ottenere un ulteriore e diverso vantaggio fiscale. Il Fisco è legittimato a basarsi sui dati dichiarati dal contribuente nell’atto pubblico, disconoscendo gli effetti di accordi simulatori volti a danneggiare l’Erario.

È possibile utilizzare un prezzo di acquisto reale, ma non dichiarato nell’atto pubblico, per calcolare la plusvalenza sulla vendita di un immobile?
No. Secondo la Corte, un contribuente che ha precedentemente dichiarato un prezzo simulato (più basso) per fini elusivi non può successivamente invocare il prezzo reale (più alto) per ridurre la plusvalenza tassabile, in applicazione del principio generale antielusivo.

Dichiarare un prezzo simulato inferiore a quello reale per risparmiare sull’imposta di registro è una condotta lecita?
No. La Corte chiarisce che l’occultamento, anche parziale, del corrispettivo convenuto è una condotta sanzionata dall’ordinamento tributario. L’obbligo è sempre stato quello di dichiarare il prezzo effettivamente pattuito.

Il principio che impedisce accertamenti di valore per l’imposta di registro (cosiddetto ‘prezzo-valore’) si applica anche alle imposte sui redditi come l’IRPEF?
No. La sentenza ribadisce che le limitazioni alla rettifica del valore previste per l’imposta di registro non si estendono alle imposte dirette. L’Agenzia delle Entrate può quindi accertare la plusvalenza ai fini IRPEF basandosi sul costo di acquisto effettivamente dichiarato nell’atto pubblico, a prescindere dal valore catastale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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