Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3224 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3224 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 670/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e
IRAP IRES IVA ACCERTAMENTO
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia- sezione distaccata di Catania- n. 3704/17/14, depositata il 3 dicembre 2014;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 17 gennaio 2025;
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso .
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ricevette la notifica di un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione maggiori redditi ai fini Irap, Ires e Iva per l’anno di imposta 2005, oltre a irrogare sanzioni.
La pretesa erariale traeva origine da una verifica fiscale, donde era emerso:
(a) che alcune poste contabili attive nel bilancio della società contribuente -imputate a finanziamento soci, spesso effettuato per cassa -dovevano invece presumersi come ricavi e perciò essere calcolate nell’imponibile ;
(b) che la società, operante nel settore della trasformazione e commercializzazione di materiali ferrosi, aveva effettuato acquisti non contabilizzati di rottami, violando l’art. 74, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 633/1972 che impone di assoggettare tali operazioni ad Iva, con il meccanismo del cd. reverse charge .
L’avviso di accertamento fu vittoriosamente impugnato da RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania.
Il successivo appello, proposto dall’Agenzia delle entrate, fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali osservarono, quanto alla prima ripresa a tassazione, che l’accertamento si fondava su una presunzione semplice, non supportata da alcun riscontro sui conti correnti dei soci, pur essendo noto che le società di capitali a ristretta base partecipativa ricorrono più facilmente al finanziamento dei soci che non al credito bancario.
Quanto alla seconda ripresa, anch’essa basata su un ragionamento presuntivo, rilevarono poi che la documentazione esaminata dall’Ufficio constava unicamente di ricevute d’acquisto di rottami ferrosi da parte di venditori ambulanti, di per sé non significative della successiva trasformazione e rivendita del materiale, in mancanza di elementi di riscontro muniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Ha resistito l’intimata con controricorso .
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, rubricato «violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e 2424 c.c., art. 30, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972», l’Amministrazione censura la pronunzia impugnata nella parte in cui ha escluso l’operatività della presunzione di ricavi con riferimento ai versamenti sul conto finanziamento soci, per
mancanza del necessario riscontro con le movimentazioni bancarie di questi ultimi.
Secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di considerare i diversi elementi posti a fondamento del ragionamento presuntivo, quali l’entità degli importi , il mancato appostamento a bilancio come debiti delle somme corrispondenti, l’impossibilità di risalire all’identità dei soci finanziatori, il fatto che i finanziamenti fossero sovente effettuati in contanti e con l’effetto di riequilibrare il conto cassa, la permanenza di un consistente flusso di credito bancario; elementi, tutti questi, significativi del fatto che la società non presentava un’effettiva esigenza di liquidità e che, pertanto, i versamenti in conto finanziamento soci dovevano, in realtà, essere ricondotti a corrispettivi di vendite non fatturate.
Il secondo motivo, attinente alla ripresa a tassazione di importi per acquisti non contabilizzati, si articola in due profili.
Per un verso, infatti, l’Amministrazione denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132, comma 2, num. 4), e 118, disp. att. cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992, assumendo che il relativo capo della sentenza impugnata sarebbe sorretto da «motivazione insufficiente ai fini di legge».
Sotto altro profilo, concernente invece il merito della statuizione e formulato in via di subordine, è dedotta violazione degli artt. 17 e 74, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 633/1972.
La ricorrente sottolinea che le previsioni recate da tale ultima disciplina fanno obbligo al cessionario «di rottami, cascami e avanzi di materiali ferrosi» di versare l’Iva mediante indicazione dell’aliquota nelle fatture d’acquisto e successiva annotazio ne nel registro entro quindici giorni dal ricevimento.
Di qui l’erroneità della sentenza impugnata , che avrebbe completamente omesso di confrontarsi con tali disposizioni e perciò di ravvisare l’operatività del relativo meccanismo d’imposta.
Con il terzo motivo, inerente al medesimo profilo dell’accertamento, l’Amministrazione denunzia violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha posto integralmente a suo carico l’onere di provare l’irregolarità delle operazioni quando invece, vertendosi in fattispecie di accertamento analitico-induttivo, era la società contribuente a dover fornire la prova contraria.
Il quarto mezzo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare «le censure contenute nell’atto di appello che si sostanziano nell’indicazione delle presunzioni di mancata registrazione e pagamento dell’imposta I va», riferite al fatto che i venditori dei rottami ferrosi non erano semplici ambulanti ma veri e propri operatori commerciali (come evincibile dal fatto che gli acquisti ammontavano complessivamente a circa 10 milioni di euro), in quanto tali soggetti all’obbligo di fatturazione, e che ciò avrebbe determinato un’inversione contabile, trasferendo in capo al cessionario la qualità di debitore d’imposta.
Con il quinto motivo, formulato in relazione alle medesime circostanze con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ ., la ricorrente lamenta l’omesso esame di un punto controverso e decisivo per il giudizio, consistito nel mancato rilievo della natura di operatori commerciali in capo ai venditori di rottami ferrosi.
6. Infine, con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 471/1997, assumendo che, al di là della qualifica come debitore d’imposta del cessionario, la C.T.R. avrebbe dovuto confermare la sanzione irrogata con l’atto impositivo, in quanto «connessa agli inadempimenti conseguenti all’inversione contabile».
Il primo motivo è fondato.
7.1. Come questa Corte non ha mancato di sottolineare anche in tempi recenti (cfr. Cass. n. 27266/2023; in precedenza, fra le altre, Cass. n. 9054/2022; Cass. n. 20553/2021), la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, richiesti dall ‘ art. 2729 cod. civ. per l’operatività della prova per presunzioni, e dell ‘ idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.
Nondimeno, s e quest’ultimo , in violazione dei detti criteri in tema di formazione della prova critica, si è limitato a negare valore indiziario ad alcuni elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere tale rilievo ove valutati nella loro sintesi , il sindacato di legittimità dev’essere senz’altro consentito (in tal senso Cass. n. 9760/2015; conf. Cass. n. 11690/2024).
In questi casi, continua infatti la giurisprudenza citata, la critica non si incentra sulla valutazione delle prove operata dal giudice, e in particolare sulla ricostruzione dei dati fattuali (ambito di sindacato estraneo al giudizio di legittimità), ma ha ad oggetto l’affermazione che una prova presuntiva può basarsi su elementi non gravi, precisi e concordanti, o il fondamento di una presunzione su un fatto storico privo di tali requisiti, ovvero
ancora l’ omessa valutazione degli elementi indiziari nel loro insieme.
7.2. Tale ultima, in particolare, è l’ipotesi che ricorre nel caso di specie.
I giudici d’appello, infatti, hanno ritenuto che la presunzione su cui si è fondata la ripresa dei versamenti a titolo di ‘finanziamento soci’ meritasse riscontro dall’esame della documentazione bancaria dei conferenti.
Tale ragionamento, tuttavia, trascura di prendere in esame le diverse circostanze allegate dall’Ufficio , quali, come si è detto, l’impossibilità di risalire all’identità dei soci finanziatori, il fatto che i finanziamenti risultassero frequentemente effettuati per contanti e ripristinassero in tal modo l’equilibrio nel conto cassa, la corrispondenza dei versamenti con una variazione di segno opposto nel conto ‘fatture c/anticipi’.
Queste circostanze erano state puntualmente richiamate nell’atto di appello dell’Agenzia , come dimostra lo stralcio di quest’ultimo riprodotto alle pagg. 5 e 6 del ricorso ; cionondimeno, i giudici di appello non le hanno in alcun modo valutate, onde verificarne i connotati di gravità, precisione e concordanza, soprattutto nella loro sinergica considerazione.
Omettendo tale, significativa disamina, la sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei richiamati principi, affermati da questa Corte in tema di prova presuntiva; la stessa andrà dunque cassata in parte qua , in accoglimento del motivo esaminato.
Lo scrutinio del secondo mezzo impone considerazioni distinte in relazione ai due profili di cui esso si compone.
8.1. Nel suo primo profilo, con il quale è denunziata l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, il motivo è inammissibile.
Com’è noto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più consentite nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del ‘minimo cos tituzionale’ richiest o dall’art. 111, comma 6, Cost.; quest’ultima, in particolare, si individua nelle ipotesi di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale’, di ‘motivazione apparente’, di ‘manifesta ed irriducibile contraddittorietà’ e di ‘motivazione perplessa od incomprensibile’.
Al di fuori di tali ipotesi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014; successive conformi, fra le altre, Cass. n. 30651/2023; Cass. n. 7090/2022; Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 23940/2017).
A tali paradigmi non si è conformata la censura proposta, che si è limitata a denunziare un ‘insufficiente motivazione della sentenza
8.2. Nel suo restante profilo il motivo è, invece, fondato.
L’art. 74, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972 dispone che «per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli ferrosi e dei relativi lavori, di carta da macero, di stracci e di scarti di ossa, di pelli, di vetri intendendosi comprese anche quelle relative agli anzidetti beni che siano stati ripuliti, selezionati, tagliati, compattati, lingottati o sottoposti ad altri trattamenti atti a
facilitarne l’utilizzazione, il trasporto e lo stoccaggio senza modificarne la natura, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario in luogo del cedente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche per le cessioni dei semilavorati di metalli ferrosi»; il successivo comma 8 prevede poi che le disposizioni del precedente comma si applichino «anche per le cessioni di rottami, cascami e avanzi di metalli non ferrosi e dei relativi lavori, dei semilavorati di metalli non ferrosi».
In tali casi, pertanto, il soggetto che cede i beni indicati emette fattura senza addebitare l’I va, poiché è posto a carico del cessionario l’obbligo di integrare la fattura con la relativa imposta secondo il meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge ).
Le richiamate disposizioni sono finalizzate al contrasto delle frodi in materia di Iva, nei termini indicati dalla Direttiva n. 2006/69/CE del Consiglio, dalla quale sono scaturiti diversi provvedimenti legislativi che hanno esteso il campo applicativo del reverse charge a diversi settori merceologici e produttivi.
La ripresa a tassazione concerneva, per l’appunto, l’omessa imponibilità ai fini Iva delle operazioni d’acquisto di rottami ferrosi effettuate dalla società contribuente; ed anche con tale rilievo non mostra minimamente di confrontarsi la sentenza impugnata, nella quale sono svolte considerazioni inerenti ai ricavi conseguiti alla possibile rivendita dei rottami acquistati, ma non è fatta menzione della disciplina di riferimento.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la sentenza d’appello merita di essere cassata.
I restanti motivi sono assorbiti dalla statuizione che precede.
In conclusione, in relazione alle indicate censure il ricorso è meritevole di accoglimento.
Alla cassazione della sentenza consegue il rinvio al giudice a quo , il quale provvederà al riesame della vicenda conformandosi agli indicati principii e liquidando le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo e al secondo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -sezione distaccata di Catania – anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.