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Presunzione percezione interessi: La Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di investimenti assimilabili a un mutuo oneroso, opera una presunzione percezione interessi ai fini fiscali. Spetta al contribuente, che sostiene di non aver ricevuto i proventi, ad esempio a causa di una truffa, fornire la prova contraria. In assenza di tale prova, l’accertamento fiscale è legittimo.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Investimenti e Fisco: la Cassazione sulla presunzione percezione interessi

Quando si effettua un investimento che prevede la corresponsione di interessi, cosa succede se questi, per varie ragioni, non vengono materialmente incassati? Si è comunque tenuti a pagarci le tasse? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio questo tema, chiarendo il funzionamento della presunzione percezione interessi e il relativo onere della prova in capo al contribuente. Analizziamo insieme la decisione per capire le sue importanti implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Una contribuente effettuava un investimento tramite un intermediario estero, consegnando dei capitali in cambio della promessa di ricevere interessi periodici. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente degli avvisi di accertamento per gli anni dal 2009 al 2012, contestando la mancata dichiarazione dei proventi derivanti da tale investimento.

La contribuente si opponeva, sostenendo di essere stata vittima di una truffa da parte degli intermediari e di non aver mai effettivamente percepito alcun interesse. Se in primo grado i giudici le davano ragione, annullando gli atti impositivi, in appello la decisione veniva ribaltata. La Commissione Tributaria Regionale riteneva infatti che, in assenza di una prova concreta della mancata percezione, l’imposizione fosse legittima. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e la presunzione percezione interessi

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della contribuente, confermando la validità degli accertamenti fiscali. Il fulcro della decisione si basa sull’applicazione dell’articolo 45 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Secondo la Corte, l’operazione finanziaria posta in essere, che prevedeva la consegna di un capitale in cambio della promessa di interessi, è fiscalmente assimilabile a un contratto di mutuo oneroso.

In questi casi, l’art. 45, comma 2, del TUIR stabilisce una presunzione legale: gli interessi si considerano percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto, salvo prova contraria. Ciò significa che per il Fisco è sufficiente dimostrare l’esistenza del contratto di investimento per presumere che i relativi redditi siano stati incassati dal contribuente.

L’onere della prova a carico del contribuente

La conseguenza diretta di questa presunzione è l’inversione dell’onere della prova. Non è l’Amministrazione Finanziaria a dover dimostrare l’effettivo incasso degli interessi, ma è il contribuente a dover fornire la prova rigorosa di non averli percepiti. Nel caso specifico, la contribuente non è riuscita a fornire tale prova. La semplice denuncia per truffa non è stata ritenuta sufficiente a superare la presunzione legale, poiché non dimostra di per sé la mancata corresponsione dei proventi nel periodo d’imposta contestato.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando il principio di diritto secondo cui la consegna di capitali a un intermediario per un investimento, in cambio della promessa di interessi, si qualifica ai fini fiscali come un mutuo oneroso. Di conseguenza, scatta la presunzione percezione interessi prevista dall’art. 45 del TUIR. Questa presunzione legale relativa (iuris tantum) sposta sul contribuente l’onere di dimostrare, con prove concrete e oggettive, il mancato incasso delle somme. L’assenza di tale prova, come nel caso esaminato, rende legittima l’imposizione fiscale basata sugli interessi pattuiti contrattualmente. La decisione si allinea a un orientamento consolidato, applicando al reddito da capitale un principio simile a quello vigente per i canoni di locazione non percepiti, dove la tassazione è dovuta fino a prova contraria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per tutti gli investitori: la stipula di un contratto che genera redditi da capitale crea una forte presunzione di percezione di tali redditi ai fini fiscali. Per sottrarsi all’imposizione, non basta affermare di non aver ricevuto le somme, magari perché si è rimasti vittima di una truffa. È necessario fornire una prova certa e inconfutabile del mancato incasso. Questa decisione sottolinea l’importanza di documentare attentamente ogni fase dei propri investimenti e di essere pronti a dimostrare attivamente la propria posizione in caso di contenzioso con il Fisco.

Quando si presume che gli interessi su un capitale investito siano stati percepiti ai fini fiscali?
Secondo l’art. 45 del TUIR, per i capitali dati a mutuo (e per le operazioni assimilabili come un investimento con promessa di interessi), gli interessi si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto, salvo che il contribuente fornisca una prova contraria.

Su chi ricade l’onere di provare la mancata percezione degli interessi pattuiti?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. È quest’ultimo che, per sottrarsi all’imposizione, deve dimostrare in modo concreto e oggettivo di non aver mai incassato gli interessi previsti dal contratto di investimento.

Denunciare una truffa è sufficiente a superare la presunzione di percezione degli interessi?
No. Secondo la Corte, la sola denuncia per truffa non è considerata una prova sufficiente a dimostrare la mancata percezione degli interessi. Il contribuente deve fornire prove più concrete che attestino il mancato incasso dei proventi nel periodo d’imposta oggetto di accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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