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Presunzione utili soci: onere della prova del socio

In un caso di accertamento fiscale, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per le società a ristretta base proprietaria. Se l’Agenzia delle Entrate accerta utili extracontabili, si attiva una presunzione utili soci, ovvero si presume che tali utili siano stati distribuiti ai soci. Spetta a questi ultimi, e non all’amministrazione finanziaria, l’onere di fornire la prova contraria. I soci devono dimostrare che i maggiori ricavi sono stati reinvestiti, accantonati o che erano totalmente estranei alla gestione societaria. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva erroneamente ritenuto sufficiente l’esito di un procedimento penale per escludere la percezione dei redditi, confondendo i diversi oneri probatori tra processo tributario e penale.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Utili Soci: La Cassazione Conferma l’Onere della Prova a Carico del Socio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale del diritto tributario: la presunzione utili soci nelle società di capitali a ristretta base proprietaria. Con questa pronuncia, i giudici di legittimità hanno riaffermato un principio consolidato, fondamentale per definire le responsabilità fiscali dei soci in caso di accertamento di utili non dichiarati dalla società. La sentenza chiarisce che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha provato l’esistenza di maggiori redditi societari, l’onere di dimostrare la loro mancata distribuzione si sposta interamente sul socio.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una socia di una S.r.l. a base partecipativa ristretta. L’Ufficio, dopo aver rettificato il reddito d’impresa della società per l’anno 1988, aveva imputato alla contribuente, in proporzione alla sua quota del 44%, una quota dei maggiori utili accertati, presumendone la distribuzione.

La contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo l’annullamento sia in primo che in secondo grado. La Corte di Giustizia Tributaria Regionale, in particolare, aveva rigettato l’appello dell’Agenzia basando la propria decisione sull’esito di un procedimento penale a carico della stessa socia, dal quale non erano emersi elementi sufficienti a provare l’effettiva percezione dei dividendi “in nero”. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto un nuovo ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte sulla presunzione utili soci

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame.

Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia lamentava la violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973. La Cassazione ha ritenuto questo motivo fondato, riaffermando il suo orientamento costante in materia di presunzione utili soci.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici hanno chiarito che, secondo un indirizzo nomofilattico consolidato, l’accertamento di un maggior reddito in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria genera una presunzione semplice. Tale presunzione consiste nel ritenere che gli utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci, anche in assenza di vincoli familiari tra loro.

Di conseguenza, sorge in capo ai soci l’onere della prova contraria. Essi devono dimostrare attivamente uno dei seguenti scenari:
1. Che i maggiori ricavi accertati non sono stati distribuiti, ma sono stati accantonati o reinvestiti all’interno della società.
2. Che i soci sono rimasti completamente estranei alla gestione e alla vita societaria, al punto da non poter essere a conoscenza dell’esistenza di utili occulti.

La Corte ha specificato che il fondamento di questa presunzione risiede nella “complicità” che tipicamente lega i pochi membri di un gruppo societario ristretto, i quali esercitano un controllo reciproco e hanno una maggiore conoscibilità degli affari sociali.

L’errore della corte di merito è stato quello di disapplicare queste regole. Essa ha dato un peso decisivo all’esito del giudizio penale, senza considerare che i due processi hanno standard probatori differenti. Nel processo penale vige la regola dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” per affermare la colpevolezza, mentre nel processo tributario opera la presunzione semplice, che inverte l’onere della prova. La mancanza di prove sufficienti in sede penale per condannare non equivale a una prova positiva, in sede tributaria, della mancata percezione dei redditi. Il contribuente avrebbe dovuto fornire la dimostrazione di un fatto positivo contrario (come il reinvestimento degli utili) per superare la presunzione a suo carico.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio di estrema importanza per i soci di S.r.l. e altre società a compagine ristretta. La decisione evidenzia un notevole rischio fiscale: in caso di accertamento di utili “in nero” in capo alla società, i soci non possono rimanere passivi.

L’esito di un eventuale procedimento penale non è di per sé sufficiente a proteggerli dall’accertamento tributario. È indispensabile che il socio sia in grado di fornire prove concrete e positive che dimostrino una destinazione degli utili diversa dalla distribuzione, come delibere di accantonamento a riserva o documentazione che attesti il reinvestimento. In assenza di tale prova, la presunzione legale resterà valida, con la conseguente tassazione dei maggiori redditi in capo al socio.

In una società a ristretta base proprietaria, se vengono accertati utili non dichiarati, chi deve provare che sono stati distribuiti ai soci?
Non è l’Amministrazione Finanziaria a dover provare la distribuzione. Opera una presunzione semplice per cui si assume che gli utili siano stati distribuiti. L’onere della prova contraria grava sul socio, il quale deve dimostrare che i profitti sono stati accantonati, reinvestiti o che era completamente estraneo alla gestione societaria.

L’assoluzione in un processo penale per evasione fiscale è sufficiente a provare di non aver percepito utili in nero in un processo tributario?
No. La Corte ha chiarito che l’esito del processo penale non è decisivo, poiché i due giudizi si basano su regole probatorie diverse. La mancanza di prove sufficienti per una condanna penale (che richiede una certezza “oltre ogni ragionevole dubbio”) non costituisce la prova contraria richiesta nel processo tributario per vincere la presunzione di distribuzione.

Cosa deve fare un socio per superare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili?
Il socio deve fornire la dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario. Ad esempio, deve provare che gli utili sono stati accantonati a riserva o reinvestiti nell’attività aziendale, oppure che egli è rimasto del tutto estraneo alla gestione e alla vita della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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