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Presunzione utili soci: serve l’accertamento?

Un socio di una società a ristretta base è stato oggetto di accertamento fiscale per utili non dichiarati, che l’Agenzia delle Entrate presumeva fossero stati distribuiti. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la presunzione utili soci è applicabile solo se l’Amministrazione Finanziaria fornisce prima la prova concreta dei maggiori redditi conseguiti dalla società. Mancando tale prova fondamentale, l’onere non può essere invertito a carico del contribuente. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione utili soci: senza prova dei redditi societari, l’accertamento è nullo

La presunzione utili soci è un principio fondamentale nel diritto tributario, specialmente per le società a ristretta base partecipativa. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un paletto cruciale: l’Amministrazione Finanziaria non può accertare maggiori redditi in capo al socio se prima non ha fornito la prova del ‘fatto noto’, ovvero l’esistenza di utili extracontabili in capo alla società. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso

Il contenzioso nasce da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente, socio di una S.r.l. L’Amministrazione Finanziaria contestava al socio la mancata dichiarazione di redditi derivanti da utili extracontabili che, secondo la sua tesi, la società partecipata avrebbe prodotto e distribuito.
Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione al Fisco, confermando la legittimità dell’accertamento. Il contribuente ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione delle norme sull’onere della prova. Il punto centrale della sua difesa era semplice ma decisivo: non era mai stato emesso alcun atto di accertamento nei confronti della società per contestare i presunti maggiori redditi. Come si poteva, quindi, presumere la loro distribuzione?

La questione giuridica e la presunzione utili soci

Il cuore della controversia risiede nell’applicazione della presunzione utili soci. Secondo un principio consolidato (ius receptum), nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa (come S.r.l. con pochi soci), i maggiori ricavi accertati si presumono distribuiti ai soci stessi. Questo perché, in tali contesti, il rapporto tra i soci è spesso così stretto da implicare un controllo reciproco e una gestione condivisa degli affari, anche di quelli non contabilizzati.

Tuttavia, ogni presunzione, per essere valida, deve basarsi su un ‘fatto noto’ e provato. In questo caso, il fatto noto è l’esistenza di un maggior reddito prodotto dalla società. La questione che la Cassazione è stata chiamata a risolvere era: può il Fisco considerare ‘noto’ questo fatto senza averlo prima formalmente accertato nei confronti della società stessa? E, di conseguenza, può addossare direttamente al socio l’onere di dimostrare il contrario?

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, cassando con rinvio la sentenza impugnata. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile la corretta applicazione della presunzione utili soci.

La necessità di provare il ‘fatto noto’

La Corte ha stabilito che, sebbene non sia sempre indispensabile un accertamento definitivo nei confronti della società prima di procedere verso il socio, l’Amministrazione Finanziaria ha comunque l’obbligo di adempiere al proprio onere probatorio. Deve cioè dimostrare, all’interno del giudizio contro il socio, l’esistenza del fatto noto da cui scaturisce la presunzione: i maggiori utili realizzati dalla società. Senza questa prova, la presunzione stessa non ha una base su cui fondarsi e non può operare.

L’inversione dell’onere della prova è illegittima

I giudici di merito avevano errato nel ritenere che i due giudizi (quello potenziale verso la società e quello effettivo verso il socio) fossero completamente autonomi al punto da invertire l’onere della prova. Non si può chiedere al socio di fornire la prova contraria (cioè che gli utili sono stati reinvestiti o accantonati) se il Fisco non ha prima provato che quegli utili esistessero.
In sintesi, la procedura corretta prevede due passaggi:
1. L’Amministrazione Finanziaria prova l’esistenza dei maggiori redditi societari.
2. Solo a quel punto, scatta la presunzione di distribuzione e l’onere si sposta sul socio, che può fornire la prova contraria.

Conclusioni: l’onere della prova del Fisco

Questa ordinanza rafforza un principio di garanzia per il contribuente. La presunzione utili soci, pur essendo uno strumento efficace per l’accertamento fiscale, non può trasformarsi in un’arma automatica che prescinde da una solida base probatoria. L’Agenzia delle Entrate deve sempre e comunque provare il presupposto della sua pretesa, ovvero che la società ha effettivamente prodotto redditi non dichiarati. Solo dopo aver assolto a questo compito, potrà legittimamente presumere che tali redditi siano finiti nelle tasche dei soci. La decisione sottolinea che il processo tributario deve rispettare le regole fondamentali sull’onere della prova, evitando scorciatoie che potrebbero pregiudicare il diritto di difesa del cittadino.

È legittimo un avviso di accertamento al socio per utili extracontabili se la società non è stata preventivamente accertata?
Non necessariamente, ma l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo, all’interno del processo contro il socio, di provare in modo concreto l’esistenza dei maggiori redditi della società. La mancanza di un accertamento formale alla società non esonera il Fisco da questo onere probatorio fondamentale.

Su chi ricade l’onere di provare i maggiori redditi della società in un accertamento basato sulla presunzione di distribuzione ai soci?
L’onere della prova del ‘fatto noto’, cioè dell’esistenza di maggiori redditi societari, ricade interamente sull’Amministrazione Finanziaria. Solo dopo che questa prova è stata fornita, l’onere si sposta sul socio, che dovrà eventualmente dimostrare che tali utili non sono stati distribuiti.

Cosa deve fare il socio per difendersi dalla presunzione di distribuzione degli utili?
Il socio ha due principali linee di difesa. In primo luogo, può contestare la prova fornita dal Fisco riguardo all’esistenza stessa dei maggiori redditi della società. In secondo luogo, se i maggiori redditi sono provati, può fornire la ‘prova contraria’, dimostrando che tali utili sono stati accantonati, reinvestiti nell’attività aziendale o comunque non sono stati distribuiti tra i soci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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