Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34338 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
IRPEF
ACCERTAMENTO ART. 32 d.p.R. 600/1973
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 00737/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Casarano (LE), INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. delle MARCHE n. 831/3/2022 depositata il 4/7/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
All’origine della controversia si pone una verifica della Guardia di Finanza di Forlì nei confronti del contribuente NOME COGNOME in relazione al periodo 2007 -2009, fondata su una rogatoria internazionale presso la Repubblica di San Marino dalla quale emergeva che il contribuente era stato beneficiario di
versamenti per euro 125.200,00 effettuati su un proprio conto corrente nel corso del 2008. Ricevuta tale segnalazione, l’Agenzia delle Entrate di Macerata, per l’anno d’imposta 2008, presumendo che tali somme rappresentassero redditi non assoggettati ad imposizione in Italia, emetteva l’avviso di accertamento n. n. TQ7012E01528/2014 ai sensi dell’art. 41 bis D.P.R. n. 600/1773).
Avverso detto provvedimento impositivo proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Macerata il contribuente. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso. La Commissione tributaria provinciale di Macerata accoglieva il ricorso con la sentenza n. 202/01/2016, depositata in data 10/03/2016.
Avverso detta pronuncia proponeva appello L’Agenzia delle Entrate. COGNOME Fabrizio si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n.831/03/2022, depositata in data 04/07/2022 la Commissione tributaria regionale delle Marche respingeva l’appello e compensava le spese del secondo grado di giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con impugnazione affidata a due motivi.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 28/11/2024.
Considerato che:
In via preliminare occorre valutare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte controricorrente che deduce in proposito la tardività dell’impugnazione.
1.1. Secondo la difesa del contribuente, dovrebbe applicarsi, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., il termine lungo per la proposizione del ricorso per cassazione, pari a sei mesi al quale vanno aggiunti i trentuno giorni di sospensione del periodo feriale. Nel caso di specie, il ricorso per cassazione sarebbe stato proposto oltre il termine di decadenza semestrale previsto dall’art. 327
c.p.c.: la sentenza impugnata è stata pubblicata il 04.07.2022 mentre il gravame è stato proposto, con la sua notificazione, soltanto il 07.01.2024 e cioè oltre il termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c..
1.2. L’eccezione è infondata: nel ricorso introduttivo l’Ufficio ha dichiarato di voler usufruire del termine di sospensione di mesi undici previsto dall’art. 1, comma 199, della legge 197/2022, come modificato dall’art. 20 d.l. 34/2023, come decorrente dal 1/01/2023 sino alla data del 31/10/2023.
1.3. La sospensione di fonte legale invocata dall’Amministrazione ricorrente è applicabile nella fattispecie e la sentenza, depositata il 4/7/2022, prevedeva un termine di impugnazione pari a mesi sei, termine che considerata la sospensione feriale per l’anno 2022 -scadeva il 6/2/2023; considerato il disposto dell’art. 1, comma 199, d.l. 34/2023, si aggiungono undici mesi di sospensione (ai quali non si cumula il mese ulteriore di sospensione feriale dell’anno 2023) e quindi il termine per impugnare la sentenza scadeva l’8/1/2024. Il ricorso è tempestivo perché depositato il 7.1.2024.
Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 12, comma 2, d.l. 78/09, 32, comma 1, n. 2) d.p.r. 600/1973, 2697, 2729 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.. Secondo la difesa erariale la sentenza sarebbe errata, sotto un primo profilo, perché nel far discendere dalla pretesa inapplicabilità in via retroattiva dell’art. 12, comma 2, d.l. 78/2009 l’assenza di prova circa l’imponibilità fiscale delle somme di cui all’accertamento, non avrebbe considerato che, anche ad escludere la rilevanza della disposizione ai fini della presunzione legale, poteva operare la presunzione semplice circa la disponibilità delle somme.
2.1. Il primo motivo di ricorso è fondato sotto questo profilo perché, come affermato da costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento tributario, la presunzione legale di
evasione, prevista dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv. con modif. dalla l. n. 102 del 2009, non è applicabile retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, ma non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, ricorrendo a presunzioni semplici gravi, precise e concordanti, senza fare ricorso a detta presunzione legale (si veda, da ultimo, Cass. 01/07/2024, n. 18061).
La sentenza, secondo il primo motivo di ricorso, sarebbe erronea sotto un secondo profilo perché avrebbe svalutato e considerato tardivamente sollevata come una eccezione dell’Ufficio l’operatività dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973 come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale le risultanze bancarie possono costituire fondamento della presunzione di imponibilità fiscale delle somme disponibili, vieppiù in Paesi a fiscalità privilegiata.
3.1. Anche sotto questo profilo il motivo di ricorso è fondato: l’operatività dell’art. 32 d.P.R. 600/1973 era stata posta dall’Ufficio già a fondamento dell’accertamento dunque nessuna preclusione per tardività poteva considerarsi maturata in proposito, la sentenza avrebbe dovuto, quindi, confrontarsi con il dettato della norma in questione, per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, e con la presunzione in favore dell’Erario che onera il contribuente della prova specifica circa la provenienza delle somme. Si consideri in proposito che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad
operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili» (Cass. 31/01/2024, n. 2928).
4. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce nullità, violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c. perché la sentenza per ritenere assolto l’onere probatorio da parte del contribuente circa la disponibilità delle somme e l’estraneità a reddito imponibile avrebbe affermato «…l’appellato – in ciò non smentito dall’Ufficio -ha dichiarato nell’esercizio 2009 un reddito annuo di €. 70.731,00, importo che contiene la minor somma, di soli €. 32.000,00, bonificata presso il suo conto corrente estero. Ha altresì dimostrato la disponibilità di somme precedentemente detenute a San Marino, regolarmente in quanto ‘scudate’, per complessivi €. 332.500,00 » senza offrire una reale motivazione circa la concludenza della prova valutata.
4.1. Il secondo motivo di ricorso è fondato. La motivazione della sentenza offre sul punto argomentazioni del tutto generiche ed apparenti; non riguarda la prova specifica cui era tenuto il contribuente ma fatti eccentrici rispetto alla disponibilità di somme bonificate in quell’anno e sul conto estero in Paese dalla fiscalità di vantaggio. La prova contraria rispetto alla presunzione di cui all’art. 32 d.P.R. del 600/1973 non può fondarsi su una valutazione generica e per categorie delle somme né sulla base di una affermata compatibilità quantitativa con il reddito dichiarato atteso che si tratta di reddito non dichiarato, che la legge presume sottratto alla imponibilità e per il quale non è stata fatta alcuna comunicazione ovvero dichiarazione al fisco.
4.2. Né, d’altra, parte può considerarsi legittimo il ragionamento che considera la disponibilità delle somme giustificata dal mero
utilizzo dello scudo fiscale perché, come la giurisprudenza della Corte, ha avuto modo di chiarire -da ultimo, in motivazione, da Cass. 01/02/2024, n. 2990: « l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario sancito dall’art. 14, comma 1, lettera a), D.L. n. 350 del 2001 -in dottrina definito anche provvedimento di condono fiscale ‘impuro’ intrinsecamente agevolativo- non importa una limitazione oggettiva, la quale si esaurisca nella mera corrispondenza quantitativa fra le somme rimpatriate e qualsiasi imponibile oggetto di possibile accertamento, come se l’importo di cui alla dichiarazione riservata possa rappresentare una sorta di franchigia opponibile dal contribuente all’Amministrazione Finanziaria, sino a concorrenza, rispetto a qualunque tipologia di reddito successivamente accertato; la limitazione normativa agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio richiede la prova di una correlazione oggettiva fra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito del rimpatrio attraverso la dimostrazione, il cui onere è posto a carico del contribuente, dell’astratta riconducibilità delle somme rientrate proprio al reddito contestato (cfr. Cass. n. 30776/2023, Cass. n. 38722/2021, Cass. n. 34577/2019) » .
4.3. La sentenza in sostanza non ha fornito alcuna motivazione sulla prova in questione, è incorsa sul punto nel denunciato vizio di nullità e va cassata anche sotto questo profilo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 28 novembre