Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9706 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9706 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3463/2016 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II ROMA, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 3935/2015 depositata il 09/07/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Per l’anno d’imposta 2006, il contribuente NOME COGNOME era destinatario di avviso di convocazione notificatogli il 14 ottobre 2011, cui egli non dava seguito, donde l’Ufficio procedeva con metodo analitico induttivo alla ricostruzione del maggior reddito in base alle risultanze dell’anagrafe tributaria e delle indagini bancarie sui conti correnti a lui riferibili e che esprimevano una capacità contributiva assai superiore a quanto esposto in dichiarazione.
Ne scaturiva così avviso di accertamento che veniva opposto senza esito nei gradi di merito, ove il contribuente produceva documentazione bancaria e contabile a giustificazione dei movimenti di conto corrente, che -tuttavia- non veniva valutata in giudizio, poiché non prodotta al momento dell’invito a comparire o della proposizione del questionario, comunque durante le fasi dell’apporto procedimentale, antecedente all’emissione dell’atto impositivo.
Ricorre per cassazione la parte contribuente, affidandosi a due mezzi cassatori, mentre l’Avvocatura generale dello Stato si è riservata di spiegare difese in udienza.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 del DPR numero 600 del 1973, il penultimo comma dell’articolo 32 precitato, nonché una causa di nullità sopravvenuta.
Nella sostanza si lamenta non siano state debitamente autorizzate le indagini bancarie su cui si fonda la ripresa a tassazione, in aggiunta si lamenta la decadenza retroattiva dalla
carica del dirigente che le ha autorizzate, in ragione della sentenza della Corte costituzionale numero 37 del 2015.
1.2. Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 5, in relazione all’articolo 67, lettera l) del DPR numero 917 del 1986.
Nello specifico si lamenta ricorso a doppia presunzione da parte dell’Ufficio che, prima, presume riferibile a reddito le movimentazioni bancarie nei conti intestati al contribuente e, dopo, presume le predette somme come imputabili all’assunzione di obbligazione di fare, non fare o permettere.
Il primo motivo non può essere accolto.
2.1. Il penultimo comma dell’articolo 32 precitato dispone l’inutilizzabilità a favore del contribuente dei documenti non trasmessi al momento della richiesta da parte dell’Ufficio, che è quindi autorizzato alla ricostruzione del reddito in base alle informazioni comunque reperite. La movimentazione bancaria costituisce presunzione di maggior reddito per gli imprenditori, tanto nei prelievi quanto nei versamenti (diverso essendo il regime solo per i professionisti e i lavoratori autonomi). Le indagini bancarie devono essere autorizzate dal competente direttore dell’Agenzia delle entrate e non è rilevante la sopravvenuta decadenza dalla qualifica ad opera della sentenza della Corte costituzionale numero 37 del 2015.
2.2. Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla
movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass. n. 15857 del 29/07/2016, Cass. n. 18081 del 4/8/2010).
2.3. In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’I.V.A., tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. 16896 del 24/7/2014 n. 26111 del 30/12/2015, Cass. n. n. 623/2018). Al proposito questa Corte ha già ribadito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cfr. Cass. V, n.25502/2011, n. 2781/2015, n. 11102/2017).
2.4. In tema di prelevamenti e versamenti sui conti correnti bancari, gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 ad
opera della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 che ha ritenuto irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva la presunzione che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia a sua volta produttivo di reddito retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (Cass. V, n. 2240/2021). La questione non rileva in questa sede, non essendo controverso che si fa questione di redditi d’impresa.
2.5. Infine, non può darsi rilievo neppure alla protestata decadenza dal ruolo della dirigenza del dott. NOME COGNOME che ha autorizzato le indagini bancarie. Infatti, è stato ritenuto che in materia di sottoscrizione degli avvisi di accertamento, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, giusta sentenza della Corte cost. n. 37 del 2015, non produce effetti retroattivi sui giudizi in corso qualora il tema della mancanza di una valida sottoscrizione non sia stato fatto valere con il ricorso introduttivo del giudizio, poiché, per effetto della natura impugnatoria del processo tributario, l’ordinaria efficacia retroattiva della pronuncia di illegittimità costituzionale incontra il limite di un rapporto ormai esaurito (cfr. Cass. T., n. 32480/2024). Tale ragionamento vale anche per le autorizzazioni alle indagini bancarie (cfr. Cass. T., n. 23782/2024) ed è incontroverso che la questione sia stata sollevata successivamente al giudizio di merito (cfr. ricorso per cassazione, pag. 7, riga 1).
2.6. Il primo motivo non può dunque essere accolto.
Neppure il secondo motivo è fondato, laddove lamenta la mancata pronuncia su di una doglienza, in ordine alla ritenuta applicazione dell’art. 67, lettera l) , del DPR n. 917/1986, ovvero
all’uso improprio di doppia presunzione nel ritenere le somme transitate sui conti bancari presuntivamente riferite a reddito, ulteriormente presunte come assunte per obblighi di fare, non fare o permettere.
3.1. Giova ricordare che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. III, n. 24953/2020).
3.2. Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», è stata esclusa in quanto: « a) il principio p raesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi,
precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);» (Cass., 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al § 3). (Cfr. Cass. V, 16/12/2019, n. 33042).
3.3. Non essendoci violazione del sistema probatorio presuntivo e non sussistendo un omesso esame, laddove la sentenza sia incompatibile con le argomentazioni della parte (tale da portare ad un loro rigetto implicito), neppure il secondo motivo ha fondamento.
3.4. Pertanto, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato; non vi è luogo a pronuncia sulle spese in assenza di attività difensiva sostanziale del Patrono pubblico.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 02/04/2025.