Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4922 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4922 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 26090/2021, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura conferita dal dott. NOMECOGNOME Public Notary, in USA il 22 settembre 2021, e munita di apostille del 28 settembre 2021, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO p resso l’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1111/2021 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 19 marzo 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME revisore contabile che presta la propria attività all’interno della RAGIONE_SOCIALE, della quale è socio, chiese all’Erario il rimborso di quanto versato a titolo di Irap per il quadriennio di imposta 20122015 e a titolo di acconto Irap per l’anno di imposta 2016.
A sostegno della richiesta dedusse di aver sempre svolto la propria attività personalmente, senza l’ausilio di collaboratori o dipendenti e mediante la struttura organizzativa della società, disponendo personalmente dei beni strumentali minimi e indispensabili.
Il successivo silenziodiniego dell’Amministrazione fu vittoriosamente impugnato dal contribuente davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano.
La sentenza di primo grado venne integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, adìta con gravame dell’Amministrazione.
I giudici regionali osservarono anzitutto che gli argomenti del contribuente apparivano contraddittori, laddove egli, per un verso, assumeva di non avvalersi dell’organizzazione della società RAGIONE_SOCIALE e, per altro verso, affermava di servirsi esclusivamente della propria preparazione personale, senza disporre di una struttura organizzativa esterna.
Richiamarono, quindi, la giurisprudenza che ha ritenuto sussistente il presupposto impositivo nel caso di utilizzo non occasionale della struttura di un organismo associativo, anche ove il professionista non risulti associato , in quanto assimilabile all’utilizzo del lavoro altrui; ed osservarono, mutuando tale rilievo al caso di specie, che il socio professionista che si avvale dell’organizzazione di una società di capitali (la quale, peraltro, non paga l’Irap sui compensi corrisposti al socio) accresce la propria attività produttiva, in guisa di professionista che si avvale di personale che gli facilita il compimento delle attività.
Il contribuente ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
1. Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 447/1997.
Ad avviso del ricorrente, i giudici d’appello avrebbero errato nel ritenere sussistente il presupposto impositivo ogni qual volta il professionista eserciti la propria attività nell’ambito di una struttura terza, essendo a tal fine sufficiente che da tale situazione egli possa trarre utilità.
Una tale impostazione, infatti, si pone in contrasto con l’insegnamento reso sul punto da questa Corte, secondo cui è necessario che il contribuente sia il responsabile della struttura organizzativa (e non vi sia, dunque, meramente inserito) e si avvalga di tale struttura, impiegandola in misura eccedente il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.
Ciò premesso, il ricorrente osserva, quanto al caso di specie, che egli è meramente inserito nella struttura organizzativa della Ernst RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE titolare dei beni che ne compongono la struttura organizzativa.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 in combinato disposto con gli artt. 1, 10quater , 13 e 20 del d.lgs. n. 39/2010.
La censura si appunta sul medesimo argomento di cui al primo motivo; vi si sottolinea anche il fatto che il contribuente non ha mai rivestito ruoli apicali nella società e che la stessa disciplina dell’attività di revisione e controllo qualità -nel prevedere la necessità della designazione di un ‘responsabile dell’incarico’, assegnandogli le risorse sufficienti ad espletarlo -indica con chiarezza che il partner della società non ha alcun potere di direzione e coordinamento della struttura.
Infine, con il terzo mezzo -nuovamente deducendo violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, stavolta in relazione all’art. 23 Cost. -il ricorrente assume che l’opzione ermeneutica adottata dalla C.T.R. finirebbe con il riconoscere l’imponibilità di un compenso al semplice fine di assicurare un’utilità all’Erario, in violazione del principio costituzionale di riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali obbligatorie.
Il primo motivo è fondato, restando in tale statuizione assorbito lo scrutinio dei restanti.
4.1. In punto al presupposto impositivo della ‘ autonoma organizzazione’ di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 9451/2016) hanno affermato che esso ricorre quando il contribuente:
(a) è , sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non è dunque inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
(b) impiega beni strumentali che , secondo l’ id quod plerumque accidit , eccedono il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, ovvero si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi di segreteria ovvero meramente esecutive.
Nel solco di tali indicazioni, è stato quindi ripetutamente affermato che, affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato ad Irap, è necessario non solo che egli sia inserito in un ‘ autonoma organizzazione, ma che di questa egli sia anche titolare, assumendone la responsabilità ( ex plurimis Cass. n. 3632/2024; Cass. n. 19397/2022).
4.2. Nel caso di specie, costituisce dato incontroverso il fatto che il contribuente, revisore contabile, oltre a non occupare alcun collaboratore alle proprie dipendenze, non disponesse di una propria organizzazione, ma fosse invece inserito stabilmente in un ‘ organizzazione riconducibile a un distinto soggetto giuridico, RAGIONE_SOCIALE, da considerarsi quindi unica responsabile organizzativa.
A nulla rileva, pertanto, il fatto che egli si avvalesse di tale organizzazione, nel difetto degli indicati elementi che connotano imprescindibilmente il presupposto impositivo.
4.3. Del resto, questa Corte, con specifico riguardo alla fattispecie nella quale l’attività dell’eventuale soggetto passivo dell’imposizione viene espletata a favore di un soggetto terzo già dotato di una propria struttura organizzativa, e deve coordinarsi con quest’ultima, ha affermato che non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, occorrendo anche che tale struttura sia ‘autonoma’, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; ne deriva la non assoggettabilità ad Irap dei proventi che il lavoratore autonomo abbia
percetti come compenso per le attività svolte all’interno della struttura (v. Cass. n. 9692/2012 e numerose altre seguenti).
Lo stesso principio, peraltro, è stato esplicitamente e ripetutamente affermato in relazione al professionista che svolga, in tutto o in parte, la propria attività per società di revisione e di consulenza di cui sia socio (v. ad es. Cass. n. 11238/2023; Cass. n. 19397/2022; Cass. n. 11140/2021).
L’accoglimento del primo motivo di ricorso, avente portata assorbente, comporta la cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originaria domanda di rimborso del contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Le spese dei due gradi di merito possono essere interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbito il restante, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originaria domanda di rimborso del contribuente.
Condanna l ‘ Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.900 ,00, oltre € 200,00 per spese generali e 15% per rimborso forfetario; compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2025.