Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15996 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15996 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Indagini bancarie- Imprenditore individuale- Prelevamenti-Presunzione- Operatività-Sussistenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25567/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso, p.e.c. EMAIL;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 9293/2022 depositata in data 2/11/2022 e non notificata; udita la relazione della causa nell ‘ adunanza camerale del 16 aprile 2025 tenuta dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate , Direzione provinciale di Agrigento, con l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE recuperava a imposizione, a fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2010, maggiori ricavi nei confronti di NOME COGNOME titolare di ditta individuale esercente l’impresa di raccolta di veicoli fuori uso; l’accertamento trovava origine, per un verso, in un p.v.c. della Guardia di Finanza, per altro verso, in apposite verifiche bancarie.
La Commissione tributaria provinciale di Agrigento (CTP), adita dal contribuente, annullava il recupero nascente dai rilievi della Guardia di Finanza e annullava in parte il recupero fondato sui movimenti bancari.
La Commissione tributaria regionale della Sicilia (CTR), riuniti i giudizi aventi ad oggetto l’appello del contribuente e l’appello dell’Agenzia, rigettava con la sentenza indica in epigrafe – entrambi i gravami, compensando le spese di lite.
In particolare, la CTR confermava le valutazioni operate dai primi giudici con riferimento alla parziale giustificazione di prelevamenti e versamenti mentre, in merito alla richiesta di riconoscimento forfettario dei costi a fronte dei ricavi induttivamente accertati, ne riteneva insussistente la prova effettiva.
Contro tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del 16 aprile 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, pro posto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. il ricorrente deduce violazione de ll’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, con riferimento ai prelevamenti che sarebbero estranei all’attività di impresa; alla luce dell’intervento della Corte
costituzionale con la sentenza n. 228/2014, da ritenere valida anche per le imprese in contabilità semplificata, deduce che la ratio fondante l’operare della presunzione legale è data dal fatto che si tratti di somme utilizzate per l’acquisto in nero di merce o di fattori produttivi; esercitando il ricorrente l’attività di centro demolizioni, mancava nel caso di specie merce da acquistare per essere rivenduta, come comprovato dal registro IVA degli acquisti, rivelandosi quindi inapplicabile la presunzione.
1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
In primo luogo, infatti, esso, peraltro privo di alcuna specifica descrizione dei prelevamenti oggetto di lite, attiene a una questione di fatto, la natura dell’attività esercitata, e richiede una inammissibile richiesta di rivalutazione di merito in ordine alla riconducibilità dei prelevamenti ad esigenze personali.
In secondo luogo, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. n. 16896/2014; Cass. n. 15161/2020).
A seguito della citata sentenza n. 228/2014 del Giudice delle leggi, la presunzione legale ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 non si applica nei confronti del lavoratore autonomo (Cass. n. 24998/2022) ma continua ad applicarsi a tutti i titolari di reddito di impresa, ed anche alle imprese che abbiano adottato il regime della contabilità semplificata (Cass. n. 40221/2021; Cass. n. 2900/2019).
Inoltre, questa Corte, per doglianza analoga, fondata sulla ratio sottesa alla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 e
sulla sua estensione all’imprenditore individuale, la cui attività sia caratterizzata dalla preminenza dell’apporto del lavoro personale, dall’assunzione personale del rischio di impresa, da una contabilità estremamente semplificata nonché dalla marginalità dell’apparato organizzativo al pari del lavoratore autonomo, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 all’imprenditore individuale (Cass. n. 28580/2021).
La presunzione trova, infatti, giustificazione nella produzione del reddito di impresa ex art. 55 t.u.i.r. da parte di un soggetto, come definito dall’art. 2195 c.c.; come già osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 225 del 2005, la presunzione di cui all’art. 32 cit. di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie risultate ingiustificate, non appare lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., non essendo «manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività di impresa e siano, in definitiva, detratti i costi, considerati in termini di reddito imponibile»; ugualmente nella sentenza n. 228 del 2014, la Corte ha ribadito che «il fondamento economico- contabile di tale meccanismo è … congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale il quale è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi». Pertanto, ciò che costituisce la base dell’applicazione della presunzione di cui all’art. 32 cit. nei confronti dell’imprenditore, sia pure individuale, è la qualificazione del reddito prodotto come di impresa ai sensi dell’art. 55 t.u.i.r.
In continuità con tali precedenti arresti, deve pertanto affermarsi che anche nel caso di imprenditore individuale che eserciti l’attività di raccolta di veicoli fuori uso e di smaltimento dei rottami metallici operi, per i prelevamenti dai conti correnti bancari, la presunzione di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce viola zione dell’ art. 32 e dell’art. 39 d el d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto la CTR avrebbe errato nell’escludere il riconoscimento forfettario dei costi, in presenza di accertamento analitico induttivo.
2.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già riconosciuto che in tema di accertamenti bancari di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, così come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 2023, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati (Cass. n. 6874/2023; Cass. n. 7122/2023; Cass. n. 18653/2023; Cass. n. 3782/2025).
Si è evidenziato che la consolidata opzione interpretativa contraria deve infatti essere rivisitata alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023, cui la Commissione tributaria provinciale di Arezzo, con ordinanza del 26 aprile 2021, aveva rimesso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore
commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario. La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma. Ha osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o puro), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio -cui ha fatto riferimento la stessa Corte nella sentenza n. 225 del 2005 -secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. L’accertamento analitico -contabile (che aveva originato l’incidente di legittimità costituzionale) si caratterizza invece – per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare) e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze delle movimentazioni bancarie.
Presupposto dell’utilizzo del metodo analitico o misto è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.
Proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile, e una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di singole «poste» della stessa, implica che ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono
essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente. Da tale sistema, secondo il giudice delle leggi, deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
Pertanto, la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale in quanto la si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi «occulti», scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati» (Corte cost. n. 225 del 2005).
L’Agenzia delle entrate, con circolare n. 32/E/2006 (capitolo quinto, punto 5.5), aveva già affermato, con riguardo agli accertamenti induttivi «puri», che «il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo» di cui all’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973. A seguito della richiamata pronuncia della Corte costituzionale, tale principio deve ritenersi estensibile anche al caso di utilizzo del metodo analitico o «misto».
In conclusione, sul punto, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice fornita dalla Corte costituzionale, si rivela errata la decisione impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere, in mancanza di idonea documentazione, una incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi.
In sede di rinvio la Corte di giustizia tributaria dovrà, quindi, rideterminare il reddito imponibile del contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati.
Concludendo, il ricorso va accolto nel suo secondo motivo, mentre deve essere rigettato il primo.
Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo ritenuto fondato, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, a cui rimette anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.